A proposito di declino: mi frulla per la testa e non solo la parola ‘melanconia’, e la sua amica ‘limbo’, e se poi ci penso mi accorgo che hanno molto a che fare con le 3 declinazioni del declino su cui vorrei scrivere nel prossimo numero: il dandy, Bartleby lo scrivano e gli Amish. E qui vorrei buttare giù un po' alla rinfusa roba sull'articolo che verrà (si spera).
La melanconia, dalle mie sfogliate di libri e soprattutto dalle mie sensazioni, è quella roba - affetto - che in estetica, psicopatologia e storia dell’arte è considerata ben più ‘grave’ della ‘depressione’, anche se meno pericolosa - non ci si ammazza per ed in essa - proprio perché statica - non mi ritrovo con la parola declino proprio perché allude ad un dinamismo seppur terminale -; la melanconia è a-drammatica, quasi chetata e fuori dal tempo. Un affetto nostalgico di un dolore, una perpetrazione e perpetuazione luttuosa di non si sa bene cosa - una nostalgia senza oggetto -, una sospensione dal piacere, dalla ‘chiamata’ vocativa, dall’ispirazione, un sentimento urbano ed estremamente distaccato tanto da diventar quasi un meta-sentimento (?), uno stato d’animo che ci difende e che crea e sostanzia un vero e proprio limbo, ossia un contenitore sfumato ed indistinto così come ciò che contiene, una brocca di vetro con ai bordi un fumo denso ma non troppo, luogo eletto - ma senza essersene resi conto, la scelta del limbo è un controsenso, nel limbo ci si finisce - del proprio ritiro. Insomma non si sta proprio male nel melanconico, nel declino, nel limbo, soprattutto se si esce dalla psicosi di un paio di guerre mondiali e dalla perversione distorcente della guerra fredda totalitaria, con annesse depressioni consumistiche, ma non ci si sta nemmeno così bene in questa evanescenza, nel nulla che succede...
Eppure il limbo può essere stimolo, luogo di creazione ed ispirazione - lo psicanalista Pontalis proprio al limbo ha dedicato un lungo saggio elogiativo, dal sottotitolo ‘un inferno più dolce’ - pur nell’assenza di investimenti valoriali o pulsionali - sempre nell’indistinzione identitaria ci si trova -, luogo del dandy (sì, ci so’ tornato), o per lo meno luogo del melanconico e distaccato dandy che, in procinto di una gita, chiede distratto al suo maggiordomo: «Archibald... Which lake do I prefer?» [Che lago preferisco?], figura che l’artista concettuale italiano Giulio Paolini - che personalmente adoro - riprende per dar conto nelle cose che scrive della supposta ‘creazione’ dell'artista, arrivando - alle mie orecchie di wittgensteiniano ed amante folle della Critica della Facoltà di Giudizio di Kant - a delle intuizioni geniali, per quelle linee di calembour e deviazioni, di visioni e riflessioni a specchio che pochi artisti permettono a se stessi, come prestigiatori che non solo non vogliono rivelare i loro trucchi ma quasi non ci vogliono pensare loro stessi.
In sintesi, anche se lui non lo dice così, si arriva a vedere come si tratti proprio di prendere i conigli da dentro il cilindro (vuoto?) del prestigiatore - questa per me l’unica immagine (la propone lo scrittore di fumetti e non solo Alan Moore) che riesce a dar conto dell’arte e quindi del pensiero umano e dar senso a quella domandina futile futile del tipo “ma da dove prendi le idee?” -; insomma si tratta di prendere e riconoscere, nel distacco da sè e nelle sue ricomposizioni. Quindi il limbo - o il declino, ma forse qui sono fuori tema, non so, in realtà scrivo tutto questo perché me lo diciate voi - può perfino avere forme di vita al suo interno, magari non battezzate, senza colpa quindi forse senza nome o volto, sicuramente non generate - nel limbo non c’è sesso - ma trovate lì... Insomma, esercitando e declinando la propria soggettualità - la preferenza -, il dandy, come noi tutti, compie un declino - dal pieno al vuoto, dall’Io come illusione identitaria e direzionalmente desiderante al soggetto come buco della creazione intesa come riconoscimento e riempimento -, e trova in esso dunque la possibilità del pensiero stesso, del pensiero realmente pensato, del pensiero non (solo) ermeneutico, del pensiero ex novo poiché ex nihilo dal cilindro; davvero bizzarro, pensando a come il limbo pietrifichi invece il soggetto e lo avvolga di Ombre e Nebbia (dopo averne letto il soggetto, o forse la sceneggiatura teatrale, sono anni che vorrei vedere ‘sto film di Woody Allen, mi sa che è arrivato il momento di affittarlo).
E qui entra, o pensando al personaggio esce, Bartleby lo scrivano, con il suo ‘I would prefer not to’, strana forma grammaticale - una possibile traduzione in italiano è ‘avrei preferenza di no’ - reiterata stolidamente e malinconicamente per declinare qualunque richiesta, invito o comando ricevuto dagli altri - Bartleby distrugge la contestualità del linguaggio -; formula che non esprime una volontà di non..., ma una volontà di no, un nulla di volontà - e già che si ci siamo Bartleby distrugge la referenzialità del linguaggio -, formula che lo porta fino a perdersi, non in senso di una follia deliroide, ma come e vera propria sparizione. Questi ultimi due incisi, quelli su B. ed il linguaggio, li devo al poco che ho capito di un saggio di Deleuze - che a me di norma non fa proprio impazzire - proprio su Bartleby, ma qui ho bisogno proprio di andarmi a rileggere Mellville dato che saranno quasi dieci anni; comunque spero che un po’ ci siamo capiti, Bartleby è proprio la forma melanconica per eccellenza, cui penso in termini se volete ‘negativi’ - non fa proprio ‘sta bella fine -, e però nel suo essere puramente ‘il limbo’ (mi) dice veramente moltissimo, diventa esemplare di tanta roba che mi vedo attorno ed indosso, esemplare non in senso statistico e sociologico ma come categoria dello spirito - ok, io non è che sappia bene che cosa sono le categorie dello spirito, ma per dirla più semplicemente è un uomo senza qualità, anche narrative, se non quella declinante: sembra una macchietta ma non da due soldi e con qualcosa da dire al posto del solito tormentone, e quel qualcosa è nulla, è una maschera senza bisogno di volti o ammenicoli, un caratterista del nulla, un soggetto senza io (o viceversa, mica ho capito bene).
Vabbè, tutto sto casino è quanto, che ovviamente non giunge a nulla (limbo, ricordate?), così tanto per ‘socializzare’ quello che mi passa per la testa, sperando magari di ricevere qualche cosa, commenti e consigli soprattutto, me anche improperi, che come si vede non è che abbia le idee molto chiare su sta roba che mi riguarda parecchio.
Ah, degli Amish - mica me ne ero scordato - ve ne parlo, forse, n’altra volta (in sintesi Amish=limbo=tolleranza ovvero gli Amish sono fuori dal tempo storico, in teoria fuori dal declino, per provare a vivere un tempo ‘umano’ perché divino e quindi agli Amish non gliene frega un cazzo di nulla, possono vivere in mezzo a persone che non stimano affatto e di cui non condividono affatto gli stili di vita ma non rompono le scatole a nessuno, se si continua il paradosso - che è di Slavoj Zizek - alla fine si vede che gli unici tolleranti o aperti sono loro, gli unici che smontano i giochi delle convinzioni e delle invidie...).
Francesco
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