Non c'è niente da ridere
La lettura di Houellebecq può non piacere, può infastidire, può appassionare, può far riflettere, sicuramente non lascia indifferenti. I suoi libri sono pieni, pieni di spunti e provocazioni, pieni di amara consapevolezza, pieni di letteratura. Per unire l'utile al dilettevole, cioè cavarne un articolo per Tabard, avevo cominciato a leggere gli altri suoi romanzi oltre l'unico letto finora (Le particelle elementari). Non so se alla fine l'articolo verrà fuori, perché la lettura è rallentata da altri impegni, perché il materiale è tanto e tanto vasto e merita un'analisi all'altezza e perché nel frattempo ho intrapreso un altro progetto per la rivista di cui magari vi scriverò prossimamente. In La Possibilitè d'une île però, ho trovato un passo, tra i tanti interessanti e che andrebbero approfonditi, che mi ha particolarmente colpito e ispirato una riflessione che mi va di condividere subito. Il protagonista del libro è un autore satirico; in questa parte del romanzo incontra un artista la cui opera e la cui persona lo scuotono profondamente. Questo artista, durante un dialogo, gli propone una massima che riduce gli artisti a due categorie: i rivoluzionari e i decoratori. A suo dire (traduzione mia) "i rivoluzionari sono quelli che sono capaci d'assumere la brutalità del mondo e di rispondergli con una brutalità accresciuta". Il protagonista ci riflette, e aggiunge anche gli umoristi a questo binomio. Anche "l'umorista assumeva la brutalità del mondo e gli rispondeva con una brutalità accresciuta. Il risultato della sua azione non era tuttavia di trasformare il mondo, ma di renderlo accettabile trasformando la violenza, necessaria a ogni azione rivoluzionaria, in riso - e in più di farsi anche un bel pò di grana. Insomma, come tutti i buffoni, fin dalle origini, ero una sorta di collaborazionista. Evitavo al mondo delle rivoluzioni dolorose e inutili - poiché la radice di ogni male era biologica, e indipendente da ogni trasformazione sociale immaginabile: stabilivo la chiarezza, proibivo l'azione, sradicavo la speranza; il mio bilancio era mitigato".Paolo
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6 Commenti:
Adoro Houellebecq, di cui ho letto tutto (almeno per ora). Lo trovo un autore straordinario, in grado di raccontare la crisi esistenziale dell'uomo moderno con una sensibilità tutta particolare.
Ti suggerisco, se posso, di leggere Piattaforma, a mio parere il suo miglior romanzo.
Non credo che abbia molto senso questa opposizione tra rabbia e riso. Neanche in *becq, in fondo. Proprio perché la violenza è inestirpabile e connaturata all’uomo, la rabbia pura non può che cristallizzarsi in figure come il Bruno delle particelle, che sono poi solo involucri impotenti di quella stessa violenza. Solo il riso, ovvero la consapevolezza della paradossalità e del fallimento impliciti in ogni ribellione contro il triste destino scritto già nel dna, può davvero porsi contro l’orrore universale. A me sembra che *becq lo sappia bene, in fondo nelle particelle l’unica mossa capace di superare l’inferno dell’uomo è la trovata sommamente ironica della clonazione di una razza perfetta.
Tornando in casa nostra: è vero che da noi la gente ride rassegnata di atrocità pubbliche che in altri paesi scatenerebbero scandali impensabili (ogni singolo atto dello scorso governo, tipo). Ma questo non c’entra con un atteggiamento satirico e derisorio nei confronti del potere: la satira nasce proprio dall’indignazione (che in italia purtroppo è stata sostituita da tempo dalla rassegnazione, appunto), senza non esisterebbe, tutto il resto è connivenza. Anche opporre alla violenza altrettanta violenza (seppur di segno contrario).
Non sono molto d'accordo con l'ironia della clonazione. In fondo è proprio quella la soluzione per sconfiggere l'inesorabilità del deperimento fisico, ciò che crea rabbia e disparità, carburanti stessi della satira e della satira houellebecqiana. Per quanto riguarda i mali nostrani, il mio ragionamento parte dopo che la satira ha agito: l'indignazione che l'ha creata non viene trasmessa interamente ma ne risulta mitigata. A me interessa proprio la causa di quella rassegnazione italica.
beh, nelle particelle la clonazione è una soluzione ironica proprio perché è "impossibile". insomma *becq dice che l'unico modo per superare l'orrore della condizione umana è smettere di essere uomini!
azz, ora non me lo ricordo bene. In La possibilità di un'isola ci sono i neo-umani. Anzi sono proprio loro che raccontano le gesta degli uomini da un mondo in cui le emozioni sono state sterilizzate.Ma anche nelle particelle no? Comunque sì, la tua conclusione è giusta in ogni caso in effetti.
(Premetto che sono a favore di qualsiasi forma di clonazione che generi esseri umani privi di denti del giudizio)
A ogni modo. Certo è che in Italia ci si sta abituando a sentire parlare di cose serie gente che sulla carta dovrebbe fare un altro lavoro, cioé far ridere.
Questo secondo me porta in molti a una specie di corto-circuito, per cui anche se sono cose vere e gravi, vengono comunque comunicate in un contesto di spettacolo e intrattenimento e quindi...
Le stesse trasmissioni "serie" si contaminano con momento di satira, tipo "Ballarò", con il risultato che spesso a metà puntata c'è gente che sta ancora polemizzando con il monologo comico d'apertura.
Il problema è che molti temi restano confinati all'interno di situazioni "di spettacolo", e non ci sono attori politici che se ne facciano carico con forza tale da farli diventare argomenti del dibattito pubblico vero e proprio.
a.
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