30 settembre 2007

Tabard a Macondo


Il prossimo 2 ottobre inauguriamo i "Martedì Tabardiani". Ogni primo martedì del mese, al Circolo Arci Macondo, in via del Pratello 22/c, l'allegra banda di Tabard si riunirà per proporre letture, intermezzi musicali, performances, installazioni viventi, presentare ospiti internazionali, incappare in situazionismi vari ed eventuali, discutere sulla rivista e conoscere nuove genti.
Per questa première abbiamo invitato l'illustre artista francese Mathieu Gerome, reduce dall'acclamata esibizione fuori programma alla Biannale di Venezia e l'ensemble Camera Mix da Bazzano (N.Y.). Vi aspettiamo numerose!

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24 settembre 2007

Ancora lacrime, pelando la cipolla

Vi segnalo la pubblicazione sul sito di Tabard dell'articolo di Lorenzo Mari Ancora lacrime, pelando la cipolla. Oltre a fornire un'interessante analisi sia dell'opera che della poetica di Günther Grass, il pezzo di Lorenzo rappresenta in particolar modo una intelligente disamina del dibattito culturale che ha fatto seguito alla pubblicazione di Sfogliando la cipolla, opera autobiografica in cui l'autore tedesco narra della propria appartenenza alle Waffen-SS.

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20 settembre 2007

Tre cose #6

* La conquista di GriseldaOnLine da parte dei tabardiani continua a spron battuto: addirittura in homepage e in prima fila trovate il nuovo articolo di Mimmo e Achille, Scarti dell'assoluto. Quello che la forma lascia fuori.

* Il bello della blogosfera è che non ha la cieca fretta dei media tradizionali, né le stesse responsabilità o scadenze. Succede quindi che eventi, visioni o letture, possano essere ben analizzate, digerite e metabolizzate, prima di essere scritte e pubblicate. Capita allora che la manifestazione di Grillo, che tanto rumore ha fatto anche in rete, stimoli ancora delle riflessioni a mente fredda, ben ponderate (che personalmente condivido solo in parte - rimanendo comunque uno degli entusiasti del successo del V-day) ma che vi invito davvero a leggere perché provenienti da fonti garantite: qui, qui e qui.

* Es.terni ha anche un blog!

Paolo

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16 settembre 2007

Es.terni 2007

"Chi è fiero della propria paura osa tendere cavi sui precipizi"

Dal 20 al 30 settembre si svolgerà a Terni la seconda edizione del Festival internazionale della creazione contemporanea Es.terni. La prima edizione ha raccolto un inatteso successo presso istituzioni, critica e soprattutto tra la cittadinanza ed è con grande entusiasmo che ci si appresta a cominciare questa seconda edizione. Nel sito ufficiale potete trovare il programma degli eventi insieme a foto e video delle performances della scorsa edizione. Il festival rientra in un più ampio progetto che vorrebbe reinventare Terni, facendola gradualmente mutare da declinante polo industriale a nuovo polo culturale, occupando uno spazio vuoto nell'agenda regionale, da troppo tempo ripiegata esclusivamente sulla glorie artistiche passate e trapassate. Nomi di punta di quest'anno saranno il coreografo canadese Dave St Pierre, che proporrà il suo applaudito La pornographie des âmes, i Sineglossa, Antonio Latella. Il sottoscritto farà parte dell'Osservatorio dello spettacolo contemporaneo, una redazione giornalistica che si occuperà di seguire tutti gli eventi, incontrare pubblico e artisti e fornirne una cronaca e una descrizione quotidiana (anche sul sito www.exsiriterni.it). A fine festival cercherò di riportare su queste pagine un resoconto della manifestazione. Ci rileggiamo tra un paio di settimane.

Paolo.

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13 settembre 2007

Due cose

* GriseldaOnLine ha finalmente pubblicato anche il bell'articolo di Vittorio sul tema dei giovani, lo trovate qui.

* A proposito di una piccola questione sollevata in uno scorso post da Marco, quella del biglietto dell'autobus. Voglio diffondere un'idea intelligente emersa dalla redazione di Fatti, un nuovo free-press cittadino. A Bologna il biglietto dell'autobus costa la spropositata cifra di 1 euro per ora di viaggio. Spropositata perché nessuno, in una città medio-piccola come Bologna, si fa un'ora di autobus ed i tragitti medi sono molto più brevi. Io per lo meno, le rare volte che lo prendo, non ci sto più di un quarto d'ora. La proposta è quindi quella di lasciare il proprio biglietto a qualcun altro una volta finito il proprio viaggio, invece di buttarlo, consentendo quindi di esaurire il tempo a disposizione senza pagare nulla e senza contravvenire ad alcuna regola. Io ci ho provato un paio di volte ottenendo a dire il vero solo reazioni sorprese e diffidenti, ma voglio continuare. Pensateci.

