03 maggio 2007

Non c'è niente da ridere

La lettura di Houellebecq può non piacere, può infastidire, può appassionare, può far riflettere, sicuramente non lascia indifferenti. I suoi libri sono pieni, pieni di spunti e provocazioni, pieni di amara consapevolezza, pieni di letteratura. Per unire l'utile al dilettevole, cioè cavarne un articolo per Tabard, avevo cominciato a leggere gli altri suoi romanzi oltre l'unico letto finora (Le particelle elementari). Non so se alla fine l'articolo verrà fuori, perché la lettura è rallentata da altri impegni, perché il materiale è tanto e tanto vasto e merita un'analisi all'altezza e perché nel frattempo ho intrapreso un altro progetto per la rivista di cui magari vi scriverò prossimamente. In La Possibilitè d'une île però, ho trovato un passo, tra i tanti interessanti e che andrebbero approfonditi, che mi ha particolarmente colpito e ispirato una riflessione che mi va di condividere subito. Il protagonista del libro è un autore satirico; in questa parte del romanzo incontra un artista la cui opera e la cui persona lo scuotono profondamente. Questo artista, durante un dialogo, gli propone una massima che riduce gli artisti a due categorie: i rivoluzionari e i decoratori. A suo dire (traduzione mia) "i rivoluzionari sono quelli che sono capaci d'assumere la brutalità del mondo e di rispondergli con una brutalità accresciuta". Il protagonista ci riflette, e aggiunge anche gli umoristi a questo binomio. Anche "l'umorista assumeva la brutalità del mondo e gli rispondeva con una brutalità accresciuta. Il risultato della sua azione non era tuttavia di trasformare il mondo, ma di renderlo accettabile trasformando la violenza, necessaria a ogni azione rivoluzionaria, in riso - e in più di farsi anche un bel pò di grana. Insomma, come tutti i buffoni, fin dalle origini, ero una sorta di collaborazionista. Evitavo al mondo delle rivoluzioni dolorose e inutili - poiché la radice di ogni male era biologica, e indipendente da ogni trasformazione sociale immaginabile: stabilivo la chiarezza, proibivo l'azione, sradicavo la speranza; il mio bilancio era mitigato".

Subito ho pensato ad uno scambio di battute, di lega assai inferiore, avuto con due amici a Bilbao qualche settimana fa. Si era reduci da una gran cena e si tornava verso casa per le stradine buie del quartiere vecchio chiacchierando amabilmente di politica basca ed italiana. Ovviamente dopo poco tempo i mali nostrani han preso il sopravvento sulla causa euskadi e si è finito per ricondividere tutte le solite frustrazioni: bref, il sunto era, maguardaunpò, che l'Italia è un paese di merda e la sua classe dirigente ne è degna rappresentante. La conclusione spettò al mio savio amico che per comodità chiamerò Giorgio (anche perché è il suo vero nome): il nostro problema, di noi italiani intendeva, è che viviamo in un bel paese dove in fondo in fondo si sta bene, che siamo gente allegra e che ci viene facile buttare tutto a tarallucci e vino; insomma, che ci ridiamo sopra. Io nei giorni successivi ci ho ripensato, e me ne sono convinto sempre più (so che per tutti o qualcuno di voi tutto ciò sembrerà banale, ma oh, che volete farci, io ci ho pensato davvero solo adesso) e ho cominciato a preoccuparmi. Di consapevolezza e indignazione attorno a me ce n'è tanta, ma manca sempre qualcosa, quello scatto verso... . Ho ripensato anche al post di Georgiamada su Vauro e all'anonimo e accanito commentatore che criticava il vignettista (con argomenti raccapriccianti, ma tant'è) e che fra le sue invettive lo tacciava anche di essere un giullare di corte. È ovvio che per come la intendeva lui (o lei) era una boiata, ma riletta dopo Houellebecq suona diversamente. Non voglio arrivare a dire che gente come Vauro o Luttazzi serve il regime, tutt'altro ; considero l'opera dei veri autori satirici (quali sono certamente i due citati, e di gran qualità) onesta e combattiva, ma non è forse vero che riderci su, per quanto amaramente, può avere un effetto sedativo sull'indignazione o sulla rabbia (che potrebbe diventare azione di protesta, o rivolta)? Quo usque tandem abutere... non riesce davvero a suonare come una minaccia nel paese di Pulcinella.

