Una carezza in un Pugno
[Recensione tardiva, in tutti i sensi, e laterale, ma non troppo, al discorso sulla New Italian Epic].
Dai vari post e commenti lasciati in questo periodo sulla definizione e sulle pratiche discorsive della New Italian Epic, raccolgo, a casaccio, qualche idea, tra cui, estratta a sorte, quella che ci sia tra le righe di Wu Ming 1 una proposta canonica, o quantomeno di “gruppo”, di “movimento artistico” – sociale, in senso lato, politica forse in senso latissimo.
Non credo che Wu Ming sia la voce che grida nel deserto – nel deserto della frammentazione delle poetiche, un paesaggio realmente esistente, qualunque attitudine critica possa ispirare, ed ancora assai tipico del postmoderno – e che cerca così di farsi alleati, o adepti, come qualcuno ha avuto anche la malizia di sostenere...
La NIE è stata una proposta, più che un'imposizione (trovo sbagliato, se non a un livello teorico che qui mi interessa poco, e che quindi si può dibattere in altro momento, l'interpretazione del saggio di WM come quella di una "forzatura teorica a posteriori, di impronta teleologica"), che ha avuto anche i suoi riscontri – Evangelisti e Lucarelli, a memoria, e altri ancora...
Ha inevitabilmente rinserrato le fila, però: fuori Scarpa, per esempio, com’era prevedibile, il quale ha ben re-indirizzato la polemica, tra le altre cose, contro i "romanzi d'eccellenza".
E sta bene.
Ma fuori anche Laura Pugno, con il suo primo romanzo, Sirene (Einaudi, 2007).
Questa fuori, ma non di molto – riga che per una volta non fa campo.
Le sirene di Pugno, infatti, sono i personaggi di una vecchia, vecchissima epica, qui rivitalizzata e rimodellata all'interno di una narrativa che oscilla tra il postmoderno e le sue varie negazioni/opposizioni/deviazioni. La loro presenza, infatti, seducente e inquietante, anche se in modo quasi gridato, nella narrazione, non dà origine a una narrazione pastichata e, cosa assai importante, consapevole di esserlo.
Certamente, le sirene sono passate con un agile movimento di pinna dal mar Egeo del passato alle acque di Underwater del futuro, un territorio immaginario controllato da una potente yakuza giapponese: è nato così un "manga letterario" (una delle influenze più forti, denunciate dalla stessa autrice nella nota di chiusura, è il ciclo della Saga della Sirena di Rumiko Takahashi) con qualche striatura fantascientifica (spesso attingendo ad una vena prosciugata fino alla consunzione, allo stereotipo – il protagonista sembra a tratti Sam Lowry di Brazil di Gilliam, a tratti il solito Bruce Willis de noantri...).
Il risultato, però, non è a più sfaccettature; è compatto, e allo stesso tempo paradossale, come bene aveva notato Emanuele Trevi, a suo tempo, sul «Manifesto» (12.07.2007) : più che un fumetto di fantascienza, Sirene assomiglia, mutatis mutandis, a un affresco medievale, dove “apocalisse e perversione sono la stessa cosa”. Tranne per il piccolo dettaglio che l’apocalisse si sa non venire mai del tutto, perché gli uomini, o almeno i poteri che li dominano, inventeranno sempre qualcosa per riprodursi e rigenerarsi. (Questo, ce lo si consentirà, molto postmoderno...)
In altre parole, la contaminazione è qui certamente un datum, un’atmosfera che tutti gli scrittori prima o poi si respira, dal quale esce un piccolo frammento, composito ma che allo stesso tempo offre la faccia opaca del paradosso e del rovesciamento a chi vuole, in virtù di una metodologia egualmente data e consacrata, rintracciare filiazioni e relazioni in modo sicuro e schematico.
