Todorov e la letteratura del fantastico (del FD, del Fantastico Democratico)
Potrebbe essere nominato lo sport dell’anno – offrendo anche, nella stessa definizione, un gustoso parallelismo. Rovesciare letame, e letame a badilate!, sul '68, è diventata infatti in questi primi mesi del quarantennale, l’a.d. 2008 (inaugurato in Italia, a dire il vero, proprio a capodanno da un servizio commemorativo, persino blandamente positivo, del Tg1 di Gianni Riotta – affatto un nostalgico, quanto a questo...), una delle specialità dei giornalisti e degli intellettuali d’oggi, d’ogni risma e specie.
Certo, uno sport praticato da giornalisti e non, da intellettuali e non.
...Da schierati a destra e non. Anche qui con un parallelismo – un po’ meno gustoso, però...
Ci capita di leggere, tra le varie posizioni generate da questo anniversario (che si riconosce certamente per essere sommamente ambiguo, però anche per questo difficilmente interpretabile in modo unilaterale e tanto meno, quindi, risolvibile in chiave scandalistico-revisionista) pure un articolo di Tzvetan Todorov, lo studioso franco-bulgaro di caratura internazionale che ha spesso segnato in modo indelebile l’avventura critica e semiotica del secondo dopoguerra.
Il titolo dell’articolo, tradotto in italiano con una discreta violenza verbale, a disdoro proprio di quanto appena detto, suona più o meno così: “Vi spiego perché i Neo-con sono i veri eredi del ‘68” (Repubblica, 29/02/2008, ma rimpallato anche, con una disarmante, se non inquietante, celerità dall’Area Rassegna Stampa del Partito Democratico.*)
Leggere per credere.
La tesi di Todorov, in soldoni, è quella che il '68 abbia prodotto consistenti innovazioni in campo sociale, mentre sia rimasta al palo su quello politico, traducendo in un dogmatismo e in un utopismo completamente sbagliati, anche perché universalisti, e controproducenti, alcuni ideali che avrebbero potuto essere concretizzati diversamente. Si è promessa la salvezza, sostituendo la politica alla religione (secondo un sillogismo anti-marxista piuttosto vecchio....), considerando il mondo “misero” e “malvagio nella sua totalità”, e quindi da abbattere, piuttosto che riformare. Si sono appoggiati governi autoritari e dittature, in modo a volte consapevole, se non complice.
Lo stesso, mutatis mutandis, avverrebbe oggi con il neoconservatorismo, meglio definibile, secondo Todorov, come “neo-rivoluzione.” (Vedreste Bush jr. o Donald Rumsfeld con il basco in testa, alla guida di un’Internazionale neocon? No, appunto...)
L’impronta radicale del messaggio neo-con ha le caratteristiche di cui sopra; si differenzia unicamente per il fatto che ciò che prima era un’istanza interna a uno Stato ora si presenta come “diritto d’ingerenza” (vedi gli Usa e la famosa esportazione della democrazia, di cui, ad onor del vero, Todorov é totalmente critico).
Ora, chiedere una cosa per sé e chiederla per gli altri (imporla agli altri, bombardare altri per imporgliela, etc.) sono sintomi di due pensieri radicalmente diversi; se si torna invece al nocciolo politico della questione, mentre il '68 ha cambiato la società, i neocon, oggi, la vogliono spesso ancorare a una tradizione pre-sessantottina (sono, ahimé, quelli che una volta si definivano ideologicamente “reazionari”...); se il marxismo era un credo religioso en travesti, il neoconservatorismo ha gettato evidentemente anche quel travestimento.
La trasmutazione storica c’è stata, non dico di no, se Giuliano Ferrara una volta era un fervente praticante comunista e ora è un fervente attivista pro-life, e con lui molti altri fuoriusciti da Pci e sinistra extraparlamentare (Todorov cita in effetti il caso esemplare, in Francia, di un André Glucksmann), o se, negli Stati Uniti in modo paradigmatico, molti hippies degli anni '60 si sono trasformati con tutta facilità in yuppies, negli anni '80.
Per il resto, no, professor Todorov (o la dovremmo chiamare Titti, come Pierluigi Battista si fa chiamare Pigi?), no, no e poi ancora no.
E poi neanche sulle questioni teoriche andiamo d’accordo. Preferisco la rivolta, chiaramente ideologica e “post-sessantottina” di un Alan Badiou (se ne può leggere qui) e anche la sua analisi del sarkozismo, alla corrente revisionista e antirelativista di certa critica letteraria e culturale francese di oggi. Abbraccio l’ideologia, se questa vuol dire “visione di società”, e non attaccamento fondamentalista ai principi piuttosto che all’interpretazione della società (legato critico questo sì indiscutibile di un '68 che ha appoggiato, per esempio, il maoismo), piuttosto che puntare sul cavallo vincente dell’anti-ideologia, spronato dagli stessi teorici neocon, o dai piddini italiani, nel tentativo di fondere con il naturale (anti-ideologico) il culturale (sempre ideologico).
