30 maggio 2007

Geni nazionali - Grecia #2

16 Luglio 1913, Mar Egeo sudoccidentale.

Sono il medico di bordo della Regina Margherita. A quel tempo eravamo impegnati nelle operazioni di protezione e sorveglianza della porzione di mare appena conquistata nella guerra coi turchi. La corazzata era il fiore all'occhiello della marina regia: progettata dallo stesso ministro Brin, pesante quasi 15mila tonnellate, fu il varo più importante del glorioso arsenale della mia La Spezia. Il vecchio re Umberto le volle il nome della moglie, ma quell'anarchico con tre colpi di pistola gli impedì di vederne il varo. Ci pensò il figlio, Vittorio Emanuele, lo "Sciaboletta", alla fine del maggio 1901, a benedire la nuova ammiraglia della marina e a imporle il motto: "per l'Onore d'Italia".

Quel giorno, il 16 luglio, nel tardo pomeriggio, dopo quasi una settimana di navigazione, stavamo cercando di dare la fonda a Karpathos, vicino Rodi, nella baia di Pigadia. Ricevemmo segnalazione di un fondale di 30 metri. Segnalazione frettolosa ed errata. In realtà, capimmo dopo, la prua della corazzata si trovava proprio sullo scalino di una fossa profonda più di cento metri. Iniziarono le operazioni di ancoraggio. Io ero in una cabina accanto alla plancetta e sentivo il sottocapo Ferri che scandiva forte: "Dieci metri e non tocca. Venti metri e non tocca. Trenta metri e... non tocca!". Lo strozzatoio non potè nulla. Un colpo, un fracasso infernale e tante urla. L'ancora, srotolata completamente senza raggiungere il fondo, mandò in tensione la catena che creò un violentissimo contraccolpo e strappò di netto il maniglione. Io salii immediatamente, giusto in tempo per vedere gli ultimi anelli della catena tuffarsi urlando nell'occhio della cubia prima che quell'ancora maledetta si depositasse chissà dove. Sul ponte c'erano diversi corpi a terra, ed io ed altri marinai corremmo subito a soccorrerli. La tremenda frustata aveva ferito una decina di gabbieri, solo due gravemente. Un ufficiale giaceva invece riverso in un lago di sangue a faccia in giù, il torace completamente sventrato. Era il comandante in seconda, Proli, morto sul colpo.

Mandammo subito dei palombari alla ricerca dell'ancora, ma non riuscirono a dirci altro se non della presenza della fossa. Il comandante, irritatissimo, diramò allora un appello anche agli abitanti dell'isola, in un clima di generale preoccupazione e imbarazzo.

Il giorno successivo si presentò per primo un buffo tipo, un baffuto pescatore di un'isola vicina, vestito con camicione e braghe bianche. Diceva di chiamarsi Gheorghios Hagistatis. Il comandante appena l'ebbe visto volle cacciarlo via subito, ma data la situazione critica, si controllò e me lo mandò comunque per visitarlo.

Ho ritrovato tra le mie carte il rapporto che redassi quel giorno:

"Georgios Haggi Statti, nativo di Simi, pescatore di spugne, di 35 anni, è ammogliato con 4 figli, tutti sani e viventi. Alto metri 1,70, pesa 65 kg; perimetro toracico 0,92, essendo 0,98 quello corrispondente alla massima inspirazione e 0,90 quello della massima espirazione. Di colorito castano, piuttosto magro, ha uno sviluppo muscolare regolare.
Per quanto all'esame si constati un notevole enfisema polmonare, tuttavia la parte alta del torace non ha ancora raggiunto rilevanti proporzioni pur essendo alquanto convessa e rigida. I toni del cuore si percepiscono lontani, ma regolari.
Polso da 80 a 90, atti respiratori da 20 a 22. Nulla di anormale nel sistema nervoso né nel sistema pupillare. Funzione auditiva ridotta, per mancanza assoluta di una delle membrane del timpano, residui dell'altra. Non ha sofferto di alcuna malattia (salvo un tracoma regresso in seguito ad atto operatorio). Accenna solo a dolori alla colonna vertebrale, e li sopporta rassegnatamente. Invitato a trattenere il respiro nell'ambiente ordinario, si oppose di principio, dicendo che l'esperimento non poteva avere valore perché sott'acqua resisteva assai di più. Infine vi si sottopose, e risultò che la sua capacità in queste condizioni giungeva appena a 40 secondi
".

Insomma, a mio parere, aveva un fisico assolutamente inadatto, non solo per affrontare una tale impresa, ma per qualunque tipo di sforzo respiratorio sostenuto. Scuotevo la testa ad ogni misurazione, ma lui era convinto di riuscire; diceva di averlo già fatto altre volte e di immergersi da quando era bambino, ripeteva tranquillo "ta katafe'rno", "ce la faccio". Diceva di poter raggiungere cento metri o di poter stare sott'acqua fino a sette minuti. In cambio del lavoro, pretendeva solamente dell'esplosivo e il permesso di pescare con la dinamite. Nessuno a bordo gli credeva e si voleva cercare qualcuno di più valido. Io ero scettico, ma incuriosito. Ottenne comunque di fare una prova, d'altronde non c'era molto da perdere.

Aveva portato con se una pietra di ardesia piatta e quadrata, pesante una quindicina di chili, da usare come timone, legata ad una corda controllabile dalla superficie. Io volli seguire le operazioni da vicino e insistetti col comandante, con la scusa di poter portare immediato soccorso in caso di bisogno. Sulla lancia eravamo io, lui, il traduttore, due aiutanti e un giovane giornalista di Biella, un tal Pozzo (che, seppi poi, si diede al gioco del calcio). Il mare era calmo e il sole scottava. Georgios si spogliò, rifiutò maschera e pinne, si sciacquò bocca e mani con l'acqua del mare, respirò a lungo e si tuffò, con solo la sua pietra bianca, verso l'abisso. Alla prima immersione, di più di un minuto e mezzo, arrivò a 45 metri. Per me era già un miracolo. Riemerso, buttò fuori l'acqua dalle orecchie e dal naso, pigliò tre respironi e si ributtò subito in immersione. Quel giorno ne fece altre cinque, di durata crescente, fino a raggiungere i 60 metri. Era stanco, ma non stravolto, riusciva a montare sull'imbarcazione da solo e aveva un battito già molto regolare poco dopo l'uscita. Ero stupefatto e gli consigliai comunque di rimandare al giorno dopo. A bordo si sparse subito lo stupore e al rancio della sera non si parlava d'altro che del "fenomeno" greco.

L'indomani mattina ridiscese, e arrivò stavolta a vedere la catena: ci spiegò che si trovava ancora più in basso, su un fondo fangoso e molto pendente. Al secondo tentativo arrivò quasi ad infilare un rampino nel maniglione ma scivolò sul fango, e la pietra lo trascinò fino a più di 80 metri di profondità. Sentito il forte strappo mi misi anch'io a tirare come un forsennato per recuperarlo. Una volta tornato a galla, non volle sentir ragioni e si rituffò immediatamente: quel pazzo arrivò così a fissare il primo gancio. Il terzo giorno, dopo sette immersioni, tutte attorno ai 70 metri, Georgios riuscì finalmente, dopo l'infinito tempo di 3 minuti e 35 secondi, ad agganciare un cavo d'acciaio ad un capotesta. Non potevo credere ai miei occhi: quell'ometto malconcio, che dimostrava il doppio dei suoi anni, con un polmone bucato, i timpani sfondati e che all'aperto faceva fatica a trattenere il fiato per trenta secondi, era appena sceso, nudo, a 77 metri di profondità per legare un cavo d'acciaio! Mai visto né sentito nulla del genere, ero sicuro che un uomo, a quelle profondità, sarebbe morto esploso. Da lì in poi il recupero fu agevole.

