31 marzo 2008

Allam (non) è grande

Nei tempi che ci sono toccati – di ritorno delle religioni, più che di ritorno del religioso – il secondo grado – Tabard si metta pure, è il caso di dirlo, l’anima in pace... – non può che essere quello della conversione. Nei tempi della vita-spettacolo, poi, la conversione religiosa è cosa pubblica, in quanto evento facilmente mediatizzabile e mediatizzato. A volte, é anche cosa politica.

Su questa riflessione sembra incardinarsi una recente riflessione di Furio Colombo sulla conversione pasquale, con tanto di battesimo e cresima, di Magdi Allam, oggi Magdi Cristiano Allam. È un’analisi fondata in realtà sulla disamina di un altro fenomeno, che Colombo ritiene, forse giustamente, ben più pregnante: la condotta politica della Chiesa durante il papato di Joseph Ratzinger.

Secondo Colombo, il Vaticano si sarebbe progressivamente orientato, in modo sempre più aperto, contro l’ebraismo e contro l’Islam. Prova ne sarebbero, quanto all’anti-giudaismo, la rinuncia al suo posto del patriarca latino di Gerusalemme, M. Sabbah, un palestinese “logicamente filo-palestinese” (benedetta tautologia!), che tra le altre cose avrebbe addirittura dichiarato, nel discorso d’addio: “Il Medio Oriente ha bisogno di uomini di pace. Israele non ne ha. Da Israele non può venire la pace”; la non-menzione di Israele (sostituito da una più blanda e multilaterale definizione di “Terrasanta”) tra i posti del mondo che hanno un forte bisogno di pacificazione, nella preghiera pasquale, e – aggiungiamo, per non venir meno al nostro dovere di catechismo delle masse... – la riformulazione della preghiera per gli Ebrei del Venerdì santo, di cui si può leggere il riassunto wikipediano qui.

Tutto questo livore antiebraico si unirebbe poi alla conversione dell’intellettuale islamico moderato, che sarebbe rivolta invece contro l’Islam, nel tentativo di disgregare la Umma, mettendola in contraddizione con se stessa.
Un assalto senza precedenti alla fede altrui, non c’è che dire...

Vorrei discostarmi da questa teoria, che non etichetto affatto di “laicismo”, come fanno i corsivisti del Riformista e dell’Avvenire, e non soltanto per mancanza di affinità elettive con questi signori. Mi sembra solo una teoria iperbolica – non visionaria, allucinata, o, chissà, perversa.

Iperbolica.
Benedetto XVI, è vero, ha calpestato in vario modo l’ecumenismo del papa suo predecessore, ma non sta complottando contro le altre fedi monoteiste e i loro credenti. I fatti riportati – il discorso d’addio, dovuto all’abbandono della carica per raggiunti limiti di età, di un vescovo, seppure vescovo di Gerusalemme; le definizioni utilizzate in due preghiere, al posto di altre comunque non dissimili, o diverse, ma per alcune sfumature molto deboli; la conversione, per quanto simbolica, di una persona – non mi sembrano cosa da novello crociato.

Ben più rilevante, in tutta questa storia, mi sembra ciò che Magdi Allam ha scritto e continuerà a scrivere, sul Corriere della Sera e nei suoi libri. Come affermato ad esempio con chiarezza lapidaria da Rita Guma, appartenente alla onlus “Osservatorio sulla legalità”, la conversione di Magdi Allam è anche un cambio definitivo di campo, una chiarificazione sulle sue posizioni in merito alle guerre americane in Medio Oriente, sul terrorismo e sul ruolo della religione islamica in questo nostro scenario economico e politico. Magdi Allam non è, o non è soltanto, un musulmano che si è ribellato contro le ristrettezze religiose e ideologiche dalle quali è uscito, approdando in Italia; è anche un commentatore politico e culturale dichiaratamente filo-americano (nel senso deleterio di questa ormai deleteria definizione), che, da specialista del mondo arabo, ha indotto la semplificazione sul mondo islamico ai suoi lettori invece di favorirne una conoscenza articolata.

Dico, se n’è accorta pure Afef.
Magdi Allam mi ha ricordato le ultime posizioni, altrettanto radicali e anti-musulmane, ma soprattutto anti-intelligenti, di Salman Rushdie, il quale ha recentemente riscritto un suo famoso articolo (“Mia cara piccola seimiliardesima persona vivente”). A suo tempo, Rushdie, pur forte di una critica illuminista a tutte le religioni, negava importanza allo scontro di civiltà; oggi si è spostato su posizioni più marcatamente huntingtoniane – per non dire neocon, quando definisce “fascista” tutto il mondo islamico, senza distinzioni di sorta.

Allam e Rushdie sono stati e sono due perseguitati in nome della religione, questo non lo si vuole negare. Ma è appunto qualcosa che è fatto strumentalmente “in nome di”, non che promana dall’essenza di questi culti.

