29 aprile 2008

Roma antica ruina

Mi sembra che quasi tutte le analisi politiche su questa sconfitta trascurino un punto fondamentale. Le destre hanno vinto grazie ai media. Strano come il tema sia sparito, come ci si affanni, da marxisti ortodossi, a cercare cause strutturali a questa sconfitta. A indagare il “tradimento” della sinistra estremista. A sondare il malcontento delle valli del nord…

Smettiamola per un momento, e pronunciamo una parola: regime. Ripetiamola: regime. Prendiamo uno sterminato e organizzato potere mediatico. Prendiamo un’immensa massa di persone che è stata espropriata dalla storia recente di ogni solidarietà o coscienza di classe (ormai ridotta a “plebe”, nell’accezione politica del termine ☺, come si giustifica Mauro), e ben al di sotto della minima capacità critica. Facciamo 1+1.

Diciamoci la verità: Alemanno ha vinto perché i media hanno amplificato a dismisura la storia dello stupro, dell’omicidio di Verona ecc. È chiaro che a questo punto il fascista duro e puro può presentarsi come padre della patria. E poi, io dico regime perché non ci troviamo più di fronte ad un semplice orientamento politico dei media. Qui assistiamo al dispiegamento sistematico di un vero apparato organizzativo dell’informazione. La strategia di 5 tg su 6 è coordinata a livello centralizzato, e l’ha dimostrato l’inchiesta prontamente insabbiata di pochi mesi fa. Qui ci sono uomini con lo specifico incarico di stabilire le linee che i giornalacci dovranno seguire, compresi i magazine tv e scandalistici. Qui c’è chi dice quali notizie devono andare e quali no. Qui, e lo hanno ammesso candidamente i diretti interessati, cosa che avrebbe causato quantomeno scalpore in altri paesi europei, c’è una persona appositamente incaricata di vagliare quali foto di Berlusconi siano pubblicabili e quali no.

Non è più di moda parlare di conflitto di interessi, una cosa ovvia in questo paese. Mi si dirà che esagero. E va bene.
Ma non credo sarà facile venirne fuori nei prossimi anni. Non credo che una parte politica che disponga di questo potere mediatico, ulteriormente rafforzato e ottimizzato in altri 5 anni di governo, possa mai perdere le elezioni. Un tempo ero più ottimista, ero convinto del fatto che non si potesse convincere la gente che sta male di non stare male. Ma il potere mediatico non fa questo. Il potere mediatico incanala l’odio, e crea nemici. Sfrutta la paura, gli istinti bestiali, cavalca la volontà di potenza degli ultimi, degli oppressi, il desiderio bruto di potere di coloro che dal potere sono quotidianamente schiacciati.
E con questa arma si vince sempre.

A questo punto per sdrammatizzare pensiamo tutti insieme a Jerry Calà che organizza l’estate romana.
Pensiamo alla prossima festa del cinema di Roma, diretta da Luca Barbareschi e Enrico Montesano… e alla folla festante sulle note di Maracaibo.

achille


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28 aprile 2008

La sinistra è definitivamente morta, salutiamola italianamente

"La buona notizia è che ci siamo levati Rutelli dai coglioni, forse." Nipresa.

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26 aprile 2008

Sinistra... parlamentare


Posto, con un po' di ritardo, da fuoriluogo

E elezioni furono, e il Nepal sembra aver deciso di diventare un nuovo stato socialista. Nonostante un morto, alcuni pestaggi e alcuni presunti brogli, le elezioni, a detta di Ian Martin, rappresentante del Segretetario Generale dell'ONU in Nepal, sono state un successo.

E sembra e ripeto, sembra, che il Partito Comunista Nepalese – Maoista, abbia sbaragliato la concorrenza. Si profila una schiacciante vittoria, al di là di tutte le previsioni e lasciando senza parole molti osservatori internazionali e non. Un diplomatico danese la notte precedente al voto ci ripeteva, come già molti a Kathmandu, "vedrete che i problemi inizieranno quando i Maosti non prenderanno i voti che si aspettano". Ne hanno presi di più.

Vista dal basso, da queste aree rurali che sono rosse senza farlo vedere, il risultato non stupisce. Quello che sembra più strano è quanto la gente, lassù in alto, abbia ancora una volta considerato i Maoisti attori politici non credibili. Si diceva "Prachanda, il leader maximo, forse non verrà nemmeno eletto". Si scriveva, "perché il PCN-M possa diventare un vero partito democratico deve essere pronto ad accettare la sconfitta che si sta profilando".