Tornati a bordo della corazzata, insistetti per trattenerlo, per studiarlo e capire come riusciva a sopravvivere a un tale sforzo. Evidentemente doveva riuscire a prender l'ossigeno disciolto nell'acqua attraverso la pelle, grazie alla pressione o qualcosa del genere. Ma non ci fu verso: lui voleva liberarsi in fretta, assolutamente incosciente dell'impresa che aveva appena compiuto, per tornarsene presto a Simi, ché tre giorni d'assenza gli costavano cari. Anche il comandante voleva chiudere in fretta quella penosa faccenda: si congratulò freddamente, gli firmò il permesso e lo congedò. Feci appena in tempo a scattargli una foto, prima di vederlo rimontare sulla sua barchetta, fischiettando, carico di candelotti di dinamite.


Paolo

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28 maggio 2007

Quattro cose #2

* Un bell'autoritratto di Leonardo Sciascia, ospitato da ArcoirisTv. Dalla politica alla letteratura, una serie di riflessioni e commenti che rimettono in pace con la lingua italiana, arricchita da quell'impasto siciliano tipico dello scrittore. Ancora una volta una dimostrazione di quanto siano preziosi gli archivi RAI che dovrebbero essere resi pubblici e disponibili a tutti (sempre Arcoiris ospita una petizione a riguardo).

* Una riflessione su (il) Crise, che potrà interessare soprattutto i compagni all'estero, partita da due scritti di Mancassola, uno dei quali, ospitato su Nazione Indiana, molto interessante e, per quel che mi riguarda, molto giusto.

* Ha destato molte polemiche un articolo di Saviano su Lipperatura. Molte le voci critiche, tra cui quella di Mimmo. Daria mi ha segnalato questo interessante intervento di Lello Voce su Absolute Poetry. Non condivido tutto neanche qui, ma sono d'accordo con l'impostazione della critica al post di Saviano.

* Mazzetta saluta la nascita di Fatti, un mensile gratuito bolognese che si presenta come un progetto aperto alla collaborazione dei lettori, soprattutto tramite la rete. Proprio il loro sito però, al momento non sembra all'altezza. Presentazione domani alle 19 presso "Fucktory", in via S. Carlo 23.

Paolo

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Le Wikipedie dicono di lei

Regina Spektor: nasce a Mosca nel 1980 da una famiglia di musicisti, pochi anni dopo si trasferisce negli Stati Uniti, studia pianoforte e canto, a sedici anni inizia a scrivere le prime canzoni. Con “11:11” (2001) e “Songs” (2002) emerge sulla scena anti-folk newyorkese, i suoi ultimi album sono “Soviet Kitsch”(2004) e “Begin to Hope” (2006). Ne so purtroppo poco altro, ma mi ha impressionato lo spezzone di un concerto dal vivo: usa la voce come dieci strumenti, la distorce, si interrompe di colpo, sembra che a cantare siano almeno tre persone diverse.



C'è questo video che però è “fisso” (cioè è solo la copertina dell'album), non sapevo come fare a metter su semplicemente il file musicale. Su You Tube ce n'era anche un altro interessante, dove lei si auto-riprende con una telecamera poggiata sul pianoforte e continua a urlare I'm making a video! alle persone in giro per la casa – la voce però si sentiva molto peggio, e direi che è l'elemento centrale. Ci finisce dentro un po' di tutto nel canto, gorgheggi, gemiti, battiti di mani e colpi di bastone, uno starnuto, strillozzi, chiacchiere.
Infine questo è il testo:

Prisoners

All of the prisoners serving life sentences
wait for the earth to suddenly shake
for the walls to somehow suddenly come crumbling, tumbling and
for the bars to somehow magically break

There's nothing wrong with them
that a thousand bucks can't fix
that a thousand arms can't hold down
in the ground they're tattooing the stones with
cusses like cavemen - your mama was here

But they want to run through the air with no barriers or obstacles
gunmen or guard dogs or priests
and to rise from the mud and start over and over
with the people all dead

If Hans Christian Andersen could've had his way with me then
none of this shit would have ever gone down
in my cell I'm tattooing myself with
mermaids and swallows and though I do swallow
my mama thinks I'm grown but I'm really just little
and someday I will remember


(da Mary Ann Meets the Gravediggers and Other Short Stories, 2006)


Daria

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24 maggio 2007

Berluscoppa

(Premessa: sì, sono interista, un pò rosico e questo post l'ho scritto ieri pomeriggio per scaramanzia). La squadra che ieri ha vinto la coppa dei campioni non aveva il diritto di partecipare alla competizione. L'accesso alla Champion's League è riservato alle squadre che si sono classificate nei primi quattro posti dei rispettivi campionati. Il Milan ha ottenuto i punti necessari barando nel corso degli scorsi due campionati. I suoi dirigenti Meani, addetto agli arbitri(?!) e Galliani, vice-presidente, erano coinvolti nello scandalo dello scorso anno, inchiodati dalle intercettazione telefoniche. I due sono stati accusati di illecito sportivo. La squadra ha ricevuto 30 punti di penalizzazione nel campionato 2005/2006 e 8 in quello ancora in corso (contro la retrocessione in B richiesta in appello). Nel clima di vergognoso insabbiamento e voltafaccia generale i rossoneri hanno ricevuto una punizione insignificante riuscendo ad avere comunque i punti necessari per accedere ai preliminari. La sentenza definitiva del 21 dicembre 2006 ha condannato Adriano Galliani a 5 mesi d'inibizione confermando direttamente il coinvolgimento della società nelle truffe sportive.

Qui uno spezzone audio delle intercettazioni tra Galliani e Meani.

Nessuno mette in discussione il valore calcistico del Milan di quest'anno (anche se nel derby ha preso schiaffi all'andata e al ritorno) che, tecnicamente parlando, ha meritato la finale. Il punto è che non aveva il diritto di starci e nessuno, nessuno, l'ha ricordato. Tutti a sottolineare la forza d'animo della squadra che è partita dai preliminari. Ma per arrivare quarti lo scorso anno non usarono solo forza d'animo, usarono anche e molto il telefonino.

Paolo

p.s.: so bene che se l'Inter non fu coinvolta è solo perché ai suoi vertici siede il capo dell'azienda telefonica che ha fornito i tabulati. Figuriamoci...
p.p.s.: quando s'è mai visto il presidente di una squadra di calcio sedere nel parterre di premiazione a dare la mano a vinti e vincitori ed entrare in campo per farsi fotografare con la coppa? Quando mai? Perché quell'uomo può fare quel cazzo che vuole? Compatisco i milanisti di sinistra, qualunque cosa ciò voglia ancora dire. Per tacer del primo gol...