Non voglio insomma fare anche qui della polemichetta sulla strumentalità del gesto di Magdi Cristiano Allam e delle sue circostanze. Credo che per la persona Magdi Allam questo abbia significato molto e voglio rispettare la sua scelta.

Molto importante mi sembra, allo stesso tempo, accordare cittadinanza, ora e in futuro, alle molteplici facce della religione islamica che non si presentano, né mai si presenteranno, con il coltello tra i denti; ricordare che l’etichetta dell’altro come “nazifascista” è servile soltanto a un certo tipo di propaganda guerrafondaia, innestata ancora, a sessant’anni di distanza, sui ricordi della seconda guerra mondiale; pensare a costruire ponti tra le parti in causa, non deridere i pontieri o, peggio, cambiare parte affermando più o meno convintamente la superiorità della nuova scelta.

E cristallizzando l’esperienza del passato nello stereotipo.

Lorenzo M.


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Lo sfogo...

Per la banda tabardiana...da Ricardo...

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29 marzo 2008

Addio Valentino

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26 marzo 2008

Urca!


E anche il sito ufficiale si è attivato:

"Una bella domenica dammore rivistarolo sotto i portici della città rossa, ove il vino è buono e quando vedi San Luca, be', vuol dire che ormai sei arrivato.
Ovvero: anche se c'è sole, non andate al mare o a limonare al già citato San Luca, ma fiondatevi in vicolo Broglio già nel primo pomeriggio, che ci sono tante tante riviste e tutte le belle facce che le fanno pronte a intrattenervi, commuovervi, stupirvi, farvi ridere, farvi pisciare sotto dalla paura, fidelizzarvi, maltrattarvi, sfamarvi se siete affamati, darvi da bere se siete assetati.
Postazioni fisse, statue di cera, presentazioni rampanti e per chiudere musica e nani in fiamme.
Domenica 30. Tutto il giorno. Non avete scuse."


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21 marzo 2008

BIRRA su Repubblica Bologna

Nell'edizione odierna di Repubblica Bologna, a pag XVII, trovate un articolo che presenta la prossima tappa del BIRRA sotto le due torri (Tabard appare immeritatamente in primo piano, siamo in realtà stati piuttosto latitanti in fase organizzativa). Ne avremmo sicuramente parlato anche qui ma ne approfittiamo per anticipare l'appuntamento: domenica 30 marzo, all'Arterìa, in vicolo Broglio, dal pomeriggio a notte fonda un bel po' di riviste emiliano-romagnole più qualche gradito ospite esterno si ritroveranno, dopo il successo di Perugia, per presentazioni, letture, performances, musica e altre simpatiche amenità. Noi ci stiamo perparando, comunque niente paura, ve lo ricorderemo a tempo debito e con più dovizia di particolari.

Paolo

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19 marzo 2008

Tabard n° 7


Torniamo dopo un silenzio di imperdonabile durata ma almeno annunciamo una lieta novella: dalle uova di pasqua è uscito il nuovo numero di Tabard! L'ultima nostra fatica dedicata al secondo grado è uscita dalle rotatorie ed è pronta a invadere il mondo. Ne trovate già alcune copie alla libreria Modo Infoshop, altre ne distribuiremo presto secondo la nostra tipica maniera: a sfregio. Per la versione online c'è da aspettare ancora un po', vi terremo aggiornati. Buona lettura.

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08 marzo 2008

Un anticipo di Secondo Grado...



Nella spasmodica attesa dell'imminente uscita del nuovo numero di Tabard sul Secondo Grado, potrete ingannare il tempo ascoltando questa serata molto secondo gradesca della web radio universitaria più helvetica del mondo...

Unisound WEBRADIO

Dalle monadologiche valli della transumanza, alle operose città lacustri, lunedì sera (dalle 22.00) tutto il Canton Ticino sarà immerso nella Stimmung del secondo grado...


Scardanelli

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03 marzo 2008

Nepal, anno zero

da fuoriluogo

Una giornata fresca, ma il gran caldo sta arrivando nel Terai. Sorseggio un té nel suo bar e Amar, giovane maoista di belle speranze, mi racconta che il Nepal si trova nell'anno zero della sua storia. Il 10 aprile tutto può accadere, "possiamo salire molto in alto, ma possiamo anche cadere davvero in basso".

Dopo 200 anni di monarchia e dieci anni di guerra civile, il prossimo 10 aprile il popolo nepalese eleggerà i membri dell'Assemblea Costituente (CA) che dovranno di fatto riscrivere la storia del paese. Negli ultimi mesi, però, il Nepal, e in particolare le pianure (Terai), sono diventate teatro di profondi scontri tra diversi gruppi entici (Madesi, Tharu) e il governo nepalese.