La narrazione, allora, pure intrecciandosi con una storia epica (relativa alle oscure forze che muovono il mondo – nel quadro di un’analisi assai poco materialistica, forse è il caso di iniziare a lamentarsene...) e con un motivo etico (il mondo è qui lo stesso “mondo senza di noi” evocato da Wu Ming nel suo saggio), ha le caratteristiche decisive del romance, tra la quali non manca l’idealizzazione. La carne di mare delle sirene, pure così esplicitamente evocata, con la bella stringa “carne di mare”, appunto, non è la stessa carne artaudiana della poesia di Pugno (cfr. recensioni sempre entusiastiche di Andrea Cortellessa). E a poco vale una penna “emblematica quanto autoritaria” (Stefano del Bianco) – che nei cambi di tono e di ritmo adotta quasi sempre la stessa formula verbale, in modo quasi irritante – se lo sforzo narrativo tende verso tutt’altri lidi...
Ebbene, quanto alla New Italian Epic.
Il libro – che non si sogna mai, neanche lontanamente, di mescolare “fiction” e “non-fiction” – non è dunque un UNO, un “mostro”, o se lo è, è mise en abîme (scusate l’arcaismo critico...) di se stesso, perché le sirene sono veri e propri “mostri”, anche in questa loro rinascita post-human. Come “manga medievale”, è figlio di uno sguardo tanto complesso quanto popolare (quello dei cartoni giapponesi e delle grandi narrazioni distopiche, che è anche l’immaginario rivendicato per gli under 40 da Lagioia nella sua recensione per «Il Riformista»). Non presenta storie ucroniche, ma direttamente fantascientifiche, anche se di un fantasy light, sciupato – se non proprio trito e ritrito....
E se c’è, la sperimentazione è nascosta – vedi i gerghi inglesi e giapponesi, della tecnologia e del genere, che si intrecciano e vengono fluidificati dal racconto...
Non è che siamo davanti a un caso di “vecchia epica”, anzi di “old-epica”, per mantenere il taglio critico, che sfiora la NIE e la mette in crisi sui suoi stessi punti “programmtici”?
Il contatto della pinna delle sirene è malizioso, è una carezza in un Pugno.
Lorenzo Mari
Etichette: Resaca
11 Commenti:
[WM1:] Devo ancora leggerlo. Nel memorandum scritto che oltre ai nomi che ho fatto ce ne sono tanti altri, "alcuni appena esordienti" i cui libri sono in movimento e in trasformazione. Ricordo che di questo libro ne ha parlato molto bene Loredana Lipperini.
Sarebbe forse interessante comparare le "sirene"-mostro di Laura Pugno con quelle solo in apparenza più "classiche" di Camilleri in "Maruzza Musumeci", libro uscito lo stesso anno.
Un dubbio: posso capire il discorso sullo "sfiorare" il NIE (anche se, dalla descrizione che ne fai, più che sfiorarla, il libro pare attraversare la "nebulosa" molto vicino al suo centro, e quindi intersecare diverse altre traiettorie).
Non capisco in che senso invece "metta in crisi" il NIE.
Se l'opera condivide le premesse e diverse delle caratteristiche che ho elencato nel memorandum, allora rientra nel "campo di forze" che mi interessa analizzare.
Se invece la sua lettura produce un'impressione di "ineffabile" parentela con le opere che ho elencato, parentela che però va oltre i tratti distintivi che ho cercato di elencare, vuol dire che il "campo di forze" è in espasione e va più veloce della mia capacità di descriverlo, il che è più che probabile (è quello che ho provato a dire ieri nella discussione su SIC: può darsi che il NIE sia quello che dico io ma abbia caratteristiche in parte diverse da quelli che ho elencato).
Se invece condivide soltanto alcune delle caratteristiche, e non le più importanti, e non dà nemmeno un'impressione di "parentela", allora possiamo parlare di coincidenze non significative (come avviene per tante altre opere).
Se invece non condivide nulla, ma proprio nulla, allora non c'entra niente (come avviene per tantissime altre opere). Ma dalla tua descrizione non mi sembra.
