19 aprile 2007

Declino?

Recupero un mio commento sulla questione del tema del prossimo numero - che immagino non sia stato letto, perché venuto tardi e sommerso dunque da altri post. Più che altro perché so che le scadenze sono abbastanza "stringenti".
(tra parentesi sarebbe bene anche annunciare l'uscita del numero 5, no?).

Dicevo: "Mi piacerebbe si continuasse qui la discussione sul tema. Sarebbe bene - per noi all'estero, e anche per una formulazione scritta e più estesa - che i tabardiani esplicassero per esteso quelli che sono stati i loro interventi durante il corso della riunione. [aggiungo: quella di febbraio e quella a venire]
Una sola domanda. Abbiamo fatto un numero sulla "personalità autoritaria" per sottolineare come molteplici spinte nella loro assolutezza e "unità" oggi, nelle nostre società, portino a un'evidente forma di autoritarismo (ma si può utilizzare foucaultianamente il plurale di forme). E tutto questo discorso rimaneva chiaramente nell'orbita teorica tabardiana della "dicotomia" molteplice/unità, cioé era già implicito nei presupposti del primo numero.
Se non vogliamo descrivere la nostra attualità come "epoca di decadenza", credo che dovremmo spiegare - spiegatemi - dunque, per chiarificarci gli intenti, il senso di un numero su questo tema che, sì è molto interessante e rappresenta una sfida teorica, ma che però dovrebbe cercare un aggancio profondo e una motivazione "militante" in relazione al contemporaneo.
Insomma, molto semplicemente, posso intuirlo ma in direzioni diverse e non chiare, perché Tabard realizzerà un numero sulla decadenza?
Mi sarebbe molto utile se iniziassimo a rispondere a questa banale e sostanziale domanda, che credo sia venuta fuori durante una chat skypesca con mimmo.
Davvero è solo per iniziare a capire (dato che di leggere per il momento, il mio momento, ancora non se ne parla)".

eugenio

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11 Commenti:

Alle 4/05/2007 12:52:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Riporto parte del resoconto di Mimmo:

Tutti i Tabardiani hanno il dovere morale di intervenire sul blog, partendo dal post di Santangelo, per alimentare il sacro fuoco della discussione.

Breve schema degli argomenti dibattuti durante la riunione:

- Discorso sulla "decadenza" americana: come proposto dall'ultimo numero di Limes si tratta di una decadenza esclusivamente interna (crisi di valori, perdita delle libertà individuali, Patrioct Act)?
(Marco, a te il compito di specificare meglio, sul blog, i termini della questione)

- Perchè si parla dell'Oggi in termini di "decadenza"?

-La decadenza è l'altra faccia del postmoderno? Dove il dialogo è il suo vettore positivo la frantumazione è quello negativo?

- E' evidente che "Tabard" non vuole dare al termine "decadenza" un significato per forza di cose negativo.
(Credo sia inutile ribadire le posizioni interne alla redazione, le conosciamo, e poi c'è il blog apposta.)

-Sarebbe il caso di scrivere qualcosa sullo "scontro di civiltà".

 
Alle 4/05/2007 12:53:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Bene, iniziamo. In attesa che Marco, come da invito di Mimmo, specifichi meglio i termini della questione posta da Limes, che finora, per chi non ha letto la rivista, sono abbastanza vaghi.

Per ora quindi solo domande: consideriamo la nostra come un'epoca di decadenza? Eugenio sembra dire di no, Mimmo forse il contrario (sarà la mia "esternitudine" ma le posizioni interne della redazione forse sarebbe meglio espicitarle). E consideriamo decadenza la deriva assolutistica del potere "imperiale" o piuttosto le spinte rivoluzionarie al suo interno? O giochiamo sui punti di vista? è questa la retorica di cui parla Achille? Vogliamo analizzare una delle due concezioni di decadenza o proprio la loro ambiguità? Antonio e Lorenzo propongono un'analisi della decadenza dal "nostro" punto di vista, dal punto di vista di chi guarda l'impero da "fuori", o da "sotto", giusto? In ultimo non ho ben capito quale ruolo abbia l'America nel nostro discorso: se sia solo una delle facce, la più esposta, dell'impero decadente o se dobbiamo farne unico campo di ricerca? Aspetto risposte o altre domande, anche per me la lettura è ora proibitiva.