Circa 20 gruppi armati si nascondono tra le città e nelle campagne del Terai. Tre diversi partiti politici si sono uniti nel Fronte Unito Democratico Madese (UMDF) mentre tre diversi movimenti locali sono capeggiati dal Fronte per la Liberazione dei Tharu. Il Nepal, nazione dalle 59 caste e gruppi etnici, crocevia dei popoli mongoli e indo-europei, rischia oggi di implodere schiacciato dal proliferare di vecchi e nuovi discorsi etnici. Per i più pessimisti, potrebbe diventare la "Yugoslavia del Sud Asia". Quindici giorni di blocco totale del traffico stradale e di ogni attività produttiva proclamato dall'UMDF e il paese era in ginocchio. Kathmandu non soffriva così per la mancanza di benzina, gas e cibo nemmeno durante gli anni peggiori della guerra civile. Nelle pianure, invece, a soffrire sono stati i settori piú poveri della popolazione. I senza terra, senza nemmeno lavoro, raccontavano "Quelli che bloccano le strade hanno scorte di riso per almeno un anno, ma noi come facciamo?"

Dopo lunghe e febbrili trattative la sera del 28 febbraio è arrivato l'annuncio dell'accordo tra UMDF e governo che dovrebbe consentire al paese di arrivare alle elezioni. Tutte le richieste dell'UMDF sono state di fatto accettate in cambio dell'immediata cessazione degli episodi di violenza e del blocco totale di strade e attività commerciali nel Terai. In particolare, il testo firmato dalle due parti riconosce il diritto dei Madesi e di altre etnie nepalesi di formare uno stato autonomo all'interno della nascitura Repubblica Federale Nepalese.

Nonostante il presunto lieto fine, però, il governo centrale e l'allenza degli 8 partiti hanno messo in evidenza in queste trattative la loro debolezza e indecisione, schiacciati da interessi interni contrastanti e da una comunità internazionale che vuole "le elezioni ad ogni costo".

Dall'altro lato, invece, il movimento Madese e, subito dietro, quello dei Tharu, hanno mostrato la loro capacità di controllare con la forza un territorio strategicamente fondamentale come il Terai. In più, hanno aperto nuovi spazi di violenza intra-comunitaria basata su discorsi etnici che si credevano chiusi dopo la firma degli accordi di pace. In realtà, questi ultimi mesi di lotte hanno destabilizzato i già precari equilibri politici delle aree rurali.

Non a caso, mentre in alto, i partiti dell'alleanza sono concordi nel definire il 10 aprile un "appuntamento imprescidibile e cruciale", in basso, tra la gente che dei salotti di Kathmandu non sa molto, si mormora che "se continueranno così un colpo di stato non sembra molto lontano". Maoisti, esercito e re, sono tutti credibili attori per una svolta autoritaria nel paese.

In questo caos apparente, critiche all'ONU arrivano da ogni lato. Secondo "Sam", avvocato per i diritti umani e vicino ai partiti di governo, "invece di costruire la pace, sono venuti qui per dividerci". Secondo un leader del Fronte per la Liberazione dei Tharu, "l'ONU è semplicemente una marionetta degli USA". Nelle ultime settimane, infatti, anche alcuni veicoli della Missione Onu in Nepal (UNMIN) sono diventati bersaglio delle giornaliere scene di violenza urbana (rapporto sicurezza OCHA).

Più le elezioni si avvicinano, più la tensione sembra aumentare. Ad oggi, è impossibile prevedere ciò che accadrà. Certamente, però, l'anno zero del Nepal è già iniziato e tutto fa credere che sarà un anno molto lungo.

Rocco


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01 marzo 2008

Todorov e la letteratura del fantastico (del FD, del Fantastico Democratico)

Potrebbe essere nominato lo sport dell’anno – offrendo anche, nella stessa definizione, un gustoso parallelismo. Rovesciare letame, e letame a badilate!, sul '68, è diventata infatti in questi primi mesi del quarantennale, l’a.d. 2008 (inaugurato in Italia, a dire il vero, proprio a capodanno da un servizio commemorativo, persino blandamente positivo, del Tg1 di Gianni Riotta – affatto un nostalgico, quanto a questo...), una delle specialità dei giornalisti e degli intellettuali d’oggi, d’ogni risma e specie.

Certo, uno sport praticato da giornalisti e non, da intellettuali e non.
...Da schierati a destra e non. Anche qui con un parallelismo – un po’ meno gustoso, però...

Ci capita di leggere, tra le varie posizioni generate da questo anniversario (che si riconosce certamente per essere sommamente ambiguo, però anche per questo difficilmente interpretabile in modo unilaterale e tanto meno, quindi, risolvibile in chiave scandalistico-revisionista) pure un articolo di Tzvetan Todorov, lo studioso franco-bulgaro di caratura internazionale che ha spesso segnato in modo indelebile l’avventura critica e semiotica del secondo dopoguerra.