Il punto di crisi dov'è? Può l'esistenza di una singola opera mettere in crisi una lettura comparata tra altre opere?
WM1
[WM1:] Errata corrige: "nel memorandum ho scritto". Mancava "ho".
WM1
Probabilmente, “punto di crisi” è stata un’espressione un po’ avventata... Non credo neppure io che un’opera metta in crisi una lettura comparata tra opere, se non forse nei suoi casi estremi – in questa situazione, una risultanza estrema, per esempio, potrebbe essere il fatto che “Sirene” sia strutturalmente simile alla NIE (direi per: rapporto con la Contaminazione, fusione di complesso e popolare, sperimentazione nascosta, etica) però non ne condivida comunque aspetti fondamentali (direi, per: approccio tematico e di genere --- “oldepico” --- , irruzione del romance più tradizionale, e, di nuovo, rapporto con il Postmoderno). Anche se parliamo di una nebulosa, il divorzio tra certe premesse e certe caratteristiche può indurre delle rotture, no? É possibile, in altri termini, essere così schizofrenici al suo interno?
Il mio dubbio, comunque, persiste, alla radice, per un giudizio di valore: tutte le caratteristiche che potrebbero avvicinare “Sirene” alla NIE sono i punti di forza del testo, tutte quelle che lo allontanano debolezze. Ci si può permettere di imbarcarla?
(In quanto a un confronto con "Maruzza Musumeci" sarebbe molto interessante, sì.)
Quanto alla ricezione del testo, ora che ci penso, è stata molto positiva: nel post ricordavo infatti gli elogi di Cortellessa e Lagioia, tra gli altri. Temo però che gli si abbia riservato una critica “d’eccellenza”, a volte davvero impressionista. E penso a quanta lotta debba fare il testo per svincolarsi dalle interpretazioni esclusivamente tematiche, che vanno --- mi ripeto un po’ --- da un ecologismo un po’ stereotipato fino alle attribuzioni dell’etichetta “generazionale.” (...eh?!)
mi limito a segnalare che Laura Pugno è presente nell'antologia La storia siamo noi, uscita di recente per Neri Pozza, che ritengo pertinente al dibattito sul NIE, sia per i nomi che include (tra gli altri Scurati, Camilleri, Genna, Janeczek), sia per il progetto narrativo (14 racconti non di finzione su 14 episodi della storia d'Italia).
[WM1:] Se a tuo avviso i punti di forza dell'opera stanno tutti nell'intersezione con il New Italian Epic, mentre i punti di debolezza stanno fuori, stai dicendo che "Sirene" si muove verso il campo elettrostatico del NIE. Mi sta bene. [Non starà bene a Scarpa, che sicuramente indirizzerà pure a lei un "biglietto" in cui le intimerà di non ascoltare le... sirene dei Wu Ming! :-))))]
Tieni conto che "metahistorical romance" (e il sostantivo non è messo lì a caso, con tutte le sue possibili connotazioni) è la definizione che Amy J. Elias dà di diverse opere che secondo Linda Hutcheon erano l'epitome della "historical metafiction" postmoderna, come "Mason & Dixon" o "Underworld" etc.
E la dimensione del romance è presente, giocata insieme ad altre, anche in un bel po' di opere NIE.
Essendo il NIE una nebulosa in cui si incrociano traiettorie, ci sta benissimo che i tragitti siano disparati, anche all'interno dello stesso libro.
Penso anche alla falsa antitesi da cui era partita la puntata di "Fahreneit" sul NIE (falsa antitesi che Scurati è stato bravo a smontare), cioè quella tra "autofiction" e NIE. L'autofiction è un elemento anche di opere come "Dies irae" e "Medium" di Genna (il cui protagonista si chiama Giuseppe Genna e ha in comune col Genna-autore alcune parti di biografia), o "Sappiano le mie parole di sangue" di Babsi Jones (la cui protagonista si chiama Babsi Jones ma non è l'autrice). Certo, se in un'opera l'autofiction costruisce una narrazione tutta "centripeta" e raccolta sull'io, allora non c'entra niente coll'uso che se ne fa nel NIE. Ma quale sarebbe l'esempio? l'ultimo di Covacich? Non l'ho letto. Me ne hanno parlato malissimo, ma non l'ho letto. Walter Siti? Ma col cazzo! Ne "Il contagio" (libro bellissimo) Siti si lancia nella grande narrazione delle borgate romane tra passato e presente, componendo un'epica della "moltitudine andata a male".
