31 maggio 2008

Lysistrata! (Frauenpower)

“Quando una persona compie quarant’anni riassumere gli eventi della propria vita e il proprio lavoro diventa complicato, ecco perché scelgo la via più facile e mi rifaccio a quanto pubblicato sulla versione tedesca di Wikipedia che è, per altro, molto esaustiva. (Be’ non riguardo a dettagli compromettenti su sesso, droga e rock’n’roll che comunque anch’io, a causa della droga, faccio fatica a ricordare)”.

Atene, 411 a.C. Infuria la guerra del Peloponneso, e in un affollato anfiteatro della capitale va in scena l’ultima fatica di Ralf König, Lysistrata, liberamente tratta dall’omonima commedia di Aristofane. Bisbigli dalla platea, marito e moglie commentano ad alta voce la vicenda: per convincere gli uomini a porre fine al conflitto che da trent’anni insanguina la Grecia, le donne ateniesi, capeggiate dalla coraggiosa Lysistrata, decidono di occupare l’Acropoli, imponendo a mariti e amanti un ferreo sciopero sessuale fino a che non verrà stipulata la pace. A nulla valgono le preghiere e le minacce dei prodi combattenti ellenici: le donne restano asserragliate nella cittadella e le conseguenze dell’astinenza cominciano ben presto a farsi sentire sul campo di battaglia. Fin qui Aristofane – ma ecco che nella riscrittura di König entra in scena un insospettato personaggio, Hepatitos (“un nome parlante, vuol dire infiammazione al fegato”), assiduo frequentatore del club-gay “Adonis”. Travestito da sessuologo, Hepatitos convince i soldati ateniesi che per sconfiggere gli spartani in battaglia la soddisfazione erotica è imprescindibile, e che “se non può avvenire con le donne… allora sia con gli uomini”. Naturalmente, non c’è bisogno di dirlo, l’operazione militare denominata “Zwangshomosexualität” (“omosessualità coatta”, o qualcosa del genere) non ha “assolutamente nulla a che fare con l’essere gay” – altrimenti sarebbe impossibile convincere i maschissimi soldati ateniesi a prestarsi alla cosa, per lo meno prima che siano loro stessi, piano piano, a prenderci gusto al punto che le donne greche, una volta sospesa l’occupazione dell’Acropoli, faticheranno non poco a riappropriarsi dei legittimi consorti e dei relativi letti coniugali. Ma la pace è finalmente arrivata, sebbene diversamente da come aveva previsto Lysistrata, e Ralf König si diverte a dipingere questo mondo senza conflitti che potrebbe durare in eterno, se solo le donne si decidessero a diventare lesbiche pure loro e a restarsene una buona volta sull’Acropoli. La storia gioca con tutti i cliché della sottocultura gay, tra ribaltamenti di prospettiva in cui sono gli eterosessuali a nascondersi (il marito alla moglie: “ma non capisci proprio niente allora! Gli etero sono gli eterosessuali, come me e te!” “Sì, caro, va bene… ma non urlare così, devono proprio saperlo tutti?!”) e a giustificarsi (“Ma sì, anche noi qualche volta facciamo sesso come si deve… tutto sommato abbiamo popolato il mondo...”), e allusioni alle tragedie classiche (alla fine anche Edipo rimpiazza la madre con un travestito e supera finalmente il complesso nei confronti del padre).



Partita in fretta e furia avevo dimenticato a casa la mia solita pila di Topolini, così è stato proprio per un caso che mi sono comprata il fumetto di König a una bancarella (una parodia non proprio in stile disneyano, come avrei dovuto intuire dalla copertina), scoprendo solo dopo che in realtà l’autore è già piuttosto noto e tradotto anche in Italia, grazie soprattutto al Premio Internazionale del Fumetto che gli è stato assegnato a Lucca nel 2005. In Germania Ralf König è stato un attivista dei movimenti per l’emancipazione degli omosessuali e per la lotta all’AIDS, pubblicando strisce e graphic novel che lo hanno reso ben presto famoso anche al di fuori della nicchia dei lettori di schwul-comics, con traduzioni in numerose lingue – tanto che quando a metà degli anni novanta l’Ente Bavarese per la Gioventù ha proposto la messa all’indice del fumetto Bullenklöten ("Palle di toro"), la richiesta è stata immediatamente respinta dall’ispettorato federale. Lysistrata esce in Germania nell’ ’87 e nel 2002 il regista spagnolo Francesc Bellmunt ne ha tratto un film con Maribel Verdú e Juan Luis Galiardo (ancora non sono arrivati in Italia né l’uno né l’altro pare, né il fumetto né il film cioè), nel frattempo comunque sono già una decina i fumetti di König tradotti in italiano. Also, viel Spaß.