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23 maggio 2007

Geni nazionali - Grecia #1

C'è un gran silenzio vicino al cimitero di Skisto. Adesso che le moto sono rombate via e le pale dell'elicottero han smesso di falciare l'aria, il pilota si rigira tra le dita il koboloi che il sequestratore gli ha regalato e spera tanto che la polizia gli crederà. È il 4 giugno 2006 e Nikos Paleokostas ce l'ha fatta un'altra volta.

Nikos è il ladro più famoso del paese e l'elicottero gli è servito per liberare suo fratello Vassilis dal carcere di massima sicurezza di Korydallos, vicino ad Atene. Considerato dalle forze dell'ordine elleniche il loro criminale più pericoloso, nel 2006 era primo nelle liste dei ricercati con una taglia di circa 800mila euro, 19 mandati di cattura, foto segnaletiche sparse in tutta Europa, unico criminale greco inserito nella top 100 del FBI, condannato in contumacia da diversi tribunali per un totale di 87 anni di prigione. A partire dal 1988 ha fatto 27 rapine tra Salonicco, Ioannina, Kalamata, Amaliada e la sua amata Trikala. Catturato per la prima volta nel 1989 riesce a scappare dopo meno di un anno calandosi dalla finestra del carcere. Ricatturato nel febbraio successivo rimane solo due mesi a Korydallos prima di riuscire ancora a evadere, facendo un buco nel pianale del furgoncino che lo stava trasferendo. Il ministro dell'interno gli chiese pubblicamente di tornare, per favore. Da allora rimase latitante per circa 16 anni (è stato arrestato nel settembre 2006), periodo in cui è scampato a tredici tentativi di cattura grazie anche alla solidarietà e alla collaborazione della gente, soprattutto della zona di Trikala, la zona montagnosa della Grecia centrale, dove è nato e cresciuto e di cui conosce ogni anfratto e sentiero. Quella Grecia dura, brusca e montagnosa, lontanissima dalle isolette dell'Egeo e dai templi ateniesi, terra di pastori e camionisti. Qui viene trattato alla stregua di un partigiano e di un amico del popolo perché non ha mai ucciso nessuno e soprattutto perchè ha sempre lasciato parte del suo bottino a chi lo ospitava e lo copriva, generalmente gente povera. Durante la fuga dopo una rapina a Kalabaka, cominciò a buttare soldi dalla macchina per rallentare l'inseguimento della polizia. Un'altra volta entrò in un albergo e chiese gentilmente al gestore di prestargli la sua macchina; lasciò 250 euro per il taxi e dopo tre giorni telefonò le coordinate per recuperarla. Quando non aveva una macchina si arrangiava con soluzioni alternative: una delle sue ultime rapine in banca se l'è fatta in bicicletta. Durante un tentativo di arresto la sua macchina fu fermata, ma lui riuscì, ferito, ad infilarsi in una vicina macchia e a seminare gli inseguitori. Tre giorni dopo rapinava una banca dei dintorni. La rapina più ricca gli fruttò un bottino di circa 500mila euro : l'aveva organizzata il giorno prima.

Ora è di nuovo in prigione, ha 44 anni, aspetta il processo e sicuramente progetta la prossima fuga che lo riporterà a nascondersi tra le montagne e i pascoli di Trikala, l'unico posto dove si sente vivo:
"Se non vivi pericolosamente, la vita non ha senso e una volta cominciato non puoi più cambiare. il pericolo ti porta faccia a faccia con i tuoi limiti ed è bello vedere il mondo una volta superati quei limiti; e se anche la vista non è bella è almeno così diversa che ne fa valere la pena. Quello che conta, nella vita, è il diverso. "

Paolo

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22 maggio 2007

Un per mille

Sicuramente sono arrivato tardissimo, adesso se ne sta parlando molto perché Santoro ha intenzione di trasmetterlo.
Qui il video della BBC: Sex crimes and the Vatican

Questa la dichiarazione di Casini, su cui sarebbe divertente fare (e molti lo avranno già fatto) il conticello:

"Facciamo una bella inchiesta sul clero nel mondo - suggerisce Casini - Parliamo dei preti pedofili dando lo spazio che questo fenomeno merita, cioè un millesimo rispetto alle virtù positive della Chiesa".

Eug

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Tre cose #4 (e una spiegazione)

* È finalmente uscito, dopo infinite traversie, il quinto numero di Tabard, Goodbye metropolis, dedicato alla città contemporanea. Qui lo trovate in versione pdf da scaricare. Per chi fosse interessato al cartaceo, ma non si trova a Bologna, si può concordare una spedizione via mail (scrivendo a redazione@rivistatabard.it).
Intanto, ecco un estratto dall'editoriale:

"[...] sentiamo il bisogno di prestare ascolto a ciò che sottostà alla città, più che osservarla sorvolandola a volo d’uccello per perderci nella contemplazione della sua straordinaria varietà storica o per tracciare geometriche costellazioni sulla sua superficie; sentiamo il bisogno di starci, per osservare dal basso i voli d’uccello degli scienziati che irretiscono ogni immagine del cielo, ma che una volta a terra non sanno, quando si ghiaccia, di alcuna taverna in cui ricoverarsi per versare un po’ d’antigelo nel sangue (rappreso in strutture cristalline perfettamente quantificabili) e per ascoltare racconti di terre lontane che stanno sotto il loro venerabile naso. Vogliamo essere uccelli, o linci, ma anche uomini che bevono e talpe: che scavano intuitivamente, fondate sulle stesse ipotetiche costellazioni, piramidi capovolte, sottoterra, e con più vertici a far da vertice inferiore."

* Inaugurata anche la pagina di Tabard su Flickr, dove trovare testimonianze fotografiche delle nostre leggendarie "azioni".

* A proposito, ecco perché nessuno postava da una settimana. Ce ne scusiamo con i lettori, le trasmissioni riprenderanno il più presto possibile.