Preferisco ricordare le proteste contro la guerra in Vietnam che promuovere la guerra in Afghanistan e in Iraq, grazie. Credo siano cose ben diverse...
Sarà vero, insomma, che l’esprit de mai (lo spirito del maggio '68) non è più un fantasma che vaga per l’Europa, ma, visto che la polisemia del termine si capisce bene anche in italiano, forse non si dovrebbe dimenticare che comunque di spirito si trattava, di una mentalità e di una cultura difficilmente replicabili (soprattutto da chi li avversa).
Lorenzo M.
* Manco a dirlo, lo stralcio della rassegna stampa Pd inizia a metà articolo, tralasciando la prima parte, di commento 100% positivo, e lo fa con le parole: “Vennero a mancare alcune inibizioni, in particolare nei rapporti sessuali...” Padre Gaudenzio Lussorio Ferraris dovrebbe saperne qualcosa...
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4 Commenti:
Complimenti per quest'articolo. Sono pienamente d'accordo. Lo posto
sul mio blog (ovviamente con firma e link al tuo ;)
ciao
http://www.zyon.ilcannocchiale.it/
grazie!
devo però aggiungere al post che ieri sera, in sbronza, ho avuto un'ulteriore percezione di questo clima - sarkozy-style - di svilimento del 68 guardando casini e bertinotti a porta a porta.
ora, lo so l'effetto sbronza + porta a porta non è dei migliori; è un doppio attacco al fegato, però...
non si può essere d'accordo né con chi porta avanti una critica ASSOLUTA di un movimento che ha portato più danni che vantaggi, demolendo il concetto di autorità (oggi da RIPRISTINARE) e di merito, nè con chi difende bava alla bocca il 68 di barbiana, e allo stesso tempo il 69 e i suoi autunni.
uno propone stage aziendali nelle scuole superiori, se non ho capito male, l'altro la sostituzione dei contratti a tempo determinista (scusate, a tempo determinato) con uno e un solo contratto di tirocinio e di apprendistato. corporazioni ora et semper, alleluja.
(...)
di origine indistinguibile la nausea finale.
Lorenzo M.
Appare oggi sulla Stampa un bel fondo di Barbara Spinelli, intitolato "Disfatta morale" (http://eddyburg.it/article/articleview/10892/0/287/), che chiude così:
"La questione morale è al centro. Accanto al disastro economico-strategico della guerra irachena (Stiglitz indica un costo di 3000 miliardi di dollari, pagato solo col deficit), c'è questo disastro etico: non meno esiziale. Un'etica che fallisce così miseramente è terribilmente simile al comunismo - e non sorprende che fra i neo-con ci siano tanti eredi del '68 marxista-cinese. Alla fonte l'ideale comunista è buono, ma i risultati sono tali che etica e ideale ne escono lordati irrimediabilmente. Lo stesso accade per le guerre etiche, così come son state imposte dagli esorcisti neo-con d'America ed Europa."
Di nuovo si punta il dito sul passato dei Ferrara e i Bondi d'oltreoceano - che in un certo senso sono assai più temibili dei nostrani, perchè più inclini a volare come falchi (assassini) che non a strillare come poiane (rompicoglioni).
Io però continuo a non capire il collegamento. Le rivoluzioni, vere o paventate, saranno state anche guerre etiche, ma non hanno prodotto tutte le contraddizioni etiche, ma soprattutto, nell'ottica internazionale di oggi, economiche (vedi alla voce Stiglitz) di quelle appoggiate da strutture di potere ben diverse nei propositi e nei risultati ottenuti.
Articolo comunque pregevole nel deserto intellettuale nostrano.
(Chè, tra l'altro, l'anno prossimo si torna in guerra, forse.)
viste le miserie politiche del 2008, la tentazione nostalgica verso il 68 è forte. poi però si può essere nostalgici soltanto del 77, almeno in Italia, e per molti motivi.
qui: http://spogli.blogspot.com/#20080417Titolo4
un articolo di Slavoj Zizek apparso sulla Repubblica di ieri, che da' appunto un paio di spunti per risistematizzare questi anni focali della nostra storia - restringendo il 68 al cambiamento e ampliando invece il 77, e il suo portato culturale e politico, fino ai giorni nostri. Sempre che nella lettura si tolga Zizek a Zizek, ovviamente. Che vista la complessità parolaia del professore slavo, è un'operazione che viene spontanea.
Sconsigliato per chi sviluppa un eritema al solo sentir nominare Lacan - come me, del resto...
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