Daria


Etichette:


Leggi tutto il post

29 maggio 2008

Anche Giulietta beve BIRRA

Il baraccone del BIRRA sbarca anche a Verona per la sua seconda tappa veneta. Venerdì 30 maggio, al Circolo Pianeta Musica (Via XX settembre 122) dalle 17 in poi, le simpatiche riviste birraiole intratterranno i raffinati spettatori con presentazioni, letture, frizzi, lazzi e capriole. Siateci, perché Tabard ci sarà.

Etichette:


Leggi tutto il post

28 maggio 2008

Una carezza in un Pugno

[Recensione tardiva, in tutti i sensi, e laterale, ma non troppo, al discorso sulla New Italian Epic].

Dai vari post e commenti lasciati in questo periodo sulla definizione e sulle pratiche discorsive della New Italian Epic, raccolgo, a casaccio, qualche idea, tra cui, estratta a sorte, quella che ci sia tra le righe di Wu Ming 1 una proposta canonica, o quantomeno di “gruppo”, di “movimento artistico” – sociale, in senso lato, politica forse in senso latissimo.
Non credo che Wu Ming sia la voce che grida nel deserto – nel deserto della frammentazione delle poetiche, un paesaggio realmente esistente, qualunque attitudine critica possa ispirare, ed ancora assai tipico del postmoderno – e che cerca così di farsi alleati, o adepti, come qualcuno ha avuto anche la malizia di sostenere...
La NIE è stata una proposta, più che un'imposizione (trovo sbagliato, se non a un livello teorico che qui mi interessa poco, e che quindi si può dibattere in altro momento, l'interpretazione del saggio di WM come quella di una "forzatura teorica a posteriori, di impronta teleologica"), che ha avuto anche i suoi riscontri – Evangelisti e Lucarelli, a memoria, e altri ancora...
Ha inevitabilmente rinserrato le fila, però: fuori Scarpa, per esempio, com’era prevedibile, il quale ha ben re-indirizzato la polemica, tra le altre cose, contro i "romanzi d'eccellenza".
E sta bene.
Ma fuori anche Laura Pugno, con il suo primo romanzo, Sirene (Einaudi, 2007).

Questa fuori, ma non di molto – riga che per una volta non fa campo.

Le sirene di Pugno, infatti, sono i personaggi di una vecchia, vecchissima epica, qui rivitalizzata e rimodellata all'interno di una narrativa che oscilla tra il postmoderno e le sue varie negazioni/opposizioni/deviazioni. La loro presenza, infatti, seducente e inquietante, anche se in modo quasi gridato, nella narrazione, non dà origine a una narrazione pastichata e, cosa assai importante, consapevole di esserlo.
Certamente, le sirene sono passate con un agile movimento di pinna dal mar Egeo del passato alle acque di Underwater del futuro, un territorio immaginario controllato da una potente yakuza giapponese: è nato così un "manga letterario" (una delle influenze più forti, denunciate dalla stessa autrice nella nota di chiusura, è il ciclo della Saga della Sirena di Rumiko Takahashi) con qualche striatura fantascientifica (spesso attingendo ad una vena prosciugata fino alla consunzione, allo stereotipo – il protagonista sembra a tratti Sam Lowry di Brazil di Gilliam, a tratti il solito Bruce Willis de noantri...).
Il risultato, però, non è a più sfaccettature; è compatto, e allo stesso tempo paradossale, come bene aveva notato Emanuele Trevi, a suo tempo, sul «Manifesto» (12.07.2007) : più che un fumetto di fantascienza, Sirene assomiglia, mutatis mutandis, a un affresco medievale, dove “apocalisse e perversione sono la stessa cosa”. Tranne per il piccolo dettaglio che l’apocalisse si sa non venire mai del tutto, perché gli uomini, o almeno i poteri che li dominano, inventeranno sempre qualcosa per riprodursi e rigenerarsi. (Questo, ce lo si consentirà, molto postmoderno...)
In altre parole, la contaminazione è qui certamente un datum, un’atmosfera che tutti gli scrittori prima o poi si respira, dal quale esce un piccolo frammento, composito ma che allo stesso tempo offre la faccia opaca del paradosso e del rovesciamento a chi vuole, in virtù di una metodologia egualmente data e consacrata, rintracciare filiazioni e relazioni in modo sicuro e schematico.
La narrazione, allora, pure intrecciandosi con una storia epica (relativa alle oscure forze che muovono il mondo – nel quadro di un’analisi assai poco materialistica, forse è il caso di iniziare a lamentarsene...) e con un motivo etico (il mondo è qui lo stesso “mondo senza di noi” evocato da Wu Ming nel suo saggio), ha le caratteristiche decisive del romance, tra la quali non manca l’idealizzazione. La carne di mare delle sirene, pure così esplicitamente evocata, con la bella stringa “carne di mare”, appunto, non è la stessa carne artaudiana della poesia di Pugno (cfr. recensioni sempre entusiastiche di Andrea Cortellessa). E a poco vale una penna “emblematica quanto autoritaria” (Stefano del Bianco) – che nei cambi di tono e di ritmo adotta quasi sempre la stessa formula verbale, in modo quasi irritante – se lo sforzo narrativo tende verso tutt’altri lidi...