WM1
[WM1:] Non sono certo che si capisca quel che volevo dire nel secondo capoverso.
Anzi, ne sono quasi sicuro, non si capisce. Troppo ellittico, manca un intero trancio di ragionamento. Fate finta che quella parte di commento non ci sia. Poco importa che il capoverso seguente (quello sull'autofiction) diventi del tutto gratuito: è un punto importante da sollevare, anche fuori contesto e non chiamato da nessuno :-)
WM1
Credo invece che il discorso sul “metahistorical romance” --- un’etichetta che magari non è azzeccata per il romanzo di Pugno, ma certo è utile alla discussione --- possa essere ripreso e amplificato. Amy Elias ritornava alle radici del romance, a Walter Scott, per proporne un rovesciamento quasi speculare, nell’oggi. Non più la storiografia illuminista che si fa romance, ma il romance che si fa storiografia. O, per meglio dire, tende alla storiografia. Rimane infatti un distacco ironico, critico, pieno di desiderio, senza del quale neanche la definizione-madre (“historical metafiction”, della Hutcheon) potrebbe esistere. Di là c’è il nuovo sublime storico, divenuto irrappresentabile, nella contemporaneità, secondo Lyotard.
Definizione che l’undici settembre in realtà sfida per la prima volta con una pregnanza storica, sensu latu. La desertificazione del reale era forse già in atto, ma l’undici settembre l’ha “agita” per la prima volta, fondendo l’irrappresentabile e la moltiplicazione delle rappresentazioni in un’unica immagine, diventata canonica... “dal cielo azzurrissimo” ... Siamo d’accordo nella decostruzione dell’immagine canonica, tutti gli scrittori citati, e altri, possono essere in grado, a vario titolo, di proporla, ma cosa fare del problema di fondo, delle vie della storiografia? Ci riduciamo alla contrapposizione tra versione ufficiale --- irrappresentabile se non dal Potere --- e dietrologia --- cioè quello che è irrappresentato dal Potere e quindi può generare moltitudini di teorie e versioni contrastanti, spesso idiosincratiche e consolatorie?
Ora, Elias ricorda che l’approccio storiografico postmoderno (Hayden White, “Content and Form”) è più diretto all’azione che non alla comprensione (su quella per rappresentazione, per lo meno): rispetto all’Olocausto (primo buco nero della storia novecentesca, rispetto al quale l’imperativo del “non dimenticare” è anti-storico, secondo le categorie tradizionali, ma ovviamente per noi fondamentale, per mantenere su un livello decentemente umanista le nostre tensioni culturali), una risposta di pura e semplice auto-conservazione può risultare assai più efficace e persistente di una riflessione storica (inserita in un quadro politico connivente... e qualcosa mi riporta a oggi...) che ha prodotto casi rilevanti, e non eccezionali, di paralisi morale e di conseguente rigetto della “lezione tradizionale” e delle sue potenzialità.
Per arrivare a quest’azione, con tutte le sfumature che le si possono applicare, e vabbé..., ma che può costituirsi davvero come il punto d’arrivo e di ripartenza (critica) per una tensione veramente militante, c’è bisogno di una distanza, dal sublime storico, e di una presa di posizione politica, non solo nei confronti del “mondo senza di noi”, ma anche del nostro passato. Qui vi manca un po’ Pugno, che tra l’altro (obiezione fondamentale) non fa della storia tema ma ambientazione, diversamente da quando teorizzato da Elias. (Personalmente, poi, vorrei fosse anche, con più frequenza, struttura, influsso narratologico, non solo tema...)