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15 maggio 2007

Pamuk, la letteratura, l'occidente

L’altro giorno, a casa di Mimmo, con Ezio, parlando di varia letteratura, ci siamo chiesti se fuori dai “confini” europei la letteratura soffrisse degli stessi agenti patogeni che la invalidano da noi : l’editoria selvaggia e indistinta, la “crisi” della produzione e del ruolo sociale e via discettando. Poi siamo passati dalla libreria Feltrinelli ad acquistare, feticisticamente o di necessità, l’oggetto libro. Io mi sono portata a casa (a Firenze), fra gli altri, un libretto di Pamuk, La valigia di mio padre (Torino, Einaudi, 2007, per completezza). Trattasi di tre conferenze tenute dal premio Nobel e riproposte in un genere, quello della cosiddetta “critica degli scrittori” ormai canonico: si potrebbero citare decine di esempi, non tutti pregevolissimi, ma assai appetiti dalle case editrici.
Ora, questo libretto pare fornire alcune risposte, non esaustive, ma utili a sondare un certo terreno, alle nostre domande di domenica.
La prima risposta è che, fuori dall’Europa, dove la marginalità economica e politica ha fatto sentire i suoi nefasti effetti, si guarda alla letteratura “occidentale” con quel misto di sudditanza e timore proprio delle “periferie” dell’Impero. Questo fa sì che Pamuk, figlio della media borghesia di Istanbul, parli della grande letteratura incarnandola in nomi noti e comuni (si va da Kafka a Tolstoj, da Mann a Faulkner….) e citi in tralice L’arte del romanzo di Kundera, da cui riprende, senza richiamarlo, il sintagma utile a descrivere la sua attività di narratore. Dunque il lettore europeo dei romanzi di Pamuk si trova nella curiosa posizione di delibare una narrativa le cui strutture gli sono familiari, innestata su “descrizioni” (in senso strettamente narratologico) “esotiche”: i luoghi, le figure, i personaggi. Qui certo non si fa quello che Said ha già decostruito: niente “orientalismo” alla Baudelaire o alla Flaubert. Ci mancherebbe: è solo che pare chiaro come la contaminazione possa avvenire a livelli narratologici caratterizzanti e non strutturali. Forse, per leggere letteratura non europeizzante, a questo punto, non restano che i magnifici canti orali delle tribù africane o asiatiche. Ma il nostro orizzonte d’attesa forse ce ne impedirebbe la comprensione (ammesso si trovi chi traduce!).
La seconda risposta è che per Pamuk, e per tanti altri autori non europei, la letteratura è vissuta come religio, con quella nativa, sorgiva fiducia nella trasmissione della parola che nei nostri perimetri è oramai invece solo agente degli aspetti “finzionali”.
«Credo nella letteratura […] più di quanto io creda in qualunque altra cosa», dice Pamuk. Ricorda Bo, imbiancato e pedante, ma idealmente impegnato. La speranza è che questa vena di fides si concreti in una forma di osmosi fertile per i nostri dubbi e la nostra incapacità di incarnare nei testi la vecchia mimesis platonica. Chi ha letto lo Scurati de La letteratura dell’inesperienza capirà cosa voglio dire: c’è bisogno di tornare a scrivere la realtà partendo dall’esperienza della realtà. E per questo c’è bisogno di identità concentriche.
Credere nella letteratura significa insomma, per una neomarxista quale sono, credere ancora che la letteratura possa essere una forma di conoscenza (e quindi di critica) della realtà, e possa incarnare di nuovo il ruolo che aveva per Ungaretti: «il mondo, l’umanità, la propria persona». La sola speranza è già consolante.

Eleonora (elpinzu@tin.it)

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10 maggio 2007

Infamily Day

Vi riporto integralmente un post immenso dal luminoso ed esilarante blog di Gago:

INFAMILY DAY
Luca Bottura per Left

CompagnoAmico/a lettore di Left, l’articolo che vai a compulsare rappresenta per te una grande occasione. Perché è inutile girarci intorno: col partito democratico siamo entrati tutti a far parte di una nuova e grande famiglia. Quale migliore occasione di santificarla con una bella capatina al Family Day? Però affrettati. Le adesioni fioccano. I biglietti latitano. Gli organizzatori prevedono più folla che al prossimo concerto di Vasco, e addirittura più gente che al prossimo consiglio dei ministri. Ritaglia perciò subito il pratico coupon che trovi in fondo alla pagina e conferma quanto prima la tua presenza alla segreteria organizzativa: Family day, c/o Paola Binetti, via del Concilio di Trento 1563, Roma. Oppure scarica il modulo dal sito ufficiale della manifestazione: www.lefigliedimariasonleprimeadarlavia.com. Poi, segui le istruzioni. E anche tu potrai dire: “Qualcuno ha il telefono di Fabio Mussi?”.

COME ARRIVARE
Come in occasione del Giubileo, Walter Veltroni ha predisposto per i pellegrini il massimo dell’assistenza. Le auto saranno accolte all’ingresso in città da appositi volontari che le indirizzeranno in tre ordini di parcheggi: famiglie (dietro al palco di piazza San Giovanni), single (nei pressi del grande raccordo anulare), coppie di fatto (fuori Viterbo). Gli organizzatori hanno comunque fatto sapere che la Santa Sede preferirebbe mezzi alternativi: treni - secondo una recente revisione evangelica, un viaggio con Trenitalia equivale in termini di salvezza dell’anima a due settimane di cilicio - e aerei. La compagnia scelta per i voli speciali è tedesca: la RatzingAir.

CON CHI ARRIVARE
Ma con
chi preferisci, ovviamente. A dispetto dei facili pregiudizi, il Family day è infatti un avvenimento inclusivo, aperto anche a chi ha deciso di trascorrere l’eternità tra le fiamme dell’inferno. Le recenti posizioni contro i Dico del rabbino di Roma, Di Segni, hanno tra l’altro gettato un ponte definitivo tra le due culture: vecchio o nuovo testamento non importa, l’importante è che l’erede fosse regolarmente sposato.

COSA PORTARE
La famiglia, innanzitutto. Chi ne avesse più di una, come Silvio Berlusconi, verrà invitato a scegliere prima di mettersi in viaggio. Chi l’avesse smarrita, come Pierferdinando Casini, potrà richiederne copia alla segreteria. Non vanno bene famiglie di altri, né il tipo di famiglia con cui intendeva presentarsi Marcello Dell’Utri. Ogni manifestante riceverà in omaggio una maglietta con la scritta “Non possumus” e una bomboletta spray con la quale potrà andare a scrivere “Andrea Rivera, per te non viene sera” sui muri di una Casa del popolo a scelta.

I CONDUTTORI
Com’è noto, la conduzione della giornata era stata inizialmente affidata a Gerry Scotti e Giovanni Mucciaccia, quello di Art Attack. Scotti è stato accantonato dopo aver proposto di iniziare la manifestazione con la frase “Credo in un solo Dio padre onnipotente, l’accendiamo?”. A Mucciaccia sarebbero invece stati fatali gli occhiali: com’è noto sin dai tempi di Bonifacio VII, con troppo Fai da te si è sempre diventati ciechi. Alla fine la scelta è caduta su Paola Rivetta, giornalista del Tg5, e ad Alessandro Zaccuri dell’Avvenire. Almeno fino a quando non si verrà a sapere che i due da anni intrattengono una bollente relazione sadomaso: la Rivetta tortura Zaccuri leggendogli la rubrica di Carlo Rossella sul Foglio.

CHI C'E' AL FAMILY DAY
Hanno ufficialmente aderito: Associazione italiana guide e scouts d'Europa, Associazione Medici Cattolici Italiani, Acli, Azione Cattolica, Maschere dei cinema per il Cattolicesimo, Cammino neocatecumenale, Gruppo Interconfessionale Sacerdoti col riporto, Centro sportivo italiano, Centro italiano femminile, Centro varie ed eventuali, Blockbuster, Coldiretti, Comunione e Liberazione, Inter Club Giacinto Facchetti di Locate Triulzi, Comunità di Sant'Egidio, Comunità di San Siro, Comunità dello Stadio delle Alpi, Consulta nazionale aggregazioni laicali, Centro italiano per la salvaguardia degli enti inutili, Copercom, i fans del cantante Michele, Movimento cristiano lavoratori, Autogrill per l’Europa, Misericordie d'Italia, Movimento per la vita, Vita per il Movimento, Retinopera, Pretinopera, Rinnovamento nello Spirito Santo, Udeur, Udeur Secondo Estratto, Unione cristiana imprenditori e dirigenti, Benzinai per il Concordato, Unione Giuristi Cattolici Italiani, Intimissimi, Unitalsi, Anas, Aiscat, Società Autostrade. Ancora in forse la collaborazione dei gestori Agip.