Ebbene, quanto alla New Italian Epic.
Il libro – che non si sogna mai, neanche lontanamente, di mescolare “fiction” e “non-fiction” – non è dunque un UNO, un “mostro”, o se lo è, è mise en abîme (scusate l’arcaismo critico...) di se stesso, perché le sirene sono veri e propri “mostri”, anche in questa loro rinascita post-human. Come “manga medievale”, è figlio di uno sguardo tanto complesso quanto popolare (quello dei cartoni giapponesi e delle grandi narrazioni distopiche, che è anche l’immaginario rivendicato per gli under 40 da Lagioia nella sua recensione per «Il Riformista»). Non presenta storie ucroniche, ma direttamente fantascientifiche, anche se di un fantasy light, sciupato – se non proprio trito e ritrito....
E se c’è, la sperimentazione è nascosta – vedi i gerghi inglesi e giapponesi, della tecnologia e del genere, che si intrecciano e vengono fluidificati dal racconto...

Non è che siamo davanti a un caso di “vecchia epica”, anzi di “old-epica”, per mantenere il taglio critico, che sfiora la NIE e la mette in crisi sui suoi stessi punti “programmtici”?
Il contatto della pinna delle sirene è malizioso, è una carezza in un Pugno.

Lorenzo Mari


Etichette:


Leggi tutto il post

25 maggio 2008

Molteplicità discontinua. La narrativa Nichel di Minimum Fax



L'ultimo numero di Atelier (49 - marzo 2008) ospita, primo fra i Saggi, l'intervento di un misterioso Gruppo di scrittura critica Tabard. Si tratta del primo di una serie di saggi collettivi sulla narrativa italiana contemporanea che pensiamo di comporre. Essendo vasta e sfuggevole la materia, abbiamo scelto, come primo approccio, di analizzare una specifica collana di narrativa italiana: Nichel della casa editrice romana Minimum Fax. Dall'introduzione di Atelier: «con acribia filologica e con persuasive argomentazioni vengono affrontate le problematiche della scrittura, della struttura narrativa, degli stili, dei generi, che delineano il “linguaggio riconoscibile” di una serie di romanzi che hanno caratterizzato e caratterizzano la narrativa contemporanea».

Il saggio è scaricabile qui.

Entusiasti e convinti della collaborazione con Atelier, stiamo già progettando un secondo contributo che verterà sui temi proposti da Wu Ming 1 nel suo saggio New Italian Epic.


Etichette:


Leggi tutto il post

23 maggio 2008

Gomorra di Matteo Garrone

Come si poteva fare un film dal libro di Saviano? Questa è la domanda che mi sono posto prima, durante e ancora dopo la visione del lavoro di Garrone. La risposta non l'ho trovata, perché ovviamente non ce n'è una giusta. Però. Però alcune cose possiamo dirle, e dobbiamo per forza partire dal libro. Che cos'è Gomorra (il libro)? Cosa lo rende unico, forte, importante, riuscito? Secondo me, che tra le altre cose lo sto anche analizzando per una tesi di laurea sull'inchiesta letteraria, è soprattutto il continuo rimbalzo tra particolare e universale e, facendo ciò, tra letterario e giornalistico, tra figurativo e didattico. L'efficacia etica e letteraria del testo di Saviano risiede in gran parte nella chiarezza, nella linearità e nella forza dei suoi passaggi dalle scene particolari di Scampia o Casal di Principe alla globalità del mondo finanziario (e qui si rivela tutta la sua padronanza della strumentazione metaforica e assimilante). Saviano usa la sua arte letteraria (condita soprattutto di riferimenti cinematrografici; movimento endo-letterario quindi, come si diceva poco fa a proposito del NIE in cui Gomorra figura) per delineare con secca efficacia la vita dei protagonisti della camorra e affianca a queste scene i suoi elenchi, i dati, la cronaca, insomma l'apparato documentario tout court. Gomorra è un grande libro anche per come ha saputo disegnare, denudandoli, i boss e le loro perversioni, i muschilli e la loro disperata violenza. Ma soprattutto per come ha saputo legare fortissimamente questi ritratti, questi quadri, alla dimensione finanziaria globale, alla perversione capitalista del denaro a tutti i costi. È la trovata che ha permesso a Saviano di oltrepassare le barriere regionali e nazionali che altri testi simili, credo, avevano bloccato, palesando efficacemente il coinvolgimento di ampi campi dell'economia globale nel traffico malavitoso. Saviano riesce a dirci "siamo tutti coinvolti".
Ed è qui che il film di Garrone fallisce; Gomorra (il film) resta un bellissimo film, un capolavoro del genere, perché ha saputo dipingere e quindi svelare alcune terre di camorra come mai nessuno prima; l'ha fatto anzi meglio di Saviano. Ma si è fermato lì. Non ha sfumato quelle tenebre con le luci sfolgoranti del mercato globale. Si è un poco crogiuolato nell'insistenza voyeristica del sottobosco umano delle Vele e ha dimenticato i boss, grandi protagonisti del libro e anelli tra Napoli e il resto del mondo. Ecco, in Gomorra (il film) non c'è il mondo. È vero: manca la speranza, la redenzione, la possibilità di salvezza, la luce. Manca lo Stato. Ma soprattutto manca il Mondo, l'esterno, quel mondo che Saviano è invece riuscito a chiamare in causa, la vittoria di Gomorra (il libro). Non basta davvero la battuta: "per salvare un operaio di Mestre ammazzi una famiglia di Mondragone".
Non so se questa è la visione ipercritica di un lettore del libro. Purtroppo non sono riuscito ad astrarmi dalla mia condizione di lettore e non so immaginare come possa recepire il film uno spettatore che non ha letto il testo di Saviano. Di sicuro gli rimarrà una lezione di cinema: uno sguardo e un movimento di camera di una coerenza e di una maturità incredibili (a parte la sbavatura di una soggettiva piuttosto inspiegabile nella scena del rituale d'iniziazione dei ragazzini); un incipit e un finale da strapparsi i capelli. Credo ci sia voluto davvero del coraggio per restare così distaccati: ma certo, come non avere fiducia in quelle scene, in quelle facce, ricostruite in maniera meravigliosa. Possiamo parlare a lungo del film, sicuramente tante altre minuzie tecniche e poetiche mi sono sfuggite, però ci tenevo qui a precisare come un film tratto da quel libro non possa esimersi dal tentare di rappresentare la ragnatela che dalla Campania avvolge il globo. Come avrebbe potuto riuscirci? Non lo so, non sta a me dirlo; ma di certo quelle tre frasette lasciate là alla fine non riescono minimamente a colmare il debito verso la mancata parte documentaristica, anzi ne palesano ancor più la mancanza.

Paolo

p.s.: non riesco a non pensare che il fatto che gli unici tre attori professionisti si assomiglino tantissimo non sia una coincidenza...


Etichette:


Leggi tutto il post

22 maggio 2008

Seconda nota sul New Italian Epic

Questo post doveva essere un commento a quello di Valentina. Ma mi si è allungato troppo. Dunque ne faccio un altro post in dialogo con quello precedente.

Faccio una cosa che non si dovrebbe assolutamente fare. Ma - dato che WM1 parla di "ritorno" della passione, partecipazione e commozione newitalianepiche vs. freddezza, sfiducia, disincanto, deresponsabilizzazione postmoderne - scrivo due tre cose a caldo, dopo che ho appena letto il saggio, e non avendo tempo di argomentare con calma e scrupolo tutto. Il saggio merita un lavoro serio, che faremo. Ma non lo merita, secondo me, per ciò che cerca di argomentare, quanto perché è alla "disperata" ricerca di una "scuola-movimento" che scuota il dibattito letterario, crei opposizioni e annessioni, scarti, prese decise di posizione e, possibilmente, nuovi oggetti letterari autocoscienti (sottolineo, nuovi oggetti, non per forza oggetti nuovi: ricordiamo Anceschi). Questo mi sembra sempre positivo. È quello che auspicammo con Tabard: autocoscienza e, perché no, tentativi di formazione di poetiche precise (anche scuole).