Il titolo dell’articolo, tradotto in italiano con una discreta violenza verbale, a disdoro proprio di quanto appena detto, suona più o meno così: “Vi spiego perché i Neo-con sono i veri eredi del ‘68” (Repubblica, 29/02/2008, ma rimpallato anche, con una disarmante, se non inquietante, celerità dall’Area Rassegna Stampa del Partito Democratico.*)

Leggere per credere.
La tesi di Todorov, in soldoni, è quella che il '68 abbia prodotto consistenti innovazioni in campo sociale, mentre sia rimasta al palo su quello politico, traducendo in un dogmatismo e in un utopismo completamente sbagliati, anche perché universalisti, e controproducenti, alcuni ideali che avrebbero potuto essere concretizzati diversamente. Si è promessa la salvezza, sostituendo la politica alla religione (secondo un sillogismo anti-marxista piuttosto vecchio....), considerando il mondo “misero” e “malvagio nella sua totalità”, e quindi da abbattere, piuttosto che riformare. Si sono appoggiati governi autoritari e dittature, in modo a volte consapevole, se non complice.

Lo stesso, mutatis mutandis, avverrebbe oggi con il neoconservatorismo, meglio definibile, secondo Todorov, come “neo-rivoluzione.” (Vedreste Bush jr. o Donald Rumsfeld con il basco in testa, alla guida di un’Internazionale neocon? No, appunto...)
L’impronta radicale del messaggio neo-con ha le caratteristiche di cui sopra; si differenzia unicamente per il fatto che ciò che prima era un’istanza interna a uno Stato ora si presenta come “diritto d’ingerenza” (vedi gli Usa e la famosa esportazione della democrazia, di cui, ad onor del vero, Todorov é totalmente critico).

Ora, chiedere una cosa per sé e chiederla per gli altri (imporla agli altri, bombardare altri per imporgliela, etc.) sono sintomi di due pensieri radicalmente diversi; se si torna invece al nocciolo politico della questione, mentre il '68 ha cambiato la società, i neocon, oggi, la vogliono spesso ancorare a una tradizione pre-sessantottina (sono, ahimé, quelli che una volta si definivano ideologicamente “reazionari”...); se il marxismo era un credo religioso en travesti, il neoconservatorismo ha gettato evidentemente anche quel travestimento.

La trasmutazione storica c’è stata, non dico di no, se Giuliano Ferrara una volta era un fervente praticante comunista e ora è un fervente attivista pro-life, e con lui molti altri fuoriusciti da Pci e sinistra extraparlamentare (Todorov cita in effetti il caso esemplare, in Francia, di un André Glucksmann), o se, negli Stati Uniti in modo paradigmatico, molti hippies degli anni '60 si sono trasformati con tutta facilità in yuppies, negli anni '80.

Per il resto, no, professor Todorov (o la dovremmo chiamare Titti, come Pierluigi Battista si fa chiamare Pigi?), no, no e poi ancora no.

E poi neanche sulle questioni teoriche andiamo d’accordo. Preferisco la rivolta, chiaramente ideologica e “post-sessantottina” di un Alan Badiou (se ne può leggere qui) e anche la sua analisi del sarkozismo, alla corrente revisionista e antirelativista di certa critica letteraria e culturale francese di oggi. Abbraccio l’ideologia, se questa vuol dire “visione di società”, e non attaccamento fondamentalista ai principi piuttosto che all’interpretazione della società (legato critico questo sì indiscutibile di un '68 che ha appoggiato, per esempio, il maoismo), piuttosto che puntare sul cavallo vincente dell’anti-ideologia, spronato dagli stessi teorici neocon, o dai piddini italiani, nel tentativo di fondere con il naturale (anti-ideologico) il culturale (sempre ideologico).

Preferisco ricordare le proteste contro la guerra in Vietnam che promuovere la guerra in Afghanistan e in Iraq, grazie. Credo siano cose ben diverse...
Sarà vero, insomma, che l’esprit de mai (lo spirito del maggio '68) non è più un fantasma che vaga per l’Europa, ma, visto che la polisemia del termine si capisce bene anche in italiano, forse non si dovrebbe dimenticare che comunque di spirito si trattava, di una mentalità e di una cultura difficilmente replicabili (soprattutto da chi li avversa).

Lorenzo M.

* Manco a dirlo, lo stralcio della rassegna stampa Pd inizia a metà articolo, tralasciando la prima parte, di commento 100% positivo, e lo fa con le parole: “Vennero a mancare alcune inibizioni, in particolare nei rapporti sessuali...” Padre Gaudenzio Lussorio Ferraris dovrebbe saperne qualcosa...

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