 
Alle 4/06/2007 04:57:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Perché un numero sulla decadenza. Mi vengono in mente le nostre discussioni sulla teoria del romanzo di un anno fa, quelle innescate dalla lettura degli ultimi romanzi di tondelli. Lì avevamo parlato di molteplicità bachtiniana, ironia romantica, trascendenza, kitsch, e da lì erano nate alcune cose del numero sul postmoderno. Mi sembra che in quelle discussioni si possa ritrovare anche l’origine di quello che stiamo cercando di fare adesso.
Per come la vedo io il numero sulla decadenza non può che essere l’altra faccia – inestricabile e complementare – di quello sul postmoderno. Nella personalità autoritaria avevamo visto la spinta monologica e oppressiva del potere, il postmoderno aveva liberato invece la dialogicità dell’incomponibile molteplicità del reale.

Ma ci si può fermare a questo? L’apertura non rischia sempre di tramutarsi nel suo opposto? Dal momento in cui la cultura diciamo “pubblicitaria” si è impossessata di ogni tipo di linguaggio, non rischia anche la polifonia di parlare le lingue del potere? In altri termini: la molteplicità non è solo comprensione, tolleranza, volontà di capire e non di dominare, apertura all’altro: la molteplicità è anche caos insensato, impossibilità di capire e quindi necessità di dominare, fine del dialogo per assenza di ogni possibile senso (pensiamo ai dialoghi di beckett)….

si può vivere consapevolmente nella molteplicità (nel postmoderno), solo se non si smette mai di tenere gli occhi spalancati; perché alla fine il cuore della questione non è nemmeno il contrasto tra la spinta verso l’uno, e la dispersione nel molteplice, ma semmai il rendersi conto che non è pensabile neppure alcuna nostalgia per l’uno! Perché quello che si intende per uno, assoluto, io ecc, non esiste nemmeno come pulsione, la verità è che tutto è agito e parlato da un linguaggio che è già il “loro”, l’universo frantumato e incomprensibile dell’estraneità… io spero di riuscire a farvi capire quello che intendo, ma infondo è la stessa cosa di quando mi dicevo che bachtin non basta più. Il rovescio di bachtin è beckett, la pluralità, la parola che è parlata dall’altro ma allo stesso tempo non è né apertura né tolleranza: è solo un chiudersi fuori da tutto, un lasciar libero il campo al pulviscolo brutale e oppressivo dell’estraneità. Ecco perché avevo proposto come uno dei possibili approcci al declino, il problema della retorica, di come il linguaggio che si crede “aperto” possa in realtà trasformarsi in un crocevia sclerotizzato del potere, in un veicolo d’oppressione, o comunque in uno spazio in cui va in scena il dominio.

Io credo nessuno di noi pensa di vivere in un epoca di “decadenza” dal punto di vista storicistico (soprattutto perché tale punto di vista non esiste più per nessuno, spero). Parlare di decadenza è solo uno scrutare sempre il doppio movimento dell’apertura, o della globalizzazione, per passare al piano politico. Per non dimenticare che anche la pluralità può essere oppressione. Anche questo mi sembra un approccio militante al reale, e per nulla in contraddizione con le nostre idee sul postmoderno. E poi, proprio nel momento in cui l’impero si apre diventa più pervasivo. La sua decadenza è anche la sua gloria. ( e c’ho infilato pure la frasetta!!!)

Fatevi vivi. E scusate la confusione.

 
Alle 4/10/2007 03:32:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

«In poche parole il mio lavoro muove dall’ipotesi secondo la quale la nozione di felicità personale si amplifica in campo letterario nella misura in cui diminuisce l´influenza di una nazione o di una civiltà in generale.»
«E ... cosa intende di preciso per felicità personale?»
«Be’, ecco... diciamo, l’idea che un individuo ha di ricevere dalla propria vita gratificazioni di carattere immediato, e che la misura di quelle gratificazioni costituisce il parametro normativo del vissuto.»
«Potrebbe fare un esempio pratico per i nostri ascoltatori?»
«Per esempio... il matrimonio. Nelle società stabili il matrimonio è un modo di scambio economico o politico, se non addirittura un’unità produttiva.»
«Il che vorrebbe dire?»
«Il che vorrebbe dire che un matrimonio riuscito non ha niente a che vedere con la felicità personale dei due individui membri della coppia - al limite la questione non si pone nemmeno. É come se una società in via di sviluppo si preoccupasse più del bene collettivo o di un ipotetico benessere futuro che della soddisfazione dei bisogni individuali immediati. Nella letteratura dell’età romana il concetto di amore coniugale comincia a proliferare sotto Diocleziano, nel III sec d.C., proprio nel momento in cui la struttura dell’impero entra in crisi: stesso fenomeno nell’Europa del XVIII secolo, in cui l´idea rousseauiana di felicità precede di poco la rivoluzione francese. Il che mi fa porre un quesito paradossale. L´esasperata ricerca della felicità individuale che osserviamo oggigiorno nella nostra società non può essere in fin dei conti storicamente legata al declino dell’impero americano a cui stiamo cominciando ad assistere?»