CHI NON C'E' AL FAMILY DAY
Al Family day non parteciperanno tutte quelle componenti della sinistra italiana che hanno sempre saputo mantenere la schiena dritta e non scendere a facili compromessi su temi come la laicità, la separazione tra Stato e religione, l’autodeterminazione dei comportamenti personali. Al momento di andare in macchina, risponde a questi requisiti il solo geometra Gian Bernardo Piroddi, di Cagliari, che però giusto ieri è incappato per errore nell’ascolto di Radio Maria e, dopo esserne rimasto ipnotizzato per oltre cinque ore, starebbe pensando di convertirsi all’adorazione di un enorme vaglia postale.

IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA
Ore 8 Breve saluto ai presenti di S.E. cardinale Angelo Bagnasco.
Ore 8.15 Brevi gestacci agli assenti di S.E. cardinale Angelo Bagnasco.
Ore 9 Conferenza Seminario: “Lasciate che i bambini vengano a me, ne siamo proprio sicuri? Il caso della chiesa Usa”. Ne discutono Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni. Coordina Giuliano Ferrara. Con Padre Ralph.
Ore 10 Tavola rotonda Seminario: “Cattolici e sindacato: porgi l’altra chiappa” Coordina Savino Pezzotta. Intervengono Luca Cordero di Montezemolo, Marcello Pera, Michela Brambilla, e la sua grossa frusta.
Ore 11 Incontro Seminario: “L’integralismo islamico: se ci impegniamo possiamo fare di più?”. Con Magdi Allam.
Ore 11.30 Coffee break.
Ore 11.45 Ostia break.
Ore 12 Cerimonia del figliol prodigo: Francesco Rutelli, indossando la maglietta “Sono partito democratico e torno indietro bigotto”, sale sul palco per dare alle fiamme un’enorme foto di Francesco Rutelli quando era radicale. Poi racconta che per espiare le colpe della gioventù ha persino sposato la Palombelli.
Ore 13 Rogo di altri documenti impuri: un reggiseno trafugato a Franco Grillini, un Pacs importato clandestinamente dalla Francia, l’agendina di Franco Califano.
Ore 13.30 Intermezzo musicale con il coro della Guardie svizzere, che per la prima volta cantano “Chi ha ammazzato il capitano Estermann”.
Ore 14 Convegno Seminario: “L’omosessualità è contro la morale cattolica e so quello che dico”. Conduce don Gianni Baget Bozzo.
Ore 14.30 Workshop Seminario: “Tv e religione: i miracolati”. Conduce Lorena Bianchetti.
Ore 15 Convention Seminario: “La conoscenza carnale secondo la dottrina di Santa Romana Chiesa: verso i Famolo Day”. Conduce Claudia Koll.
Ore 16 IncontroSeminario “La Storia siamo Voi: se fosse vero l’evoluzionismo, come si spiega Mario Borghezio?”. Conduce Giovanni Minoli.
Ore 18 Kermesse della Madonnine che piangono. Conduce Giovanna Melandri.
Ore 20 Gran finale con lo “Show della famiglia”. Presenta Irene Pivetti con lo pseudonimo di Vandea Osiris. In scaletta, il grande ritorno di Frate Cionfoli, i Cugini della campagna per la vita, Gabriella Carlucci arrivata sul palco direttamente in macchina, Peppino di Capri, Clemente di Ceppaloni, il comico Martufello con alcune delle sue celebri storielle (“Un musulmano entra in un caffè. Bum”) e la cabarettista Rosy con i suoi celebri calembour: “Più che Dico, Direi”.
Ore 24 Novena per il miracolo della moltiplicazione dei presenti: 1.000.000 secondo gli organizzatori, 100 milioni secondo la Questura.

luca@bottura.net (gago.splinder.com)

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Geni nazionali - Repubblica Ceca #1

Siamo all’inizio del 2005, quando sulla scia di un noto programma inglese la televisione nazionale ceca bandisce un concorso per eleggere “il più grande ceco di tutti i tempi”. Al vertice della classifica, davanti a Václav Havel e Bedrich Smetana, a Franz Kafka e Gregor Johann Mendel, campeggia il nome di un personaggio ancora inspiegabilmente misconosciuto in Italia: Jára Cimrman. Scrittore e autore drammatico d’eccezione, filosofo, sciatore, ginecologo autodidatta, pedagogo dai metodi rivoluzionari e geniale inventore, paragonabile forse solo a Leonardo Da Vinci (“e con difficoltà”), secondo i detrattori Cimrman [pron. Zimerman] sarebbe però nient’altro che una mistificazione letteraria, un personaggio d’invenzione nato dalla fantasia di due attori praghesi, Jiři Šebánek e Zdenĕv Svĕrák.


Con la trita motivazione che “non esiste”, la česka televize ne ha quindi annunciato la squalifica dalla competizione – decisione duramente contestata dal pubblico ceco: alla notizia ufficiale dell’espulsione di Cimrman, gli studi dell’emittente televisiva sono stati letteralmente sommersi di lettere, fax, sms, telefonate di protesta, mentre una raccolta di firme su internet per la reintroduzione di Cimrman nel concorso sfiorava in pochi giorni le quarantamila adesioni.


Ma qui non si tratta soltanto dell’entusiasmo spontaneo di una nazione che si riconosce nell’ironia e nell’acume di una figura divenuta ormai simbolo della Repubblica Ceca. Gli Cimrmanologi insistono da anni nel sottolinearne la rilevanza storica e culturale, ammettendo di aver a che far con un vero e proprio genio incompreso le cui teorie hanno influenzato i più vasti campi del sapere, ben al di fuori dei meri confini nazionali. Tra i contributi di Cimrman sono da ricordare ad esempio la proposta del canale di Panama agli Stati Uniti (incluso un libretto d’opera con lo stesso titolo), la riforma del sistema scolastico in Galizia, l’introduzione dell’ostetricia in Svizzera nonostante l’ostilità delle condizioni alpine, l’istituzione di una scuola di criminologia, musica e balletto a Vienna, l’invenzione dello yoghurt e la creazione della filosofia dell’Esternismo (in opposizione alla più nota teoria epistemologica del Solipsismo: mentre i solipsisti credono che esista solo la loro individualità e nessun mondo esterno, Cimrman arriva all’idea secondo cui il mondo esterno esiste, solo l’io del filosofo no).
Notevole anche l’apporto dato da Cimrman alla letteratura e al teatro ceco, sebbene gran parte delle sue opere siano andate perdute e quelle rimaste non abbiamo mai avuto il successo che meritavano. I critici sono concordi nell’imputare gli scarsi riconoscimenti ricevuti da Cimrman in questo campo (come del resto in tutti gli altri) all’eccessiva modernità dei suoi metodi rispetto ai tempi: il che è in stridente contrasto con la genialità con cui Cimrman aiutò anche molti autori suoi contemporanei nei loro lavori, per esempio Anton Čechov (avvertendolo che due sorelle non erano abbastanza).


Ma è difficile far luce su una personalità tanto complessa e sfaccettata in questa sede: se quindi vi capitasse di andare a Praga, vi raccomandiamo una tappa al Teatro Jara Cimrman a Žižkov, uno dei più frequentati della città, o almeno al museo a lui dedicato vicino alla Petřin Tower – posto splendido, tra l’altro: e se proprio non avete voglia di salire fin su, potete sempre fermarvi a metà della collina e guardare Praga dall’alto stesi sotto qualcuno di quei mandorli (o ciliegi).