Quando poi l'accordo elettorale tra PCN-M e lo storico e vecchio Partito Comunista Nepalese – Unione Marxista Leninista era fallito, si sorrideva e ci si preparava a contenere la rabbia dei Maoisti. "Un voto di rifiuto. Un voto per il cambiamento. Un voto contro i vecchi partiti corrotti". Ora la gente che non credeva inizia a ricucire relazioni con i nuovi vincitori.

Quello che più stupisce però è che i Maoisti sono stati ancora una volta sottovalutati e, con loro, la maggioranza, pare, dei nepalesi. Questo voto sembra dimostrare ancora una volta che le caste più alte, i vecchi uomini di potere, hanno perso il controllo della loro gente perché non sono più in grado di interpretare i loro bisogni e desideri. Se mai lo sono stati, oggi hanno dimostrato di essere molto lontani dalle persone su cui avrebbero voluto governare. Non intuendo quest'esodo a sinistra, osservatori internazionali e nepalesi hanno preparato la strada a quella che dovrebbe essere una vittoria storica per il Nepal, un cambio radicale rispetto al vecchio regime monarchico. Che serva da lezione a qualche altro paese in Europa vicino alle elezioni?

Lal Salam a tutti, qui è tempo di festeggiamenti, finalmente.

11 aprile 2008


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23 aprile 2008

Blogs

  • Il 25 aprile Beppe Grillo ha indetto il suo secondo Vaffanculo Day, il V2Day. Stavolta a essere presi di mira sono gli organi di informazione e la loro dipendenza dai contributi pubblici, il che spiegherebbe in parte l'assoluto silenzio mediatico che ha accompagnato finora l'iniziativa. I tre quesiti referendari proposti da Grillo sono: 1) abolizione dell'ordine dei giornalisti 2) eliminazione dei contributi pubblici all'editoria 3) eliminazione del Testo Unico Gasparri sulla radiotelevisione. Si può non essere d'accordo sulle proposte e sulla tempistica ma è comunque un'iniziativa che merita attenzione e che ha mobilitato quasi il doppio delle piazze attive nel primo v-day. Qui i commenti di Mantellini e Scott Ronson.
  • Sempre Mantellini fa una riflessione utile su alcuni aspetti della blogosfera italiana.
  • Visto che di recente parte del colletivo si è impegnata in una lettura comparata di narrativa italiana contemporanea al fine di redigere un saggio apparso poi su Atelier, mi sembra d'uopo segnalare un lavoro per certi versi - credo - simile, fatto da Wu Ming 1: il suo saggio, New Italian Epic, è scaricabile da Carmilla, qui.

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18 aprile 2008

Ieri sera sono andato a teatro

Come avrete capito in questi giorni non ho voglia di fare nulla e d'altronde la matematica mi è lontana quanto è lontana da voi.

Ieri sera sono andato a teatro e mi dispiace molto per chi invece non ci è stato. È stata una sensazione piacevolissima, un teatro vero, un teatro d'opera con le signore anziane agghindate come quelle giovani ma già vecchie, i signori eleganti, i palchi dove si sta stretti, il velluto granata, gli stucchi dorati, i lampadari di cristallo e tutto il resto.

Lo spettacolo consisteva di due piccoli atti unici, entrambi didascalici e apprezzabilissimi, per molti aspetti alquanto diversi.

Il primo è stato Die Sieben Todsuenden (I sette peccati capitali), opera/balletto di Kurt Weill con libretto di Bertolt Brecht. Messo in opera per la prima volta nel giugno del 1933 a Parigi nell'ambiente degli esuli tedeschi, è uno spettacolo di notevole impatto emotivo. La trama è semplicissima: in America alcuni fratelli (il coro) spediscono la sorella Anna a fare soldi in giro per le varie metropoli. Anna è impersonificata in due ruoli: Anna I che canta e rappresenta il super io e Anna II, che balla, la vera persona (in questa opera le persone ballano e i borghesi cantano). In ogni città ad Anna II si presenta la possibilità di commettere uno dei peccati capitali (l'orgoglio di non volersi prostituire, l'ira contro la tirannia, la lussuria dell'amore per amore etc...), cosa che costituisce un ostacolo per il raggiungimento del suo scopo borghese e per questo motivo viene puntualmente richiamata all'ordine da Anna I, per la gioia dei fratelli.

L'apice emotivo e politico, si raggiunge quando verso la fine del dramma Anna I, vestita con un mantello nero e un cappello da militare, comizia, in un crescendo di musica sempre più cupa e grottesca, propugnando la sottomissione dell'individuo ai valori borghesi: non è difficile immaginare l'effetto che questa prosopopea hitleriana abbia fatto sul pubblico.