Paolo

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12 settembre 2007

L'eco nella rete

Vi segnalo qui - in un nuovo post e non in coda ai commenti sul post precedente perché tengo particolarmente a che l'evento sia seguito e analizzato per bene - alcuni link ai commenti che ho trovato finora più interessanti (nel bene e nel male) alla manifestazione indetta da Beppe Grillo. Rispettivamente quelli di:

* Buoni Presagi
* Daniele Luttazzi
* Vittorio Zambardino
* Michele Serra
* Mazzetta
* Massimo Fini
* Macchianera
* Carlo Gambescia

Ce ne saranno sicuramente moltissimi altri, io per ora ho trovato questi, vi invito a segnalarne altri.

Inoltre un'intervista raccolta da Arcoiris TV in cui Grillo ipotizza già il tema di un prossimo V-Day.


Paolo

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11 settembre 2007

Incubati

Riporto qui un pezzetto scritto un mese fa, la cui pubblicazione fu bloccata dall'annuncio d'entrata in ferie. Non l'ho ritoccato, se non per poche cose. Per il resto è la versione "originale" da 4 di notte.

Questa è una cronaca. Giustificazione previa.
Arrivo all’aeroporto di La Habana. Sbuco da un aereo proveniente da Caracas preparandomi ad aspettare una notte il mio volo per Città del Messico. Ciò che si dice una scala. (Un poco anomala, perché con due compagnie diverse: acrobazie internetiane per risparmiare denari). Mi fermano nel limbo prima dell’ufficio di migrazione (trad. letterale...va bene?). Sono ciò che si dice un passeggero di transito, in Cuba fisicamente, però no formalmente. Nel non-luogo del non-luogo. Mi siedo fumando molte sigarette insieme a una signora cubana (il divieto è evidentemente fittizio). Aspetto mezz’ora, l’una di notte. Lei affianco tira su col naso e si lamenta bisbigliando, aspirandosi j e g, ellezzando le r, mangiandosi tutto con la classica maniera cubana, a valanga. Io, non capisco un cazzo. Dopo tre quarti d’ora che aspetto il signore che doveva risolvere la mia situazione limbica, ci si avvicina un altro con uniforme verde del Ministerio del Interior. Ci chiede che facciamo qui. Siamo gli unici passeggeri a non aver passato la migra. «Sono deportata», dice lei. «Ah», dice lui, «e tu?», a me, «sono di transito», dico io. Si allontana. Non mi azzardo a chiedere altro alla mia compagna fumatrice. Inizia a parlarmi lei, poco, non sforzandosi molto di più di prima per lasciarmi capire, come continuando a lamentarsi da sola. Viene da Amsterdam, mi dice. Poi aggiunge: «vengo da Israele». Non capisco. Poi penso a ciò che si dice scala.
Altro quarto d’ora. Viene un altro signore uniformato, con tono gentile. Non so perché mi dà sicurezza quando le parla, placa la mia immaginazione.
«Non le hanno dato documentazione».
«No, solo questo», (lo ha lui in mano).
«E con lei non è venuto nessuno, stava seduta aspettando il volo come un passeggero normale». Le domande sono tre quarti affermazione.
«Sì».
«Stava sola».
«Sì».
Immagino l’immagine. Sono stanchissimo, un poco patetico, da immaginerie facili e filmesche, spero solo di riuscire a dormire e arrivare presto in Messico per riprendere per poco ancora la mia vita provvisoria lì lasciata da un mese. L’uomo se ne va con la signora. In un minuto lei mi è di nuovo affianco. Le chiedo, a questo punto.