Daria

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08 maggio 2007

Intermezzo gastronomico

"Risotto alla Valentina, Fegatelli, Pesce d'Altomare Marinettato, Trafiletti con poemi d'Auro D'Alba, Asparagi di Pratella, ControCarrà di vitella con insalata Russola, Tum-tim-Balla alla vaniglia, Frutta, Grandine, Folgore, Panini Soffici e Boccioni di vino".

Menù per una cena (realmente tenutasi) a Roma il 21 Marzo 1913.

Mimmo

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07 maggio 2007

Una mattina mi son svegliato...

Mi ripeto dalla tristissima serata di ieri: che faccio, scrivo o non scrivo? Visto che la tremenda malattia del fancazzismo ha deciso di attaccarmi anche in Erasmus, anche in una delle capitali del mondo, che so bene che quando mi becca c'è poco da lamentarsi, bisogna solo aspettare che passi, visto che oggi è brutto tempo, visto che di studiare non se ne parla, viste tutte queste cose ho deciso alla fine di sì, di scrivervi qualche impressione sparsa e parziale sulle elezioni presidenziali appena concluse:

* Le maratone elettorali televisive francesi sono molto meno avvincenti delle nostre, anzi non si può proprio parlare di maratona: niente exit-poll o previsioni durante il pomeriggio, niente dichiarazioni, nessuna intervista, niente di niente. Le televisioni trasmettono i loro filmetti e i loro varietà come se niente fosse, poi intorno alle 19 UNO E UN SOLO canale inizia uno speciale in cui non ti comunicano niente di niente, a parte i dati sull'affluenza, fino alle 20:00:00 quando ti dicono chi ha vinto. Finito. Inizia il pacato dibattito in studio. Niente esultanze strozzate, rimonte dell'ultimo minuto, sondaggisti in preda al panico o giornalisti agitati, niente titoli sensazionali, niente patemi. Una bandiera tricolore che si alza e svela il volto del vincitore. Ci vediamo dopo la pubblicità, non cambiate canale.

* Il tutto reso più grottesco dal fatto che dall'estero si hanno delle previsioni attendibili già due ore e mezza prima. Nell'era di internet mi sembra francamente vetusto mantenere questo divieto di diffusione in patria. Visto anche che le tv svizzera, belga o monegasca, trasmettono anche su territorio francese o su satellite. In francese.

* Hai un bel dirti per le settimane che precedono che non c'è da farsi illusioni, che l'esito è scontato, che vincerà lui, ecc ecc. Quando effettivamente vince lui, ci rimani di merda, comunque.

* Démagolène è uscita una decina di minuti prima del risultato dal suo quartier generale (che qui chiamano QG, leggi cujé, perché se non abbreviano tutto, pure i nomi dei candidati, stanno male; è come se noi parlassimo di Berlù e Rut o Folly e Veltry. Su questa da abbreviazione e sulle altre manie della lingua francese in generale magari vi scriverò più ampiamente in seguito) con il più gran sorriso da quando si è candidata. A mio parere era sollevatissima. Quel sorriso faceva troppo il paio con la faccia contrita e spaventata che aveva dopo il passaggio del primo turno. Lì per la prima volta s'era resa conto che rischiava di vincere. Posso capirla, essere la prima donna ecc ecc. Dev'essere dura. Ha combattuto ad armi pari e gliene va dato atto. Ha fatto la voce grossa all'interno del PS e nelle dichiarazioni finali ha subito dato ad intendere di voler rimanere figura centrale della sinistra d'opposizione. Dove forse si trova meglio.

* Lui, il nano, è stato impeccabile. Se, come dicono in tanti, prima era davvero un esagitato in preda a tic nervosi e attacchi d'ira o dichiarazioni incontrollate, allora deve aver cominciato a calarsi qualcosa di veramente forte (tesi tra l'altro avvallata dai cattivissimi Guignols de l'info). Calmo, elegante, tranquillo, non s'è lasciato andare ad entusiasmi o esultanze manifeste, pareva quasi stanco. Ha subito teso la mano alla sconfitta ed invitato i suoi sostenitori (non vi dico le facce da stronzi) a fare altrettanto. Si è presentato subito come il presidente di tutti i francesi (ma dai, pensavo che si potesse scegliere chi presiedere!) e credo che gli sconfitti abbiamo pensato: già, purtroppo. Ha ribadito i punti del suo programma edulcorando un tantino quelli più discussi; a chi lo accusava di filo-americanismo ha risposto subito di non voler essere succube della casa bianca. A parole insomma l'ha raccontata benissimo. Staremo a vedere.

* E non credo si possa cominciare a giudicarlo dagli scontri di piazza che già verso le 22 cominciavano un pò dappertutto nel paese. La dinamica non è chiara (e qui ammetto la colpevolezza e la pigrizia, perché sarei potuto andare a controllare di persona, scoppiando i maggiori tafferugli parigini a 800 metri da casa mia) ma, a meno che la polizia non abbia fatto delle cariche ingiustificate, e non sembra per ora, mi sembra si sia trattato solo di "normale" amministrazione (discutibile, ma tant'è) di manifestazioni non autorizzate. La presenza di polizia era stata rafforzata, ma anche perché qualcuno, tra cui Démagolène, aveva azzardatamente parlato di rischio di sommosse. Non so davvero se siano partite per prime le pietre o i lacrimogeni. Vi farò sapere. Certo lascia perplessi dopo un'elezione dall'affluenza enorme (84%) e dall'esito chiaro e netto come questo.

* In televisione tutti i commentatori su toni molto pacati, tutti a farsi i complimenti a vicenda, a dire aspettiamo le legislative, anche a riderci un po' su. Clima conviviale. Unica voce fuori dal coro quella di Marine Le Pen, degna figlia del vecchio xenofobo, che le canta al neo vincitore e alla socialista. Amabile come sempre.

* Non c'è un cazzo da fare, pesa ammetterlo, ma l'inno francese è il più bello di tutti (anche se a cantarlo in coro sono le migliaia di sostenitori del cosiddetto e sedicente neogollista, quasi tutti provenienti da un certo milieu, se si leggono i dati dei diversi quartieri di Parigi, dove nel 16°, quello "bene", Sarkozy ha preso l'82%).

* Per una buona raccolta di link, informazioni e commenti andate qui.

Paolo

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Brianza in musica!

Potrà sembrare strano, ma a me la Brianza non dispiace per niente. Sarà perché in genere mi ci scarrozzano a bordo di decappottabili fiammanti sotto il cocente sole primaverile (sì, cocente, in pianura il sole è terribile già in primavera, e i bolognesi lo sanno), sarà perché il tessuto umano che mi accoglie è davvero eccezionale (lasciatemi fare il bieco sentimentalista, che mi riesce bene...). Ad ogni modo, prima di tediarvi con quanto ho da dire, eccovi immediatamente due segnalazioni, che mi porto appresso dai giorni trascorsi in Brianza la settimana scorsa ed alle quali tengo più che al fatto che mi si legga questo mio post:

1) Stefano Vergani live da La Salumeria della Musica di Milano questa sera (ore 24) su Radio Lifegate (cliccando a destra sul play vi si apre il pop-up per l'ascolto in streaming, per l'ascolto analogico ecco invece le frequenze);

2) il sito dei Figli di Madre Ignota.