Il secondo atto unico è stato Trouble in Tahiti di Leonard Bernstein (a margine, ebreo come Weill), opera del '52. Ironicissima commedia, di una ironia simile a quella dei Simpsons, sulla famiglia tipo americana.

La trama è di nuovo semplicissima: viene rappresentata una giornata di una giovane coppia, marito e moglie (con figlio che non appare mai sulla scena), che vive una vita di amarezze e incomprensioni ma con un discreto successo economico. A fare da contraltare alla triste realtà, scena per scena interviene un trio di cantanti jazz, i quali, con jingle da pubblicità radiofonica, descrivono l'ideale piccolo borghese americano. Inoltre la scenografia ed i costumi (entrambi notevolissimi) sono scelti in modo da accentuare questa dicotomia tra il ridicolo ideale e la triste realtà.

Anche lo spritz bevuto durante l'intervallo al bar del teatro non è stato male, né mi posso lamentare della passeggiata lungomare prima dello spettacolo.

Felicemente,

Davide


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17 aprile 2008

P

Dopo essermi ulteriormente depresso guardando L’Infedele (anche se apprezzando la “lunga lena” del buon Nichi Vendola), cercavo un sottofondino per addormentarmi a tono. Mi sono messo a spulciare su internet e ho scaricato un disco.
E dato che qui non si parla mai di musica (sembra, a leggere il nostro blog, che Tabard non ne ascolti... una delle poche eccezioni qui), volevo solo consigliarvelo, dato che l’ho ascoltato ben 8 volte tra ieri notte e stamattina.

Third, ultimo disco dei Portishead è un mezzo gioiellino. Totalmente spiazzante (per chi conosce un po’ le loro cose precedenti). Basta con il trip hop etereo da cameretta che hanno contribuito a creare: dopo 10 anni dall’ultimo album omonimo, mirano verso sonorità decisamente “difficili” e anticommerciali. Molto più industrial, molto più dark, pezzi che impazziscono improvvisamente, arrangiamenti ipersaturi: non ce la fa la voce suadente e bellissima della cantante Beth Gibbons a ricompattare un disco che se ne va da tantissime parti anche solo nello spazio della stessa canzone. È un disco di dissonanze, soprattutto fondate su voce-samples e chitarre molto più presenti rispetto ai precedenti lavori. Scarta e svia, quando ci sembra di ascoltare un pezzo di Dummy, come nell’ultima Threads (tra l’altro una delle più lineari), dopo pochi secondi ci si spiazza con stridori noise.

No, davvero incredibile: complesso.
Il pezzo più bello, e più anti-Portishead non a caso (coraggiosi, anche se non credo esista un vero potenziale singolo), si può ascoltare nel loro Myspace. Qui una scheda dettagliata su tutta la loro evoluzione.

Eugenio


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Secolarizzazione, Ermeneutica, Nichilismo

"La giustizia deve accettare la sfida della postmodernità"

(Roberto Castelli - Apertura dell'anno giudiziario 2003)

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Ancora e per sempre: elezioni...

Ci volevano delle elezioni talmente disastrose per vedere finalmente una discussione ricca e seria nei commenti del blog. Ne approfitto allora per segnalare qualche altro contributo interessante sull'argomento: Bucknasty, Torgul, Leonardo.

Paolo

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16 aprile 2008

Orizzonte

Bella riflessione di Bifo, via Lipperatura:

La bufera ha spazzato via i detriti del ventesimo secolo.
Non c’è di che rallegrarsi. Il Novecento fu un secolo tremendo di violenza e di guerra, ma aveva per lo meno un orizzonte al quale guardare, una speranza da coltivare.
Oggi non vi è più nessun orizzonte, solo paura dell’altro e disprezzo di sé.

Questo è l’argomento del quale dobbiamo occuparci, non del risultato delle elezioni.
La scomparsa della sinistra e la vittoria definitiva dei razzisti e della mafia è un fatto prevedibile e previsto.
La sinistra ha preparato accuratamente questo rovescio. Timorosa di ripetere l’errore del 1998 ha accettato tutto quello che la Confindustria e la Banca Europea hanno imposto, e il risultato è quello che ora vediamo. Come se due errori di segno contrario potessero mai fare una cosa giusta.

Gli operai hanno rifiutato di votare (come non capirli?) oppure hanno votato per i peggiori tra i loro sfruttatori (come non compatirli?).
Ma occuparci delle elezioni passate o di quelle future sarebbe pura perdita di tempo. La democrazia rappresentativa da tempo non ha più niente da dare. Ora ha chiuso ufficialmente i battenti.