La cronaca è questa, cerco di non narrativizzare o drammatizzare adesso, e in italiano, ciò che mi racconta in maniera totalmente confusionaria, ridondante, efficace. (ovviamente narrativizzerò, è inevitabile, però cercherò di renderlo asettico, sono stanco).
Una storia normale e tipica (fino a un punto che indicherò), di quelle che ho ascoltato molte volte qui a Cuba. I figli della signora vivono in Israele. Sposati con due israeliane (uno degli unici modi, come risaputo, per uscire dall’isola: fattore distorsionante, uno dei molti, del rapporto con i cubani per uno straniero, ma questa è un’altra storia). Con una “lettera d’invito” (trad. letterale) la signora va a trovare i suoi figli. Ha un visto di sei mesi. Poi, ovviamente, decide di rimanere, illegalmente. Fin qui la storia normale e tipica (per me fin qui, magari per altri lo è anche il seguito).
Mi dice che in Israele “non hanno voluto rinnovarle il visto”. Rimane lì un anno e mezzo, finché (salto: non mi spiega come succede) finisce in carcere. Rimane dentro un mese, poi la polizia israeliana la mette in un aereo per Cuba.
Vengono altri signori con la stessa uniforme. Calmi. Parlano davanti a me, senza nessuna riservatezza.
«Signora, per noi è difficile. Chiaro che per lei di più. Dobbiamo rimandarla in Israele».
Accendo un’altra sigaretta. La signora esplode, però in maniera strana, senza gridare, rassegnata, spossata, un’esplosione calma, senza disperazione. Parla a frammenti. Traduco le frasi più ripetute:
«No (molte volte, come a dare un ritmo nascosto e irregolare, infilandocelo a volte una parola sì e una no), io non ci torno in Israele, mai più, lì passo di nuovo quello che ho passato, lì mi rimettono in carcere e poi? (altri ritorni: lì/qui), io voglio rimanere qui nel mio paese». Mi confonde molto questa ultima frase. Il signore la invita (finalmente) ad allontanarsi.
Quando la signora torna nuovamente sola, le chiedo come un completo coglione se la rimanderanno davvero a Israele. «Domani mattina». Sono le 2 di notte. Attonito, ovvio. «Perché», le domando, coglione. «Perché quando te ne vai da Cuba non puoi più tornare». (Cioè quando tenti che il viaggio legale si trasformi in “fuga”). Parliamo ancora un poco. Io non riesco a dirle molto. Lei mi chiede dove vado, di dove sono, da dove vengo (tre risposte tre paesi diversi). Come sempre quando un cubano mi chiede in quali paesi sono stato in vita mia mi sento irragionevolmente colpevole (ma bastava il fatto di essere turista in Cuba).
Lei sempre annuisce. Parla fra i denti. Mi parla dei suoi figli. Le chiedo come è stata trattata nel carcere israeliano. Mi dice che non le “hanno fatto mancare niente”, per lo meno. Mi spiega che da Israele non hanno comunicato nulla a Cuba, che quindi deve ritornare lì aspettando di “coordinare le cose per vedere se è possibile la riammissione a Cuba” (mi dice questo come ripetendo letteralmente le parole ascoltate prima dall’uniformato). Mi chiedo dove la metteranno, se non la riammetteranno.
Continuo a fumare attonito e stancamente nervoso, pensando nell’assurdo da palletta da ping pong, atroce paradosso del non essere accettata da nessuno dei due giocatori (lo so...è quello che mi è venuto in mente in quel momento, è una merda di metafora, l’ammetto). La lascio nel limbo, in quel luogo che giorni prima mi aveva rabbrividito per i controlli a cui ci avevano sottoposti alla migrazione.
«Mucha suerte señora, espero que le vaya bien» (cerco il tono il più accettabile e meno coglione possibile), lei mi sorride e mi lancia uno sguardo che porto ancora raggrumato da qualche parte (senza retoriche).

Ho passato 20 giorni a Cuba nel suo caldo infernal-tropicale. Ho vissuto come turista di sinistra incazzato gradualmente e disordinatamente. Passionalmente. Non vado più in là (per ora, in questa cronaca scritta malissimo alle 4 di notte aspettando il mio volo per il DF) di queste due frasi:
1. (ascoltata 3 volte da 3 persone differenti) «Siamo prigionieri politici in Cuba».
2. «Ci tengono congelati nel tempo».

Eugenio

La Habana, 3 agosto 2007

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10 settembre 2007

Utopia pulviscolare

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Italo Calvino - Le città invisibili

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09 settembre 2007

V-Day a Bologna: gridare per stagnare?

Sono stato al V-day di Bologna. Me ne sono andato deluso, dopo il pur interessante Travaglio.
Una manifestazione di un qualunquismo terrificante, in cui con lo sparare a zero sul marcio presente in ogni categoria lavorativa pensabile si è finiti per assolvere praticamente solo i manifestanti ed i soliti giusti tra i giusti (Falcone e compagnia bella). Contrapposizioni manicheiste e falsificatorie.
Cosa mi interessa se un architetto veneziano trova che certe opere pubbliche sono brutte?! Preferirei, al limite, sentire parlare seriamente di ecocompatibilità, di economicità delle strutture.
L'architetto in questione (di cui ora mi sfugge il nome) contrapponeva le opere proiettate su un grande schermo ad un'ideale funzionalità ed all'economicità... quasi l'unica architettura pensabile fosse il casermone Berlino est (che pure apprezziamo: ma che c'entra..)! Mi pare sia ormai chiaro nel 2007 che funzionalità ed ecocompatibilità non cozzano necessariamente con i capricci d'artista di qualche architetto (quando siano capricci ben motivati e contestualizzati). Che si parli dunque con un po' di rigore di abusivismo, appalti truccati, ecocompatibilità, etc.: ma non ci si propini questo vacuo sproloquio.

