07 aprile 2008

L’ora di punta di Vincenzo Marra

Dal nostro corrispondente presso la Mostra Internazionale dell’Atto Cinematografico di Acquarossa

Strano paese l’Italia. Strano davvero, soprattutto se osservato dalla privilegiatissima prospettiva di una delle più importanti kermesse artistiche del mondo: “in principio era l’atto”, la Mostra Internazionale dell'Atto Cinematografico di Acquarossa, divino paese tra i monti e le valli del Canton Ticino. È qui che la scorsa sera mi è capitato di assistere ad un curioso spettacolo: il film più stroncato di Venezia, il film massacrato da tutti i critici, accolto a sputi e sassate in tutte i cinema, è stato invece premiato da un caloroso applauso al termine della proiezione nella sala Adele H. della Kunsthalle di Prugiasco (una delle nove frazioni di Acquarossa).

Un Vincenzo Marra attonito e dimesso ha salutato il pubblico con lacrime di riconoscenza. Il cineasta napoletano era stato inseguito fino al confine di Chiasso da un gruppo di detrattori, e solo grazie all’intervento della scorta si era salvato da un pioggia di ortaggi e bulloni.

Ma parliamo del film, parliamo di questo monstrum vel prodigium che ha tanto scandalizzato le statue equestri della critica italiana; ora: noi tutti in sala, spente le luci, ci aspettavamo quantomeno di assistere ad un novello Alex l’ariete, di essere ricoperti da una cascata di nefandezze, di vedere Fanny Ardant limonare con Alberto Tomba… e invece: un film discreto, magari non riuscito, ma comunque un atto di cinema vero come sempre più raramente si vede. Nel celebre libro Merumeni intervista Bergman, ad un giovane e intimorito Benjamino, il grande svedese spiegava che il segreto del cinema sta nel significato autonomo che ogni inquadratura deve possedere (a causa di questa frase, per altro rubata a Truffaut, Bergman ha in seguito avuto problemi con la distribuzione dei suoi film in Cina). Ecco, è proprio riconoscendosi nella plastica verità di questa massima, che la verde Svizzera ha positivamente accolto l’opera di Marra. Ogni inquadratura deve avere la sua idea: ogni movimento di macchina deve contenere un pezzo della storia, essere una parte del senso. Del resto è stato lo stesso Merumeni a spiegarci (nella sua nota risposta alle stroncature dei critici coreani al suo film La vita hic et nunc, da loro definito “poco dinamico”), che la narratività nell’atto cinematografico è prodotta dalla temporalità che nasce dallo spostarsi dello sguardo. Per questo lo spostarsi dello sguardo, il movimento dell’inquadratura, è l’essenziale dell’atto cinematografico, e deve essere di per sé portatore di senso.

L’ora di punta è un film che merita attenzione, costruito con una regia senza sbavature (definita dalla critica italiana: «uno stile da sceneggiato televisivo di bassa qualità»). Purtroppo, quello che manca è un cartier-bressoniano istante decisivo: è la storia a deluderci, il racconto che non ha la forza di trascinare, di rendere del tutto veri i personaggi.

Il film racconta l’ascesa di un giovane, meridionale e corrotto agente della guardia di finanza, dalle squallide mazzette divise con i superiori, all’olimpo dell’alta imprenditoria palazzinara e più o meno mafiosa che costituisce l’ossatura del capitalismo italiano. Ad aiutare il nostro nelle varie peripezie, vi è poi un’attempata e vagamente rincoglionita Fanny Ardant (stupenda come sempre). È proprio lei a regalarci il momento migliore: lo sguardo terrorizzato che sul finale si allarga su verdi prati (vagamente elvetici) in un’agnizione agghiacciante, che in sala ha lasciato tutti noi immobili e nervosi (solo Depardieu rideva).

Achille



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2 Commenti:

Alle 4/07/2008 01:10:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

il me semble que c'est un feuilleton de basse qualité!

Gérard

 
Alle 4/07/2008 01:11:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

vive la révolution!

Fanny

 

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