Ok. Nonostante questo: a caldo: questo saggio a me sembra un grandissimo guazzabuglio... Mi dispiace, ma è confuso, si serve di riferimenti obliqui in maniera totalmente strumentale, forzata e, a volte, superficiale, in funzione di una tesi per niente chiara nelle sue formulazioni esplicite, ipotizzabile in quelle implicite.
Farò pochi esempi.

C’è una confusione di categorie narratologiche. Il punto di vista obliquo è visto prima nel suo senso narratologico, poi accostato a uno straniamento puramente ideologico slegato totalmente dalla “forma narrativa” (mescolando generalizzazioni del punto di vista in quanto “sguardo sulla storia”, inverosimiglianza linguistica - scrivere in italiano storie che non si svolgono in Italia - fino all’“allegoritmo” come punto di vista globale sulla e della materia romanzata).

Il paragrafo “Accade in letteratura” parte da una concezione di estetica della ricezione totalmente antiquato, che ipostatizza l’“immagine”-fotogramma del cinema come un già-dato che lo spettatore deve solo ricevere (banalizzazione della ricezione distratta benjaminiana) di contro all’immaginazione in atto nel lettore che legge e lega le immagini che è indotto a immaginarsi. Cioè, si dà il processo della ricezione letteraria in senso dinamico (nella temporalità del suo svolgersi), ma si nega questo nella fruizione del cinema. È un argomento strumentale che evita un allargamento di prospettive che sarebbe stato interessante: cioè: cosa è successo nel cinema italiano nello stesso periodo di cui si parla qui? Perché accade SOLO in letteratura? Date le premesse storiche, sociologiche, politiche, psicologiche “condivise” come reagisce il cinema? ... esiste una NIE del cinema? E se no, come credo, perché?

Sperimentazione stilistica dissimulata: concetto interessantissimo, su cui propongo di lavorare. E però nel saggio non è spiegato assolutamente di cosa si tratti nei romanzi in questione. Si danno esempi di “piccole” modalità stilistiche che non hanno valore strutturale. Se c’è sperimentalismo (dissimulato o esplicito), questo deve lavorare sull’intera forma (e non basta la ricorrenza di un lessema... per favore...)

Si dice che nella mescolanza dei linguaggi e dei generi non si tratta di contaminazione. Contaminazione, si vuole a tutti i costi specificare, è fenomeno solo endo-letterario. Il NIE va al di là. Crea mostri, unici. Credo che è dall’inizio del Novecento che il concetto di contaminazione riguardi materiali per l’appunto extra-letterari fagocitati dalla letteratura. (Come molto spesso in questo saggio, si afferma per via negativa, però confondendo o appiattendo l'oggetto negato...)

Poi: la questione fondamentale: la sua concezione del Postmoderno. Su questo, cari tabardiani, interverrete voi. Così come avete fatto nelle mail che ci siamo scambiati. Se no io mi dilungo troppo (e non era nelle mie intenzioni). E però, lasciatemi dire: anche qui si tratta di banalizzazione, appiattimento e luogo comune. Non ci si rende conto che molti degli elementi descritti come propri della NIE sono postmodernissimi. Ma evidentemente si fa confusione cercando di contrapporre: critica vs. postmoderno; responsabilità vs. postmoderno: la macro-opposizione, comunque, è ETICA vs. POSTMODERNO.

Per chiudere:
Ho trovato fastidiosissimo (ma davvero molto) che WM1 pone il suo gruppo e i loro libri (sicuramente di valore) a "capo" della NIE. All’inizio di tutto ci siamo noi: o meglio, noi siamo la perfetta espressione del NIE. O meglio: “tutto ciò che prima di noi v’era d’implicito con i nostri libri siamo riusciti a esplicitarlo. Adesso ve lo spiego”. Non sto dicendo che ci sia malafede o narcisismo pubblicistico. Sto dicendo che si sta spacciando una poetica personale come un movimento. Se notate bene TUTTI i punti fondamentali del NIE sono attribuibili a opere di Wu Ming o all’unica di Luther Blisset. Su ogni questione, dà esempi tratti dai loro libri. L’apertura di 54 è data addirittura come partenza e chiusura (“ideologica”) del saggio.

Con questo non voglio aprire un’inutile polemica personale vs. WM... assolutamente no. Sto solo dicendo che in questo saggio c’è una buona quantità di riflessioni che i WM hanno evidentemente elaborato nel corso della loro attività di produzione letteraria, e stanno cercando, a posteriori, di espandere inclusivamente tale poetica a un intero periodo-gruppo (di opere o autori) letterario. È un’operazione molto insolita. Normalmente o si “inizia” con un manifesto di “poetica potenziale” a cui poi si “cerca” di aderire. O si trovano capostipiti in “altri” e da lì, analizzando e sviscerando i modelli che “altri” possono fornire, si formula una poetica.