Credo, in conclusione, che il romance di “Sirene”, che avevo definito per comodità “più tradizionale”, non sia affatto metastorico.
Per conseguenza, le manca, come sottolineavo nel post, la corporeità/crudeltà evidente negli scritti poetici, un punto della critica che non vorrei andasse perso, perchè penso possa essere un interrogativo anche per la NIE.
Corpo? Parliamo di corpo? (“Parliamo il corpo”, ovviamente?)
E, di nuovo, torniamo a rivangare il già detto. Se la sua creazione è eccentrica rispetto alle figurazioni postmoderne e tende fino all’estremo a formare un piccolo frammento opaco, un asteroide impazzito, qualcosa dal quale in fondo non si può dir nulla né nulla può risalirvi, e vi si aggiunge una qualifica “non meta-storica”, allora partecipano della stessa mancanza molti altri “mostri”?
(Il tema della autofiction è altrettanto interessante, ma la digressione mi sembrava necessaria per chiarirmi, o per confondere le acque, ulteriormente)
[WM1:] Allora restiamo alle opere, ai "mostri" che evochi. E compariamoli tra loro. Nel memorandum, come UNOs citavo "Gomorra" e "Sappiano le mie parole di sangue". Ed è certamente un UNO "L'uomo che volle essere Peron" di Bellu. Quest'ultimo libro, in particolare, mi sembra un modo di aggirare in modo creativo, e quindi mettere in crisi, una troppo sterile contrapposizione tra realtà ufficiale e "dietrologia".
Tra parentesi, detesto la parola "dietrologia", perché è usata per delegittimare anche verità non ufficiali che poco o nulla hanno di psicotico o paranoico. Ne "I sentieri del cielo", Luigi Guarnieri racconta la vera storia (sepolta, dimenticata, mai percepita a livello di opinione pubblica nazionale) della repressione del brigantaggio meridionale all'indomani dell'Unità d'Italia. E' la verità non ufficiale contrapposta al mito fondativo post-risorgimentale, sclerotizzato e inservibile. Ma non c'è nulla di dietrologico, in questo.
WM1
Nemmeno io ricorrevo volentieri alla parola "dietrologia", anzi la usavo per convenzione, purtroppo, nonostante la sua carica di delegittimazione rispetto alla miriade di lavori seri e documentati che esistono, e la vedevo unicamente in opposizione ---sterile --- alle cosiddette "versioni ufficiali". Dialettica che può e deve essere superata, come argomentavo, anche con un approccio storiografico figlio del postmoderno. E sicuramente lo può essere nella NIE, sempre che questa non flirti con quel romance che di metastorico ha poco e che si appiattisce sui suoi oggetti senza mantenere distanza, critica, desiderio. Rappresentandoli direttamente, facendone quasi marchio di fabbrica. (É la "carne di mare" che nel suo ripetersi formulaico stenta a essere vera carne.)
[WM1:] Direi che c'è convergenza. Tutte le opere NIE prese in esame sono accomunate da un indubbio approccio *critico*. Anzi, del tardo postmodernismo contesto precisamente (come fanno altri, es. su Lipperatura citavo Foster Wallace) il pluriennale sdilinquimento della componente critica e la divaricazione avvenuta tra critica e distacco. Il distacco senza critica è solo deresponsabilizzazione, atteggiamento blasé, paura del coinvolgimento, e l'ironia diventa sarcasmo vuoto e privo di cuore. Questo perché quando una cultura tira innanzi per inerzia quando le basi materiali da cui è nata sono in crisi profonda, diventa *maniera*, e c'è bisogno di una nuova scossa.
Le opere che elenco sono tutte vaccinate dal morbo dell'appiattimento. Quanto al desiderio, ho parlato addirittura di "desiderio feroce che ci riporta in strada, negli archivi, o dove strada e archivi coincidono".
WM1
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