E adesso veniamo a noi... Nella registrazione della serata del 23 aprile che stasera vi ascolterete Stefano Vergani e l'Orchestrina Pontiroli presentano in anteprima il loro ultimo disco Chagrin d'amour (dalla bellissima copertina realizzata da Giandomenico Sozzi). Per molti Tabardiani Stefano, oltre a essere un bravissimo artista, è anche e soprattutto un amico. Ciò non impedisce di esprimere sulla sua musica un giudizio distaccato e obiettivo che, per quanto mi riguarda, è decisamente entusiastico. Dopo un album d'esordio eccezionale (non sto a dire "realizzato all'età di soli 22 anni" perché, nel gergo della critica musicale italiana, sarebbe come affermare "ci sono una marea di ingenuità ma gliele perdoniamo perché si tratta ancora di un ragazzino"), pieno di certo di numerose influenze e legato ancora a tratti a un clima post-adolescenziale, Ste' apre questo nuovo lavoro con un brano toccante, Amici miei, che rappresenta una consapevole cesura rispetto a tanto passato (che pure rimane fondante) e punta diretto verso l'autonomo sviluppo della sua maniera di fare musica e di scrivere. In cosa consiste questa maniera? Nel distacco dai modi del cantautorato italiano, tanto per tranciarla netta; nel realizzare canzoni che fondano ironia e malinconia (e su questo punto restiamo nel seminato), ma facendo largo uso del verso spurio, superando la restrizione della forma perfetta e impostando la canzone più alla stregua del ferroviere Gianmaria Testa. Una forma di scrittura che inoltre punta tanto sul gioco, sullo straniamento temporale applicato spesso ai temi sociali (e queste forme di anacronismo a me piacciono davvero molto, ché l'Italietta di un tempo è ancora molto attuale), sull'assurdo e sulla boutade. Il nuovo album, poi, si distingue per un notevole approfondimento della ricerca musicale, e larga parte di questo merito va data ai musicisti Diego Potron alias Tony Roma (contrabbasso), Felice Cosmo (piano), Stefano Iascone (tromba), Irina Solinas (violoncello), Luca Butturini (chitarra) e Fabio Cardullo (sax) (questi ultimi due presenti anche nel progetto Figli di Madre Ignota, dove in due brani dell'ultimo disco è presente anche qualche incursione vocale dello stesso Stefano).

E veniamo quindi a questo progetto molto interessante. I Figli di Madre Ignota, una - per loro definizione - "spaghetti balkan band", rappresentano una divertentissima forma di gioco musicale inter-etnico, inter-stilistico, inter-culturale (inter-ista, no!). Già noti e già distribuiti nei "circuiti ufficiali" (il bellissimo video del loro singolo Theme from Paradise [cover della colonna sonora del film del 1982 Paradise] è passato su AllMusic e su MTV, oltre che qui), la loro grandezza sta tutta nell'intelligenza delle loro interpretazioni dal vivo, delle quali però parlerò in futuro.

Vittorio

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06 maggio 2007

Tre cose #3

* Da Lipperatura, lungo estratto di un intervento di Saviano su scrittura e impegno, ingaggio con la realtà sociale.

* Macchianera auspica giustamente che questa notizia faccia un bel giro, almeno nella rete. Ecco il nostro contributo.

* Un amico inglese mi invia esterrefatto una mail con quest'altra notizia e aggiunge: "All'inizio mi ha colpito come un classico stereotipo italiano. Anche se forse in Inghilterra non lo abbiamo ancora fatto solo perché non ci è venuto in mente".

Paolo

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05 maggio 2007

Dal carcere minorile di Bologna


"I Ragazzi della Compagnia del Pratello"
sguardi su nove anni di laboratori e spettacoli presso l'Istituto Penale Minorile di Bologna
mostra fotografica di Marco Caselli e Alessandro Zanini

dal 2 al 18 maggio 2007 - Quadriportico della Biblioteca dell'Archiginnasio - Piazza Galvani, 1 Bologna

Dal 2 al 18 maggio 2007, presso l’Archiginnasio di Bologna, è allestita la mostra I Ragazzi della Compagnia del Pratello, retrospettiva delle foto di Marco Caselli e Alessandro Zanini, scattate dal 1999 a documentazione delle attività laboratoriali e degli spettacoli della compagnia teatrale dell’Istituto Penale Minorile di Bologna.

Il lavoro teatrale realizzato in nove anni al Pratello è stato colto dall’occhio di due fotografi completamente diversi: Marco Caselli, fotografo teatrale con trent’anni di esperienza, che ha fotografato artisti quali Claudio Abbado e Marco Paolini, e Alessandro Zanini, che ha partecipato a diversi progetti di cooperazione internazionale in Africa, è autore e direttore della fotografia di diversi documentari e video e attualmente responsabile del Settore Documentazione dell’Istituzione Gian Franco Minguzzi.

Marco Caselli ha fotografato dal 1999 tutti i nove spettacoli realizzati dal regista Paolo Billi all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Bologna, con particolare attenzione alla fisicità dei giovani attori e agli spazi scenici realizzati, dal primo spettacolo itinerante nel “ventre” del Pratello, agli allestimenti in teatro e a quelli successivi nella chiesa. Alessandro Zanini, invece, ha seguito le prove e i diversi laboratori di scenotecnica, attrezzeria, costumi che concorrono alla costruzione dello spettacolo; ha fotografato il lavoro quotidiano, i sorrisi delle soluzioni improvvise, i segni della fatica, i sonni improvvisi.

Caselli fotografa a colori, Zanini in bianco e nero: così si snoda e si intreccia il doppio percorso della mostra attraverso le foto più belle scelte dagli autori, con la cura di Valentina Fulginiti, la giovane drammaturga e responsabile dei Laboratori di Scrittura del Teatro del Pratello.

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04 maggio 2007

Piantala Mosè!

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03 maggio 2007

Non c'è niente da ridere

La lettura di Houellebecq può non piacere, può infastidire, può appassionare, può far riflettere, sicuramente non lascia indifferenti. I suoi libri sono pieni, pieni di spunti e provocazioni, pieni di amara consapevolezza, pieni di letteratura. Per unire l'utile al dilettevole, cioè cavarne un articolo per Tabard, avevo cominciato a leggere gli altri suoi romanzi oltre l'unico letto finora (Le particelle elementari). Non so se alla fine l'articolo verrà fuori, perché la lettura è rallentata da altri impegni, perché il materiale è tanto e tanto vasto e merita un'analisi all'altezza e perché nel frattempo ho intrapreso un altro progetto per la rivista di cui magari vi scriverò prossimamente. In La Possibilitè d'une île però, ho trovato un passo, tra i tanti interessanti e che andrebbero approfonditi, che mi ha particolarmente colpito e ispirato una riflessione che mi va di condividere subito. Il protagonista del libro è un autore satirico; in questa parte del romanzo incontra un artista la cui opera e la cui persona lo scuotono profondamente. Questo artista, durante un dialogo, gli propone una massima che riduce gli artisti a due categorie: i rivoluzionari e i decoratori. A suo dire (traduzione mia) "i rivoluzionari sono quelli che sono capaci d'assumere la brutalità del mondo e di rispondergli con una brutalità accresciuta". Il protagonista ci riflette, e aggiunge anche gli umoristi a questo binomio. Anche "l'umorista assumeva la brutalità del mondo e gli rispondeva con una brutalità accresciuta. Il risultato della sua azione non era tuttavia di trasformare il mondo, ma di renderlo accettabile trasformando la violenza, necessaria a ogni azione rivoluzionaria, in riso - e in più di farsi anche un bel pò di grana. Insomma, come tutti i buffoni, fin dalle origini, ero una sorta di collaborazionista. Evitavo al mondo delle rivoluzioni dolorose e inutili - poiché la radice di ogni male era biologica, e indipendente da ogni trasformazione sociale immaginabile: stabilivo la chiarezza, proibivo l'azione, sradicavo la speranza; il mio bilancio era mitigato".