Spero sia chiaro dove voglio arrivare. C’è un egocentrismo dell’ecocentrismo epico, in questo saggio. Non c’è vera analisi dell’altro per poi riconoscere il proprio o ri-proporre il proprio. Ma autocoscienza del proprio e tentativo di “elevarlo a sistema” perché gli altri si riconoscano. Penso che è proprio per questo che un Tiziano Scarpa ha “non-formulato”, amichevolmente, un distacco polemico dal saggio (vedi qui). Eppure Primo Amore potrebbe essere d’accordo con la maggior parte degli attacchi al postmoderno da cui per via negativa si sviluppa questo saggio. Eppure, c’è un aspetto di “preconfezionamento” critico che non fa molto bene ad alcuni messaggi che pure il saggio vuole veicolare per accendere il dibattito.

PS: ecco un intervento curioso di Scarpa anti-epico “prima” della formulazione NIE

Eugenio


Etichette:


Leggi tutto il post

21 maggio 2008

Note su New Italian Epic di Wu Ming 1 ovvero come liberarsi dal postmoderno

È ormai un luogo comune che non si possa proporre interpretazione storica dei fenomeni recenti; tanto più interessante, quindi, la proposta di periodizzazione letteraria 1993/2008 formulata da WM1, nel suo recente intervento sul New Italian Epic. Un ritorno alla «storia», anche se a costo di qualche schiacciamento prospettico.

NIE: una nebulosa, più che una scuola, un insieme di tendenze per descrivere un assetto della letteratura italiana più recente, raccogliendo quegli autori che cercherebbero di tornare al racconto della realtà storica, accantonando le piacevolezze postmoderne del narcisismo letterario. WM1 cita Saviano e De Cataldo, ma anche Evangelisti, Genna, Babsi Jones, Carlotto, Camilleri, Philopat... fino agli stessi Wu Ming. Superamento della nozione di contaminazione per nuovi oggetti narrativi "non identificati" (UNO nel testo), recupero di un'etica del narrare, sguardo obliquo e sperimentazione sul punto di vista, accompagnata da uno sperimentalismo linguistico «nascosto» e sotterraneo; complessità degli intrecci che si sposa con una capacità di riutilizzare elementi della popular culture e multimedialità della scrittura, recupero del romanzo storico e della alternate history fiction; questi, in estrema sintesi, gli elementi che caratterizzano il nuovo filone narrativo.

Questa New Italian Epic ha ben due certificati di nascita: uno, emotivo, direttamente legato all'esperienza di chi scrive, è il Duemilauno; l'altro, ricostruito nei nodi della critica, è il Novantatré.

L'11 settembre 2001, non bisogna dimenticarselo, è uno di quegli eventi di cui è possibile chiedere: «Ma tu dov'eri quando...?». Così come Genova, anche se in misura minore. «Io c'ero», o «Anch'io c'ero», frasi che creano appartenenza a una comune storia. Non è casuale che le fondamenta emotive del New Epic siano poste proprio in quell'estate aperta dai lividi e chiusa dal crollo delle torri... Come se quello fosse il punto di una rinascita, come se le torri gemelle implicassero il bisogno di ritornare alla storia - o, per alcuni, la sua miracolosa «resurrezione».
Anche il 1993 è stato un anno chiave per la storia d'Italia, e da un punto socio-politico ci ha sostanzialmente immessi nel mondo in cui viviamo. Ma a livello letterario, la permanenza del periodo 1993-2002 in una linea di continuità con la New Italian Epic rischia di sembrare teleologica e forzata, costruita a posteriori. È vero che la linea del ritorno alla letteratura di genere (noir, giallo, splatter) è una costante del periodo, affermata fino al punto da costituire un solido strumento a disposizione di chi scrive oggi. Ma possiamo leggere in questo un unico movimento?

Il vero bersaglio del 1993 è un altro, il famigerato post-moderno, canone inverso della New Italian Epic. Il riferimento è a Fukuyama (The end of history or the last man, del '92, tradotto in italiano l'anno successivo), ed è in reazione alla fine della storia che si costituirebbe il nuovo canone.

Proprio il richiamo a Umberto Eco, padre del postmoderno nostrano, costituisce il punto critico dell'articolo, (o l'elefante nel tinello, per riprendere l'espressione di WM1): la citazione del Nome della Rosa finisce per assumere, di fatto, uno statuto di "mediazione" tra modalità letterarie diverse. «Come direbbe Liala», «Nonostante Liala»... siamo sicuri di aver davvero voltato pagina, di aver radicalmente cambiato paradigma?

