Seconda nota sul New Italian Epic
Questo post doveva essere un commento a quello di Valentina. Ma mi si è allungato troppo. Dunque ne faccio un altro post in dialogo con quello precedente.
Faccio una cosa che non si dovrebbe assolutamente fare. Ma - dato che WM1 parla di "ritorno" della passione, partecipazione e commozione newitalianepiche vs. freddezza, sfiducia, disincanto, deresponsabilizzazione postmoderne - scrivo due tre cose a caldo, dopo che ho appena letto il saggio, e non avendo tempo di argomentare con calma e scrupolo tutto. Il saggio merita un lavoro serio, che faremo. Ma non lo merita, secondo me, per ciò che cerca di argomentare, quanto perché è alla "disperata" ricerca di una "scuola-movimento" che scuota il dibattito letterario, crei opposizioni e annessioni, scarti, prese decise di posizione e, possibilmente, nuovi oggetti letterari autocoscienti (sottolineo, nuovi oggetti, non per forza oggetti nuovi: ricordiamo Anceschi). Questo mi sembra sempre positivo. È quello che auspicammo con Tabard: autocoscienza e, perché no, tentativi di formazione di poetiche precise (anche scuole).
Ok. Nonostante questo: a caldo: questo saggio a me sembra un grandissimo guazzabuglio... Mi dispiace, ma è confuso, si serve di riferimenti obliqui in maniera totalmente strumentale, forzata e, a volte, superficiale, in funzione di una tesi per niente chiara nelle sue formulazioni esplicite, ipotizzabile in quelle implicite.
Farò pochi esempi.
C’è una confusione di categorie narratologiche. Il punto di vista obliquo è visto prima nel suo senso narratologico, poi accostato a uno straniamento puramente ideologico slegato totalmente dalla “forma narrativa” (mescolando generalizzazioni del punto di vista in quanto “sguardo sulla storia”, inverosimiglianza linguistica - scrivere in italiano storie che non si svolgono in Italia - fino all’“allegoritmo” come punto di vista globale sulla e della materia romanzata).
Il paragrafo “Accade in letteratura” parte da una concezione di estetica della ricezione totalmente antiquato, che ipostatizza l’“immagine”-fotogramma del cinema come un già-dato che lo spettatore deve solo ricevere (banalizzazione della ricezione distratta benjaminiana) di contro all’immaginazione in atto nel lettore che legge e lega le immagini che è indotto a immaginarsi. Cioè, si dà il processo della ricezione letteraria in senso dinamico (nella temporalità del suo svolgersi), ma si nega questo nella fruizione del cinema. È un argomento strumentale che evita un allargamento di prospettive che sarebbe stato interessante: cioè: cosa è successo nel cinema italiano nello stesso periodo di cui si parla qui? Perché accade SOLO in letteratura? Date le premesse storiche, sociologiche, politiche, psicologiche “condivise” come reagisce il cinema? ... esiste una NIE del cinema? E se no, come credo, perché?
Sperimentazione stilistica dissimulata: concetto interessantissimo, su cui propongo di lavorare. E però nel saggio non è spiegato assolutamente di cosa si tratti nei romanzi in questione. Si danno esempi di “piccole” modalità stilistiche che non hanno valore strutturale. Se c’è sperimentalismo (dissimulato o esplicito), questo deve lavorare sull’intera forma (e non basta la ricorrenza di un lessema... per favore...)
Si dice che nella mescolanza dei linguaggi e dei generi non si tratta di contaminazione. Contaminazione, si vuole a tutti i costi specificare, è fenomeno solo endo-letterario. Il NIE va al di là. Crea mostri, unici. Credo che è dall’inizio del Novecento che il concetto di contaminazione riguardi materiali per l’appunto extra-letterari fagocitati dalla letteratura. (Come molto spesso in questo saggio, si afferma per via negativa, però confondendo o appiattendo l'oggetto negato...)