Olindo e Rosa hanno vinto le elezioni politiche. E allora? Si tratta di curare la malattia, se ne siamo capaci, non di restaurare vecchi apparati. Dobbiamo occuparci della malattia psichica che si manifesta in Italia con l’emergere di un esercito maggioritario di zombie assetati di sangue.

È già successo in Francia qualche tempo fa. La vittoria di Sarkozy è stata accompagnata dalla scomparsa della sinistra dalla scena politica parlamentare. Perché disperarsi se ora accade in Italia?
La sinistra, che avrebbe dovuto essere strumento di organizzazione dell’autonomia della società dal capitale, nel corso del Novecento si è trasformata in un ceto parassitario che succhia il sangue dei movimenti per tradirli in maniera sistematica.

Nella versione bolscevica quel ceto politico ha massacrato le avanguardie intellettuali e operaie. Nella versione socialdemocratica ha venduto le conquiste operaie in cambio di potere economico per le burocrazie. Nella sua attuale versione americanizzata si illude di poter condividere il potere con gli aguzzini. Non si accorgono gli americanoidi all’amatriciana che l’America dei loro sogni sta sprofondando, sconfitta dalla resistenza regressiva dei popoli islamici, e sommersa da una recessione senza vie d’uscita. L’Occidente sprofonda in una recessione che annuncia guerra civile planetaria. Questo lo scenario, questo l’orizzonte.

Ora la società non ha più difese, in compenso non c’è più il ceto politico che la parassitava.
Lasciamo perdere l’idea di ricostruire la sinistra, perché la sinistra non ci serve. È un concetto vuoto, che si può riempire soltanto di passato.

La società non ha bisogno di un nuovo apparato di mediazione politica. Non ci sarà mai più mediazione politica. Il capitale ha scatenato la guerra contro la società. Non possiamo far altro che adeguare ad essa i nostri strumenti e i nostri linguaggi.

Non possiamo combattere quella guerra sul piano della violenza, per la semplice ragione che la perderemmo.
La società deve costruire le strutture della sua autonomia culturale: dissolvere le illusioni che sottomettono l’intelligenza al lavoro al consumo e alla crescita, curare lo psichismo collettivo invaso dai veleni della paura e dell’odio, creare forme di vita autonoma autosufficiente, diffondere un’idea non acquisitiva della ricchezza.

Non abbiamo altro compito. Ed è un compito gigantesco.




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14 aprile 2008

...e anche la tua pietà gli è nemica



Ah, la morale è: Totò e Ninetto continueranno sempre a mangiarsi il corvo...

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Tabard: diretta elezioni

ore 16.10:
Padre Gaudenzio Lussorio Ferraris è appena giunto nel Loft di via del Pratello (Bologna) per seguire in diretta i risultati dello spoglio.

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Our mission: help our troops call home

Cara, butta la pasta che tra poco sono a casa.

Cinque anni di guerra, ma col telefonino.

Lorenzo

p.s. questo post è stato concepito in un cesso della Harvard University.

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09 aprile 2008

Al voto! Al voto!

Standomene temporaneamente all'estero capto la voce di tanti italiani che si organizzano per il ritorno elettorale. Come formichine si tornerà in tanti il prossimo week end nel belpaese per compiere il proprio dovere civico. Tabard non dà indicazioni né dichiarazioni di voto (senza togliere il continuo e fraterno appoggio a Padre Gaudenzio), però ho pensato che dare un'occhiata a questo documento possa essere importante. Inoltre, per chi vuole votare in chiave anti-berlusconiana, ecco una preziosa guida per il voto utile al Senato regione per regione.

Buon voto a tutti,

Paolo

p.s.: questo post vi è stato scritto dalla Cambridge University Library.

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07 aprile 2008

L’ora di punta di Vincenzo Marra

Dal nostro corrispondente presso la Mostra Internazionale dell’Atto Cinematografico di Acquarossa

Strano paese l’Italia. Strano davvero, soprattutto se osservato dalla privilegiatissima prospettiva di una delle più importanti kermesse artistiche del mondo: “in principio era l’atto”, la Mostra Internazionale dell'Atto Cinematografico di Acquarossa, divino paese tra i monti e le valli del Canton Ticino. È qui che la scorsa sera mi è capitato di assistere ad un curioso spettacolo: il film più stroncato di Venezia, il film massacrato da tutti i critici, accolto a sputi e sassate in tutte i cinema, è stato invece premiato da un caloroso applauso al termine della proiezione nella sala Adele H. della Kunsthalle di Prugiasco (una delle nove frazioni di Acquarossa).