Subito ho pensato ad uno scambio di battute, di lega assai inferiore, avuto con due amici a Bilbao qualche settimana fa. Si era reduci da una gran cena e si tornava verso casa per le stradine buie del quartiere vecchio chiacchierando amabilmente di politica basca ed italiana. Ovviamente dopo poco tempo i mali nostrani han preso il sopravvento sulla causa euskadi e si è finito per ricondividere tutte le solite frustrazioni: bref, il sunto era, maguardaunpò, che l'Italia è un paese di merda e la sua classe dirigente ne è degna rappresentante. La conclusione spettò al mio savio amico che per comodità chiamerò Giorgio (anche perché è il suo vero nome): il nostro problema, di noi italiani intendeva, è che viviamo in un bel paese dove in fondo in fondo si sta bene, che siamo gente allegra e che ci viene facile buttare tutto a tarallucci e vino; insomma, che ci ridiamo sopra. Io nei giorni successivi ci ho ripensato, e me ne sono convinto sempre più (so che per tutti o qualcuno di voi tutto ciò sembrerà banale, ma oh, che volete farci, io ci ho pensato davvero solo adesso) e ho cominciato a preoccuparmi. Di consapevolezza e indignazione attorno a me ce n'è tanta, ma manca sempre qualcosa, quello scatto verso... . Ho ripensato anche al post di Georgiamada su Vauro e all'anonimo e accanito commentatore che criticava il vignettista (con argomenti raccapriccianti, ma tant'è) e che fra le sue invettive lo tacciava anche di essere un giullare di corte. È ovvio che per come la intendeva lui (o lei) era una boiata, ma riletta dopo Houellebecq suona diversamente. Non voglio arrivare a dire che gente come Vauro o Luttazzi serve il regime, tutt'altro ; considero l'opera dei veri autori satirici (quali sono certamente i due citati, e di gran qualità) onesta e combattiva, ma non è forse vero che riderci su, per quanto amaramente, può avere un effetto sedativo sull'indignazione o sulla rabbia (che potrebbe diventare azione di protesta, o rivolta)? Quo usque tandem abutere... non riesce davvero a suonare come una minaccia nel paese di Pulcinella.

Paolo

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01 maggio 2007

Les socialistes boivent que la coca

Questo pomeriggio ho fatto una capatina allo stadio Charléty dove Ségolene Royale aveva dato appuntamento ai suoi sostenitori per un concertone gratuito. Quando col mio buon coinquilino catalano e il suo leggendario ritardo siamo arrivati allo stadio, la solerte gendarmerie (nella solita sobrissima tenuta che ricorda vagamente quella di Robocop) non faceva più entrare nessuno per ragioni di sicurezza. Seguendo voci di corridoio abbiamo trovato un agile accesso seminascosto dalla parte opposta, scavalcando una cancellata appuntita e arrampicandosi per un percorso pericolosissimo tra alberi e centraline elettriche: è stata la parte più divertente del pomeriggio. Una volta entrati ci siamo trovati in uno stadio effettivamente strapieno, tutto tappezzato di volantini e manifesti rosacei inneggianti all'eroina del PS. Dappertutto ragazzuoli e ragazzuole in maglietta rossa d'ordinanza, la cui somiglianza con i ciellini nostrani mi ha inquietato non poco. Da queste parti hanno dei bei soldi da spendere in campagna elettorale. Dei gruppi musicali non so che dirvi perché non ne conoscevo neanche uno, tuttavia la folla non sembrava in delirio. Ma la vera vergogna era un'altra: la totale impossibilità di procurarsi una qualunque bevanda alcolica: l'unico stand autorizzato vendeva solo panini e coca-cola (bravi, complimenti!) e non c'era una birra o un caffè borghetti manco a pagarli oro. Soprattutto nessun francese che abbia fiutato l'affare e che si sia portato delle birrazze gelate da vendere in nero (anche in questo siamo e restiamo campioni del mondo): non ci sono più i socialisti di una volta, dov'è il vino rosso, dove le bandiere?

Clou della serata, l'ingresso da rockstar della candidata all'eliseo tra due ali di folla adorante. Una volta sul palco, la Ségolene ha voluto salutare il pubblico, esprimersi brevemente, dire giusto due paroline insomma: 48 minuti di discorso. Dopo 10 c'era già gente che si addormentava; dopo 20 che se ne andava; dopo 30 che stracciava la tessera elettorale. Questa donna, e chi gli scrive i discorsi, sono di una demagogia e di una monotonia abbacinante (un salace scrittore murario del mio quartiere l'ha giustamente ribattezzata Démagolene). Io a "c'era una volta una ragazzina nata a Dakar" ho cominciato a percuotermi i maroni con una bottiglietta. Ma il pubblico non era da meno, visto che accompagnava sonoramente i suoi libertè fraternitè etc con applausoni e "Sé-go-lene pré-si-dente" e i riferimenti a Sarkozy con altrettanti buuuu. Tutto molto bello. Non sono mancate ovviamente le sviolinate agli elettori della sinistra radicale che qui chiamano più giustamente anti-libériste e ai centristi di Bayrou. Sentirle dire "un altro mondo è possibile" mi ha fatto venire voglia di tirarle una delle lattine di coca-cola che stava vendendo. Capisco che siano la patria dell'illuminismo e della rivoluzione, ma se la menano troppo. Una carenza di contenuti allarmante, davvero. Non basta essere solo donna e/o giovane e/o pacsata. Bisognerebbe essere anche queste cose.

Dopo il voto a Prodi e alla sua armata Brancaleone noi ne sappiamo qualcosa di voto utile, di anti-berlusconismo ecc., ma questa qua fa passare la voglia anche ai più convinti. Non ho avuto tempo né occasione (né voglia soprattutto) di farmi un'idea chiara del personaggio, ma le voci contrarie in seno alla sinistra (anche la meno radicale) sembrano tante. Boh, staremo a vedere: a meno di clamorosi colpi di scena sembra purtroppo sicura la vittoria di quell'altro nano filoamericano di Sarko (che quando lo guardo mi viene tanto da rivalutare Lombroso), che prolungherebbe ancora la permanenza a destra della presidenza transalpina e che probabilmente creerà un ulteriore terremoto nella sinistra che dal Le Pen del 2002 non s'è più ripresa. A domenica prossima.

Paolo

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