Rimane il fatto che una buona parte del ragionamento critico sul New Epic potrebbe adattarsi alla perfezione a un romanzo come Underworld di Don De Lillo, per tirare in ballo un altro elefante. Per la multimedialità che caratterizza la trama delle citazioni e dei riferimenti; per l'accavallarsi delle narrazioni, la discontinuità narrativa e temporale; per la portata storica del romanzo.

Il postmoderno non è solo un atteggiamento psicologico, e nella passione per la pop culture, così come nella miscelatura dei generi, o nell'incontro di testualità diverse, c'è lo stesso atteggiamento orizzontale e paritetico che caratterizza anche il lato più ludico del postmoderno. E forse, andando a guardare da vicino in quello che WM1, da un punto di vista linguistico definisce "sperimentalismo nascosto", si scopre un linguaggio non tanto sperimentale quanto mediatizzato e orale (parliamo di oralità secondaria): forse è proprio questa presenza in voce, anche se differita, che lo rende "epico"?

In fondo anche quest'epica senza straniamento, un curioso e disinvolto modo per sbarazzarsi di Brecht, reso ancor più curioso dal contestuale recupero di Benjamin, sembra dire che il postmoderno è ancora tra noi, ineliminabile, pronto a trasformarsi nel suo opposto con una capacità di riciclo strabiliante.

Valentina


Etichette:


Leggi tutto il post

18 maggio 2008

Piazza di lettura

Lunedì 19, a partire dalle 15 fino alle 20, trasformiamo Piazza Verdi a Bologna in una Piazza di lettura. Per protestare contro i folkloristici tentativi di riutilizzo della piazza e la mancanza di aule studio aperte anche di sera. Approfittiamo della pedonalizzazione della zona: dei cartelli segnaleranno l'ingresso in un'area di studio e lettura richiedendo il silenzio, dei teli saranno stesi per terra per rendere più confortevole la seduta e, soprattutto, un banchetto del BIRRA distribuirà alcune riviste a chi non avrà portato un libro con sé. Maltempo permettendo, ci vediamo in Piazza Verdi per leggere insieme: accorrete numerosi per ridare un senso al centro della zona universitaria. In collaborazione con Il traghetto mangiamerda, Argo, InFormeDimesse, il quartiere S. Vitale e La Scuderia.

Etichette:


Leggi tutto il post

16 maggio 2008

La biblioteca vivente

Il maggio culturale di Bologna, già colmo di numerose attività, si arricchisce di un altro evento molto interessante: la possibilità di far rivivere nella realtà, come nel finale di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, l'esperienza dei libri viventi. Il progetto, denominato La Biblioteca vivente e curato dal comitato Tutti Diversi Tutti Uguali di Bologna, intende creare un luogo che abbia tutte le caratteristiche fondanti di una biblioteca, ivi compresi catalogo, sala di lettura e personale addetto, con l'unica ma sostanziale particolarità che i libri non saranno di carta bensì di carne e ossa. L'iniziativa, che si terrà venerdì 23 e sabato 24 maggio in Vicolo Bolognetti, è basata sul principio di "sfruttare" la dinamica del racconto come strumento di dialogo tra le persone, favorendo l'interazione e il confronto sulla base del proprio vissuto. Le tematiche sono chiare già in partenza, dunque, e riguardano l'idea di fondo che la narrativizzazione della vita, creando un momentaneo distacco dalla realtà, permetta una più attenta valutazione del sé, e del sé in relazione agli altri. Un mezzo fondamentale quindi per educare all'interculturalità e alla convivenza, e per comprendere che la diversità e la molteplicità, piuttosto che settori oscuri utili solo a rinforzare le proprie fobie, rappresentano un valore aggiunto e un arricchimento del tessuto sociale.

Al centro di questo progetto ci saranno quindi gli uomini-libro, persone cui sarà chiesto di darsi un titolo e di mettere a disposizione dei "lettori" che incapperanno in Vicolo Bolognetti nella due giorni di fine mese le proprie esperienze di vita. Il tutto per un "prestito" della durata massima di mezz'ora in cui la barriera più grande da affrontare sarà quella di presentare se stessi, al di fuori di qualsiasi identità collettiva, senza voler impartire né consigli né lezioni. E per orientarsi nel "catalogo" sarà fondamentale il ruolo dei bibliotecari, formati ad hoc per riuscire a consigliare agli interessati le storie più adatte a ciascuno.