Paolo

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6 Commenti:

Alle 5/04/2007 03:21:00 PM , Blogger dottorTroy ha detto...

Adoro Houellebecq, di cui ho letto tutto (almeno per ora). Lo trovo un autore straordinario, in grado di raccontare la crisi esistenziale dell'uomo moderno con una sensibilità tutta particolare.
Ti suggerisco, se posso, di leggere Piattaforma, a mio parere il suo miglior romanzo.

 
Alle 5/04/2007 08:55:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Non credo che abbia molto senso questa opposizione tra rabbia e riso. Neanche in *becq, in fondo. Proprio perché la violenza è inestirpabile e connaturata all’uomo, la rabbia pura non può che cristallizzarsi in figure come il Bruno delle particelle, che sono poi solo involucri impotenti di quella stessa violenza. Solo il riso, ovvero la consapevolezza della paradossalità e del fallimento impliciti in ogni ribellione contro il triste destino scritto già nel dna, può davvero porsi contro l’orrore universale. A me sembra che *becq lo sappia bene, in fondo nelle particelle l’unica mossa capace di superare l’inferno dell’uomo è la trovata sommamente ironica della clonazione di una razza perfetta.

Tornando in casa nostra: è vero che da noi la gente ride rassegnata di atrocità pubbliche che in altri paesi scatenerebbero scandali impensabili (ogni singolo atto dello scorso governo, tipo). Ma questo non c’entra con un atteggiamento satirico e derisorio nei confronti del potere: la satira nasce proprio dall’indignazione (che in italia purtroppo è stata sostituita da tempo dalla rassegnazione, appunto), senza non esisterebbe, tutto il resto è connivenza. Anche opporre alla violenza altrettanta violenza (seppur di segno contrario).

 
Alle 5/04/2007 09:32:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Non sono molto d'accordo con l'ironia della clonazione. In fondo è proprio quella la soluzione per sconfiggere l'inesorabilità del deperimento fisico, ciò che crea rabbia e disparità, carburanti stessi della satira e della satira houellebecqiana. Per quanto riguarda i mali nostrani, il mio ragionamento parte dopo che la satira ha agito: l'indignazione che l'ha creata non viene trasmessa interamente ma ne risulta mitigata. A me interessa proprio la causa di quella rassegnazione italica.

 
Alle 5/04/2007 10:01:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

beh, nelle particelle la clonazione è una soluzione ironica proprio perché è "impossibile". insomma *becq dice che l'unico modo per superare l'orrore della condizione umana è smettere di essere uomini!

 
Alle 5/04/2007 10:15:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

azz, ora non me lo ricordo bene. In La possibilità di un'isola ci sono i neo-umani. Anzi sono proprio loro che raccontano le gesta degli uomini da un mondo in cui le emozioni sono state sterilizzate.Ma anche nelle particelle no? Comunque sì, la tua conclusione è giusta in ogni caso in effetti.

 
Alle 5/05/2007 05:00:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

(Premetto che sono a favore di qualsiasi forma di clonazione che generi esseri umani privi di denti del giudizio)

A ogni modo. Certo è che in Italia ci si sta abituando a sentire parlare di cose serie gente che sulla carta dovrebbe fare un altro lavoro, cioé far ridere.
Questo secondo me porta in molti a una specie di corto-circuito, per cui anche se sono cose vere e gravi, vengono comunque comunicate in un contesto di spettacolo e intrattenimento e quindi...
Le stesse trasmissioni "serie" si contaminano con momento di satira, tipo "Ballarò", con il risultato che spesso a metà puntata c'è gente che sta ancora polemizzando con il monologo comico d'apertura.
Il problema è che molti temi restano confinati all'interno di situazioni "di spettacolo", e non ci sono attori politici che se ne facciano carico con forza tale da farli diventare argomenti del dibattito pubblico vero e proprio.

a.

 

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