Poi: la questione fondamentale: la sua concezione del Postmoderno. Su questo, cari tabardiani, interverrete voi. Così come avete fatto nelle mail che ci siamo scambiati. Se no io mi dilungo troppo (e non era nelle mie intenzioni). E però, lasciatemi dire: anche qui si tratta di banalizzazione, appiattimento e luogo comune. Non ci si rende conto che molti degli elementi descritti come propri della NIE sono postmodernissimi. Ma evidentemente si fa confusione cercando di contrapporre: critica vs. postmoderno; responsabilità vs. postmoderno: la macro-opposizione, comunque, è ETICA vs. POSTMODERNO.
Per chiudere:
Ho trovato fastidiosissimo (ma davvero molto) che WM1 pone il suo gruppo e i loro libri (sicuramente di valore) a "capo" della NIE. All’inizio di tutto ci siamo noi: o meglio, noi siamo la perfetta espressione del NIE. O meglio: “tutto ciò che prima di noi v’era d’implicito con i nostri libri siamo riusciti a esplicitarlo. Adesso ve lo spiego”. Non sto dicendo che ci sia malafede o narcisismo pubblicistico. Sto dicendo che si sta spacciando una poetica personale come un movimento. Se notate bene TUTTI i punti fondamentali del NIE sono attribuibili a opere di Wu Ming o all’unica di Luther Blisset. Su ogni questione, dà esempi tratti dai loro libri. L’apertura di 54 è data addirittura come partenza e chiusura (“ideologica”) del saggio.
Con questo non voglio aprire un’inutile polemica personale vs. WM... assolutamente no. Sto solo dicendo che in questo saggio c’è una buona quantità di riflessioni che i WM hanno evidentemente elaborato nel corso della loro attività di produzione letteraria, e stanno cercando, a posteriori, di espandere inclusivamente tale poetica a un intero periodo-gruppo (di opere o autori) letterario. È un’operazione molto insolita. Normalmente o si “inizia” con un manifesto di “poetica potenziale” a cui poi si “cerca” di aderire. O si trovano capostipiti in “altri” e da lì, analizzando e sviscerando i modelli che “altri” possono fornire, si formula una poetica.
Spero sia chiaro dove voglio arrivare. C’è un egocentrismo dell’ecocentrismo epico, in questo saggio. Non c’è vera analisi dell’altro per poi riconoscere il proprio o ri-proporre il proprio. Ma autocoscienza del proprio e tentativo di “elevarlo a sistema” perché gli altri si riconoscano. Penso che è proprio per questo che un Tiziano Scarpa ha “non-formulato”, amichevolmente, un distacco polemico dal saggio (vedi qui). Eppure Primo Amore potrebbe essere d’accordo con la maggior parte degli attacchi al postmoderno da cui per via negativa si sviluppa questo saggio. Eppure, c’è un aspetto di “preconfezionamento” critico che non fa molto bene ad alcuni messaggi che pure il saggio vuole veicolare per accendere il dibattito.
PS: ecco un intervento curioso di Scarpa anti-epico “prima” della formulazione NIE
Eugenio
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34 Commenti:
[WM1:] Intanto ringrazio entrambi per i commenti al mio memorandum. Sto facendo una fatica enorme a seguire le discussioni in corso, gli stimoli, i commenti, e penso che dovrò "staccare la spina" perché sto raggiungendo il limite, esiste una "soglia massima di disponibilità" oltre la quale soltanto i sovrumani possono spingersi, io sono umano di carne e sangue e quindi dovrò pur fermarmi.
Recepirò tutti gli spunti in postille che scriverò appena esco dal tunnel del superlavoro. Ho voluto assecondare un'urgenza di esprimermi, la sensazione che questo (dopo le discussioni americane) fosse il momento giusto per dire certe cose, e così ho aggiunto una notevole mole di fatica a quella che già pativo per scadenze, stesure, consegne etc.
Dico subito che i punti di "frizione" tra le vostre letture e la mia intenzione sono di tre tipi:
1) frizione dovuta a problemi terminologici e di definizione (il dibattito su cosa sia o sia stato il "postmoderno" soffre da sempre di questo "famo a non capisse", dipende da quale analisi si sposa tra tutte quelle disponibili, divergentissime l'una dall'altra come possono esserlo quella di Jameson e quella della Hutcheon);
2) frizione dovuta a disaccordi su alcune questioni di fondo e premesse del discorso, e vabbe', quello è normale e pure sano...