Vaffanculo, certo, Grillo è un grande comunicatore: ma in questo temo sia anche uno "strumentalizzatore" (a fin di bene, sia chiaro). Quanti sarebbero stati in piazza se la manifestazione fosse stata chiamata "giornata per la legalità"? Dunque non si va in manifestazione per i contenuti, ma per il vaffanculo: i contenuti vanno bene solo se analfabetizzati, se snaturati e ridotti ad un grado zero, o peggio: meno uno. Insomma semplificazione esasperata (con l'elenco dei condannati che tiene insieme i condannati per ragioni finanziarie e, ad esempio, un ex-brigatista che è stato in carcere, ha pagato ciò che c'era da pagare, ha rivisto il proprio modo di vedere le cose ed ora milita serenamente tra i radicali...) opposta invece alla problematizzazione che certi temi richiederebbero.

Certo, è sempre bello sentire parlare Travaglio (quando si attiene al rigore che da lui ci si aspetta), Grillo è capace di coinvolgere e persuadere (spesso con ottime argomentazioni); è anche difficile non sentirsi vicino ai genitori di Federico Aldrovandi, che reclamano giustizia e chiarezza sull'assurda morte del loro figlio: ma qual è il messaggio di fondo di questa manifestazione?

A mio parere attenersi alle istanze della raccolta firme avrebbe avuto molto più senso che tirare in ballo nello stesso calderone malasanità, malapolizia, malapolitica, malainformazione, malarchitettura.
Sono piuttosto amareggiato. La grande quantità di persone presenti, che al mio arrivo mi aveva infuso una certa gioia e speranza di rinnovamento, mi ha solo riconfermato che i primi a volere questo scenario siamo noi, popolo italiano, con i nostri voti di centrocentrosinistra e di centrocentrodestradestra, che continuano a tradursi di fatto in una balena bianca terrorizzata da vere prese di posizione.

Ora passerò magari come un bacchettone cristiano, però mi sono chiesto quanti di coloro che ieri gridavano vaffanculo all'unisono non pagano l'autobus (sempre che ne facciano uso) pur potendoselo permettere, quanti di loro evadono le tasse, quanti statali non fanno fare le code in posta ai loro conoscenti. Certo, vien da ridere, queste sono minuscole infrazioni se confrontate con le evasioni miliardarie, le corruzioni, i concorsi mafiosi e quant'altro: mi chiedo però se la gravità di queste infrazioni non siano direttamente proporzionali al potere di infrangere la legge di chi le compie.

Forse questo mio estremizzare il discorso è egualmente pericoloso (la volta in cui si seguì alla lettera al comandamento "chi è senza peccato.." finì logicamente che tutti continuarono a peccare e nessuno pensò più a migliorar le cose). Resto ovviamente d'accordo con la raccolta firme e molte delle parole proferite ieri: ma non posso levarmi dalla testa un'irata sensazione di stagnamento.

Marco P.

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07 settembre 2007

British humor?

Leggo su Repubblica.it il telegramma che il principe Carlo d'Inghilterra avrebbe inviato alla famiglia Pavarotti: «Il mondo è un posto più vuoto senza di lui». Ecco, su questo non c'è alcun dubbio.

Paolo

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(Fatti a) Pezzi

da Se non la realtà

- Che Barba, che noia! Il mondo della filosofia, dopo il famoso "diverbio" dell'attizzatoio (Wittgenstein lo brandì contro Popper durante un dibattito), si stava per arricchire di un nuovo gustoso aneddoto con annesso oggetto contundente, che sarebbe potuto passare alla storia come "lo scontro del remo"; purtroppo lo hanno fermato

- Confusione a Repubblica? Il grande giornale del grande partito democratico pubblicava l'altro giorno, come segnalava il manifesto, questa réclame dei lavavetri (gli aggeggi, non le persone), con annesso slogan «consigliato dai "professionisti" al semaforo». Anch'io ho un consiglio, democratico si intende, per i valenti giornalisti di Rep.: usate questa immagine per la vostra coraggiosa e fiera battaglia anti-lavavetri, ripubblicate la pubblicità con sopra il titolo "L'unico lavavetri che vogliamo".