Idea interessante, dunque, derivata da un progetto nato nel 2000 ad opera della ong danese Stop the Violence e diventato oramai un appuntamento fisso di molti festivals musicali del nord e dell'est Europa. Qui in Italia La Biblioteca vivente è già stata organizzata a Modena e a Torino. L'esordio bolognese rappresenta dunque un motivo in più per partecipare. Tutti gli interessati possono contattare la nostra mail redazione[at]rivistatabard.it; provvederemo noi a mettervi in contatto con gli organizzatori.

Vittorio Martone


Etichette: ,


Leggi tutto il post

15 maggio 2008

BIRRA colpisce ancora (stavolta a Padova)



La collaborazione tra Tabard e il BIRRA continua proficua. Sabato saremo ospiti della tappa padovana della Bagarre, battezzata "Ti ho rivista" e organizzata da Inutile - opuscolo letterario, compagine veneta sempre presente e attiva durante gli scorsi appuntamenti. Dalle ore 17, al Café au livre, in via degli Zabarella 23 a Padova. Se vi trovate negli euganei dintorni, passate a bervi una birretta e ascoltare le nostre mirabolanti letture.


Etichette:


Leggi tutto il post

14 maggio 2008

È morto Beniamino Merumeni

(ANSA) - GINEVRA, 13 MAG - Un giovane è precipitato dal balcone di un albergo nel Canton Ticino ed è morto mentre partecipava ad una gara di sputi con un amico. La vittima era residente nel Canton Ticino. È caduto dal balcone di una stanza del primo piano di un albergo di Lamone-Cadempino. Non avrebbe controllato la rincorsa presa per sputare più lontano ed è caduto di sotto.


"È morto come ha vissuto" (Dacia Maraini)

Etichette:


Leggi tutto il post

Further down the spiral

Ieri, a Napoli, è stato raggiunto il punto più basso e purtroppo sarà sempre peggio. È successo quello che troppe persone che hanno responsabilità politiche volevano che succedesse: nel quartiere di Ponticelli sono stati incendiati due accampamenti di profughi (di etnia rom, quindi chiamati campi rom o campi nomadi) da cittadini infuriati per un supposto tentato crimine (assai poco credibile) attribuito ad una giovane ragazza rom. A volere essere sarcastici stupisce che proprio a Ponticelli, quartiere ad alta densità camorristica, la gente sia così suscettible al crimine, a volere essere seri posso solo esprimere il mio più profondo disprezzo per queste persone.

Mi vergogno di loro e per loro, che non sanno farlo. E sono terrorizzato dal clima instauratosi in questa terribile Italia: Maroni, la Moratti, Tosi, Penati, Domenici hanno programmi chiari, sono decisi e sanno che sarannno altri a completare la loro opera di annientamento al di fuori delle leggi che limitano i loro poteri. Io li odio.

Finisco citando Moni Ovadia:
"Tutti coloro che attaccano e insultano i Rom esordiscono dicendo di non essere razzisti: invece sono sempre e solo dei fottuti razzisti. Per noi l'altro è sempre ingombrate, basta assistere a una qualsiasi riunione di condminio. Ma oggi il più ingombrante di tutti è l'immigrato e, soprattutto i Rom, che vengono attaccati in tutto il paese. Ma se Gesù tornasse oggi, rinascerebbe in una sezione della Lega Nord o in un accampamento di nomadi?"

Davide


Etichette:


Leggi tutto il post

13 maggio 2008

Pdf n° 7 online!

Con impercettibile ritardo è online il pdf del settimo numero di Tabard, scaricabile gratuitamente dal nostro sito e dal blog. Ci scusiamo per il disagio dovuto a improrogabili impegni (tornei casalinghi di Pro Evolution Soccer 6 e aperitivi al Pratello). Buona lettura.


Etichette: ,


Leggi tutto il post

12 maggio 2008

La lega dell'amore

"L’ictus comunque sarebbe un buon ministro, se non risentisse così pesantemente dell’effetto di Umberto Bossi.
No, dai, sta male scherzare sulle disgrazie della gente. Per un po’ sarà meglio smetterla con le battute su Calderoli".

Dal geniale Spinoza.

Etichette:


Leggi tutto il post

06 maggio 2008

Gianfranco fasci sognare!

"Da un lato di una strada c’è un pestaggio efferato e violentissimo e dall’altro qualcuno che brucia una bandiera (scegliete voi la bandiera più cara che avete), bene, Fini si getterebbe a fermare il secondo." (via artefatti)

Etichette:


Leggi tutto il post