3) frizione dovuta a fraintendimenti, vuoi perché alcuni degli appunti messi nel memorandum erano poco chiari (ed è vero), vuoi perché una lettura eccessivamente "intasata" di teoria letteraria (absit iniuria) porta a "sovra-codificare" certi passaggi il cui senso è invece molto terra-terra, vuoi chissà per quale altro motivo...
A me interessa il terzo punto. Sugli altri avremo tempo e modo, ma se non chiariamo i fraintendimenti non avremo né il tempo né il modo.
CONTAMINAZIONE E UNO: non posso ricevere l'obiezione espressa in questo passaggio:
"Si dice che nella mescolanza dei linguaggi e dei generi non si tratta di contaminazione. Contaminazione, si vuole a tutti i costi specificare, è fenomeno solo endo-letterario. Il NIE va al di là. Crea mostri, unici."
Non posso riceverla, perché questo passaggio fallisce nel riassumere la mia tesi.
Io penso (e ho cercato di scrivere) che oggi non si possa più parlare di "contaminazione" perché la contaminazione da tempo *non è più una scelta*, ma un datum, un ambiente in cui tutti ci muoviamo. La contaminazioni non ha un a priori esterno ad essa né una riconoscibilità a posteriori. La contaminazione è già data, tutti i generi sono *già* costitutivamente ibridi e sporcati, tutto è miscelato e multimediale. "Contamina" anche chi non lo sceglie perché l'intero immaginario è così.
Quindi dire "contaminazione" è usare un pleonasma, simulare un traguardo interpretativo quando invece si è ancora e soltanto ai blocchi di partenza. Questo è il senso del mio discorso, che io lo abbia espresso bene o male.
Inoltre, soltanto alcune delle opere menzionate come esempi nel mio memorandum sono "mostri". L'aberrazione che produce l'UNO è una potenzialità, ma gli altri libri sono tranquillamente definibili come romanzi. Tant'è che tale aberrazione è messa come uno dei tratti distintivi possibili, non è una condicio sine qua non del New Italian Epic.
Il discorso poi non era sull'intra o l'extra-letterario, ma sull'endo- ed eso-letterario, sono due prefissi diversi, segnalano un movimento rivolto verso l'interno e uno verso l'esterno.
Sono d'accordo sul fatto che la contaminazione già cercava di inglobare l'extraletterario, ma l'extraletterario di ieri è il letterario di oggi. "Esoletterario" significa che si va a cercare quello che ancora non è stato inglobato nel letterario.
MULTIMEDIALE E TRANSMEDIALE: Valentina parla di "multimediale". Bene, è un concetto che nelle mie note non ho mai utilizzato, perché non suscita il mio interesse, e non suscita il mio interesse in quanto - anch'esso - pleonastico. Oggi *tutto quanto* è multimediale, tutto l'immaginario è multimediale, anche le scritture più legate a uno specifico letterario subiscono a vari gradi l'influenza di ciò che avviene negli altri media, basti pensare a come il computer e la rete cambino radicalmente l'approccio all'atto di scrivere, inteso proprio come atto materiale, sequenza di gesti, apertura di possibilità (scrittura ricorsiva, tagliare e incollare, puoi cestinare senza distruggere il supporto etc.) Ripeto: tutto è multimediale.
Nel memorandum accenno a un'altra cosa, a un altro processo, la "transmedialità" (cfr. Henry Jenkins, "Cultura convergente"), cioè l'esplicita prosecuzione della storia su altre piattaforme. Attenzione, non parlo di adattamenti della stessa storia (il film tratto dal romanzo), ma proprio una vita della storia che prosegue con altri mezzi e linguaggi. E' su questo che mi interessa continuare a riflettere.