Un Vincenzo Marra attonito e dimesso ha salutato il pubblico con lacrime di riconoscenza. Il cineasta napoletano era stato inseguito fino al confine di Chiasso da un gruppo di detrattori, e solo grazie all’intervento della scorta si era salvato da un pioggia di ortaggi e bulloni.

Ma parliamo del film, parliamo di questo monstrum vel prodigium che ha tanto scandalizzato le statue equestri della critica italiana; ora: noi tutti in sala, spente le luci, ci aspettavamo quantomeno di assistere ad un novello Alex l’ariete, di essere ricoperti da una cascata di nefandezze, di vedere Fanny Ardant limonare con Alberto Tomba… e invece: un film discreto, magari non riuscito, ma comunque un atto di cinema vero come sempre più raramente si vede. Nel celebre libro Merumeni intervista Bergman, ad un giovane e intimorito Benjamino, il grande svedese spiegava che il segreto del cinema sta nel significato autonomo che ogni inquadratura deve possedere (a causa di questa frase, per altro rubata a Truffaut, Bergman ha in seguito avuto problemi con la distribuzione dei suoi film in Cina). Ecco, è proprio riconoscendosi nella plastica verità di questa massima, che la verde Svizzera ha positivamente accolto l’opera di Marra. Ogni inquadratura deve avere la sua idea: ogni movimento di macchina deve contenere un pezzo della storia, essere una parte del senso. Del resto è stato lo stesso Merumeni a spiegarci (nella sua nota risposta alle stroncature dei critici coreani al suo film La vita hic et nunc, da loro definito “poco dinamico”), che la narratività nell’atto cinematografico è prodotta dalla temporalità che nasce dallo spostarsi dello sguardo. Per questo lo spostarsi dello sguardo, il movimento dell’inquadratura, è l’essenziale dell’atto cinematografico, e deve essere di per sé portatore di senso.

L’ora di punta è un film che merita attenzione, costruito con una regia senza sbavature (definita dalla critica italiana: «uno stile da sceneggiato televisivo di bassa qualità»). Purtroppo, quello che manca è un cartier-bressoniano istante decisivo: è la storia a deluderci, il racconto che non ha la forza di trascinare, di rendere del tutto veri i personaggi.

Il film racconta l’ascesa di un giovane, meridionale e corrotto agente della guardia di finanza, dalle squallide mazzette divise con i superiori, all’olimpo dell’alta imprenditoria palazzinara e più o meno mafiosa che costituisce l’ossatura del capitalismo italiano. Ad aiutare il nostro nelle varie peripezie, vi è poi un’attempata e vagamente rincoglionita Fanny Ardant (stupenda come sempre). È proprio lei a regalarci il momento migliore: lo sguardo terrorizzato che sul finale si allarga su verdi prati (vagamente elvetici) in un’agnizione agghiacciante, che in sala ha lasciato tutti noi immobili e nervosi (solo Depardieu rideva).

Achille



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01 aprile 2008

Omaggio a Tabard

Tanti l'hanno già visto e applaudito, molti altri lo aspettano ansiosamente: ecco finalmente online il video con cui abbiamo presentato Tabard all'ultima tappa del BIRRA e col quale festeggiamo il nostro terzo anniversario. Colgo l'occasione per ringraziare nuovamente gli amici e colleghi che ci hanno omaggiato nel video: il maestro Beniamino Merumeni, Padre Gaudenzio Lussorio Ferraris e Padre Ulrico Von Klinsmann, Victoir Marton & Matthieu Geron, Luca del 32, il nostro usuraio di fiducia, Alberto e le quote rosa di Tabard. Un grazie anche a chi per problemi tecnici non è apparso ma ha comunque gentilmente contribuito: Luca, Ricardo e Fabrizio. Complimenti infine all'immenso Walter, senza il cui genio non staremmo qui a scrivere di questo capolavoro (che alcuni bene informati accreditano già come candidato agli Oscar della Val Brembana). Silenzio in sala...


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Perché le città mangiano le donne(?)



Alle elementari ci veniva insegnato che i nomi di città “vanno sempre al femminile”. E per imprimerci meglio questa regola nel cervello la maestra faceva ricorso, con prodigi di mnemotecnica, ad esempi come “La dotta (o la grassa) Bologna”, “La ricca Milano”, “La rossa Livorno”, “La bella Napoli” (sì, lo so, è anche il nome di una marea di pizzerie). Forse si comincia così a fare i conti con queste entità femminee che sono le città e magari

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