(da Il declino dell’impero americano)

 
Alle 4/10/2007 03:33:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Il dialogo qua sopra é quello con cui si apre Il declino dell’impero americano di Denys Arcand, l’intervista nella palestra – immagino lo abbiate già visto tutti, per lo meno se avete frequentato Mimmo negli ultimi mesi. L’ho messo qua semplicemente come spunto ulteriore per la questione dell’ambiguità, della valutazione positiva o negativa che si dà del concetto di decadenza (sempre che dare una valutazione abbia un senso, uso il termine così per capirsi). Anch’io come Achille ho avuto la sensazione che la scelta del tema fosse una conseguenza quasi spontanea del nostro lavoro sul Postmoderno, le due questioni di presentavano sempre in qualche modo collegate, ma non è neanche venuto fuori semplicemente dai testi letti, c’è altro – non saprei bene che, mi impegno a pensarci e esplicitarlo meglio. in ultimo, non mi è chiaro in che modo guardiamo la questione “impero”: equivale a “Stati Uniti” o siamo anche noi in qualche modo compresi (=Europa), cioè chi decade esattamente.

 
Alle 4/10/2007 04:09:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Io mi ri-accodo dietro a Daria nella richiesta di specificare il ruolo degli Stati Uniti nel nostro discorso. E rinnovo l'invito a postare le linee guida del numero di Limes. Inoltre chiedo ad Achille come secondo lui l'impossibilità di capire possa tramutarsi in necessità di dominare. Come la molteplicità diventa oppressione e quindi decadenza?
Svilupperei volentieri il discorso sulla retorica della decadenza, sulla retorica del potere, sulla doppia retorica potere/eversione, sull'uso che entrambi fanno della molteplicità del linguaggio e se e come questa coabitazione sia possibile. Davvero non ci muoviamo verso una valutazione? Voglio dire, chi ha proposto la decadenza come campo di ricerca, cosa aveva in men te esattamente? Nel post riassuntivo di Vittorio si elencavano degli spunti piuttosto disparati: rimaniamo su questo binario multiplo? Galleggiamo nell'ambiguità che diceva Daria? Quindi a ognuno portare il suo spunto. Non so, mi mancano un pò di coordinate.

 
Alle 4/10/2007 04:37:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

"Il liberalismo economico, è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Allo stesso modo, il liberalismo sessuale, è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. [...] Alcuni vincono in tutti e due i campi; altri perdono in entrambi. Le imprese si disputano alcuni giovani diplomati; le donne si disputano alcuni uomini; gli uomini si disputano alcune donne; il disordine e l'agitazione sono considerevoli."

"Non capisco, concretamente, come la gente riesca a vivere. Ho l'impressione che tutti dovrebbero essere infelici; viviamo in un mondo talmente semplice. C'è un sistema basato sulla dominazione, il denaro e la paura - un sistema piuttosto maschile, chiamiamolo Marte; c'è un sistema femminile basato sulla seduzione e il sesso, chiamiamolo Venere. Ed è tutto. E' veramente possibile vivere e credere che non ci sia nient'altro? Con i realisti della fine del XIX secolo, Maupassant ha creduto che non ci fosse nient'altro; e questo l'ha condotto fino alla follia furiosa. [...] Simile in questo ai nostri contemporanei, egli stabiliva una separazione assoluta tra la sua esistenza individuale e il resto del mondo. E' l'unica maniera in cui possiamo pensare il mondo oggi. [...] Più generalmente, noi siamo tutti sottomessi all'invecchiamento e alla morte: questa nozione di invecchiamento e morte è insopportabile per l'individuo umano; nelle nostre civilizzazioni, essa si sviluppa sovrana e incondizionata, riempe progressivamente il campo della coscienza, non lascia sussistere altro. Così, poco a poco, si stabilisce la certezza della limitazione del mondo. Il desiderio stesso sparisce ; non resta che l'amarezza, la gelosia e la paura. Soprattutto resta l'amarezza; un'immensa, inconcepibile amarezza. Nessuna civilizzazione, nessuna epoca è stata in grado di sviluppare nei suoi soggetti una tale quantità d'amarezza. Da questo punto di vista, viviamo dei momenti senza precedenti. Se bisognasse riassumere lo stato mentale contemporaneo in una parola, è senza dubbio questa che sceglierei: l'amarezza."

Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta, 1994

 
Alle 4/11/2007 09:34:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

"I sintomi della caduta dell'impero sono visibili ovunque: la popolazione civile che disprezza le proprie istituzioni, il crollo del tasso di natalità, la renitenza dei maschi al servizio di leva, un debito nazionale ormai incontrollabile, la diminuzione costante delle ore di lavoro, il proliferare dei funzionari, la degenerazione delle elites. Dopo il declino del sogno marxista-leninista non è più possibile additare alcun modello di società del quale si possa dire: ecco come ci piacerebbe vivere.
Come del resto nella sfera privata, a meno di non essere mistici o santi è praticamente impossibile modellare la propria vita su di un esempio alla nostra portata. Quello che viviamo è un processo generalizzato di disgregazione dell'esistenza."

"E questo processo secondo lei è inevitabile?"

"Sì, senza dubbio. Anche se come in tutte le epoche troverà sempre un ciarlatano disposto a dirle che la salvezza è nei sistemi di comunicazione, nei microcircuiti stampati, nella rinascita religiosa, nella forma fisica o in qualsiasi altra sciocchezza. La decadenza di una civiltà è altrettanto inevitabile che l'invecchiamento degli individui, tutt'al più possiamo sperare di ritardarne leggermente il processo, ma nient'altro. E tenga presente che noi in Canada abbiamo la fortuna di vivere alla periferia dell'impero, le scosse sono molto meno violente.
Bisogna aggiungere anche che l'attuale periodo può essere molto piacevole a viversi sotto certi aspetti, e comunque sia i nostri meccanismi mentali ci impediscono qualsiasi altra forma di esperienza. Non credo che tra noi ce ne sarebbero molti dispsoti a vivere nell'ambiente puritano del New England del 1650."

(da "Il declino dell'impero americano")

 
Alle 4/11/2007 09:34:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

e questo è l'altro pezzo fondamentale del film

mimmo

 
Alle 4/11/2007 12:14:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

nota disambigua: dove sopra ho scritto „ambiguitá”, non intendevo qualcosa come non prendere posizione/lasciare indifferente, quanto piuttosto il seguire entrambe le direzioni, seppure divergenti, aspetti positivi e aspetti negativi: esaminare i sintomi ma anche vedere che, appunto, “l´attuale periodo può essere molto piacevole a viversi sotto certi aspetti”. ma scusate, sprecisione mia.

visto che poi contrariamente al mio costume sono ben due commenti che non nomino Thomas Pynchon, direi che la salvezza dei circuiti stampati è senza dubbio un riferimento al suddetto... si dovrebbe capire meglio, anche, quale sia il legame tra tutto questo e le teorie complottistiche, e meglio ancora il legame di entrambi coi processi economici in corso (mi riferisco al post di Lorenzo: ha qualche significato ulteriore che l’autore di quel libro sia anche dietrologo?)

 
Alle 4/16/2007 09:31:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

Per quanto riguarda l'osservazione di Achille nella mail di redazione (e aridaje...): credo che si possa dire che per Houellebecq la decadenza non è legata ad un momento storico per il semplice fatto che egli considera decadente ogni età dell'uomo, proprio per l'intrinseca incapacità umana a raggiungere un'armonia con gli altri e col mondo. Tuttavia una neanche tanto implicita critica ai mores contemporanei è ben presente nelle sue opere, tipo (vedi citazioni) quando accusa il liberismo economico e quello sessuale (ed è qui forse il suo maggiore apporto) di aver esasperato l'alienazione dell'uomo moderno. Un altro apporto interessante che potremmo cavarne viene dall'uso che egli fa della retorica aziendale e pubblicitaria, che però mi sembra un pò parodiata (o stilizzata) e che non mostra certo l'acquisizione di quella molteplicità di cui dicevi.

 

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