- Lapsus berlusconiani. Si riapre il caso Dalla Chiesa, pare siano state le Br

- Già che ci siamo. Graziella, bel fumetto che divaga fra infanzia e ricordi del bravo Makkoz (via Giavasan)

francesco

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06 settembre 2007

Mussolini coglione

LETTERA RACCOMANDATA - « L'ex generale Soddu è tornato... via aerea a Roma » (i giornali)



Ispirato dalle canzoni intonate qualche giorno fa, traballando giú dall'appennino dopo la lussuosa visita alla sagra sassomolarese, ho chiesto ad alcuni amici ellenici quale fosse la canzone simbolo della loro resistenza. Mi hanno risposto, sorridendo beffardi, senza alcuna esitazione: Koroido Mussolini. Vi riporto il testo e di seguito alcuni link a siti contenenti raccolte di vignette satiriche elleniche contro l'occupazione italo-tedesca.



Mussolini preso in giro*

Col sorriso sulle labbra
procedono i nostri soldati
e gli italiani sono umiliati
perché il loro cuore non tiene
trallallà

Mussolini preso in giro
nessuno rimarrà
tu e la tua Italia
la tua ridicola patria
tremate tutti davanti al kaki**

Non sei per niente leale
e quando entreremo
anche a Roma
bianca e blu si alzerà
la bandiera ellenica
trallallà

Piove sotto la tenda
non fanno neanche un passo avanti
e dicono nei comunicati
che è colpa del brutto tempo
trallallà

Mussolini preso in giro
nessuno rimarrà
tu e la tua Italia
la tua ridicola patria
tremate tutti davanti al kaki

Non sei per niente leale
e quando entreremo
anche a Roma
bianca e blu si alzerà
la bandiera ellenica
trallallà

* Il termine "koroido" è di difficile traduzione. Riporto dal dizionario: "s.n.: chi si lascia facilmente prendere in giro, imbogliare, abbindolare". "Coglione" aggiungerebbe un tono volgare a una parola che in greco non lo è affatto, "sempliciotto" non andava, insomma ho optato per "preso in giro" che non suona granchè ma rispetta l'originale. Per il titolo del post invece non ho saputo resistere alla tentazione...
** Il kaki era il colore della divisa dei soldati ellenici.


http://www.museosatira.it
http://www.minpress.gr

Paolo

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04 settembre 2007

Buonanotte signor Lenin

Terzani riesce a dire in maniera chiara e semplice quello che molti di noi pensano e che ci riesce spesso difficile affermare:

Da "Buonanotte signor Lenin" (1992)

[...] Il comunismo finito! Mi addormento pensando ad un vecchio amico, fisico, Remo Ruffini, che un giorno mi diceva quanto secondo lui è pericolosa l'attuale tendenza della scienza a usare della sua capacità di manipolazione genetica per eliminare dalla natura la diversità delle varie specie e produrne una che si pretende "perfetta". Diceva che ormai lo si fa con certi animali e con la frutta, e mi portava l'esempio delle mele. La scienza è ormai in grado di produrre un tipo di mela che ha le migliore qualità di tutti i vari ripi di mele e nessuno dei loro difetti. Tranne uno: che anche quella superspecie di mela, come tutte le specie, ha un suo arco vitale e che un giorno arriverà la sua fine. A differenza del passato, avendo noi nel frattempo eliminato tutte le altre specie, quando la supermela morirà, non ci sarà un altro tipo di mela, cresciuta in concorrenza, a prendere il suo posto e a far continuare la specie... Dopo la mela "perfetta" non ci saranno semplicemente più mele. Per questo, diceva quel mio amico, "bisogna far attenzione a non eliminare la concorrenza nella natura e a mantenere le differenze".
Se è vero delle mele, sarà vero anche delle idee! Il comunismo con la sua sacrilega aspirazione a cambiare l'uomo, ha ucciso milioni di persone e ha, come un moderno Gengis Khan, seminato vittime di ogni tipo lungo il percorso della sua conquista. Eppure è anche vero che là dove non era al potere, ma restava un'alternativa di opposizione - nei paesi dell'Europa Occidentale, per esempio -, il comunismo non è stato solo disttruttivo, ma anzi ha contribuito al progresso sociale della gente. Come sistema di potere, fondato sull'intolleranza e sul terrore, il comunismo doveva finire. Ma come idea di sfida all'ordine costituito? Come grido di battaglia di una diversa moralità, di una maggiore giustizia sociale? Che succederà ora che il mondo capitalista resta l'unica "specie" del suo genere? Che cosa succederà ora che tanti potenti, tronfi di vanagloria per aver vinto la guerra contro il comunismo, restano senza concorrenza, senza sfida, senza stimolo?

Lorenzo

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