EGOCENTRISMO E AUTOPROMOZIONE: considero fuori fuoco l'obiezione sul nostro (nostro di WM) porci al centro di una scuola o corrente. Per due motivi:
1) scuole e correnti solitamente riguardano gli autori, a me invece interessa riflettere su alcune delle opere di alcuni autori, e l'ho scritto esplicitamente. Non esistono autori del New Italian Epic, esistono opere che secondo me hanno un rinnovato tono epico, che nella produzione di ciascun autore convivono con opere che questo tono non lo hanno affatto. Di Lucarelli ho nominato soltanto "L'ottava vibrazione", di Camilleri non mi interessano i Montalbano etc. E anche noi WM abbiamo scritto cose che avevano meno della metà delle caratteristiche che ho elencato, basti pensare al tono freddo di "Free Karma Food", a certe parti "pastichanti" di "54" etc. Quindi è fuori fuoco anche l'asserzione secondo cui TUTTE le caratteristiche che ho elencato si ritrovino in TUTTE le opere di Wu Ming.
2) Noi siamo al centro del discorso semplicemente perché ho scelto un approccio narrativo, raccontando in forma di aneddoto come sono nate alcune letture comparate di opere nostre e altrui; è chiaro che, avendo scelto quell'approccio, io sia partito da noi e più nello specifico da me.
PERIODIZZAZIONE: questo riguarda un'obiezione più... soft fatta da Valentina. Sono d'accordo con lei, il periodo 1993-2002 e il periodo 2002-2008 non sono un unico movimento. Infatti ho parlato di eventi-spartiacque e di opere-spartiacque. Tuttavia, il secondo periodo è possibile perché c'è stato il primo, e alcuni romanzi che per me sono NIE sono stati pubblicati prima del 2002 ("L'angelo della storia" di Arpaia, "Metallo urlante" di Evangelisti, il nostro "Q" etc.)
EPICA E STRANIAMENTO: Valentina trova curioso che si possa parlare di un'epica non brechtiana, di un'epica senza straniamento. Però l'utilizzo "brechtiano" dell'aggettivo "epico" è una parentesi di pochi decenni in millenni di storia dell'epos. L'epica antica e quella cavalleresca erano tutt'altro che brechtiane. Pur amando Brecht, io penso che sia con quelle epiche che bisogna tornare a fare i conti. Tutto qui.
Vorrei aggiungere alcuni link a discussioni o interventi in cui ho avuto modo di precisare alcuni punti la cui trattazione nel memorandum era forse inadeguata.
A) Il mio intervento sul Giap dell'altro giorno:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap22_VIIIa.htm#newitalianepic
B) Tra i link in calce, c'è quello a una lunga intervista che mi ha fatto il collega Sergio Paoli, dove secondo me ho spiegato alcune cose meglio di quanto lo abbia fatto nel memorandum.
C) Tra gli ultimi post del blog Lipperatura ce n'è uno che si intitola "Diary", in calce al quale c'è una discussione su postmoderno etc.
Per ora è tutto. Grazie ancora per gli stimoli, e (spero) a presto.
WM1
(questo discorso è partito da alcune mail che ci siamo mandati tra noi; ci eravamo ripromessi di discuterle sul blog, ma ormai ci porterebbero da un'altra parte. Seguo il filo, e dato che non possiamo parlare di tutto, metto avanti due cose:)
a) Postmoderno, a rischio di innescare la bagarre terminologica. Siamo d'accordo che ci si può far entrare tutto e il contrario di tutto, ma proprio per questo, mi chiedo, com'è possibile poi contrapporsi ad esso in maniera così netta? Nel saggio il termine “postmoderno” finisce col diventare un equivalente di “disimpegno”, visione che mi pare difficile da difendere, proprio per la multiformità di cui sopra - la discussione su Lipperatura è più complessa, e il giudizio negativo sul P. è rivolto soprattutto alla sua fase finale (quella attuale). Che stiamo correndo da un pezzo nell'aria come il coyote forse è vero, ma questo non vuol dire che non abbiamo mai corso sulla terra. Credo che liquidare con troppa facilità il P. renda ancora più difficile rispondere alla domanda “che fare dopo”, dopo aver distrutto le illusioni, rischiamo semplicemente di tornare ad esse rimuovendo quanto c'è stato in mezzo.
b) entrando nel concreto, sulle forme narrative e la problematica linguistica. Sui concetti di contaminazione e multimedialità wuming è convincente; pleonastici. Però anche qui: l'uso che facciamo di questo linguaggio “multimediato” è consapevole o assorbito automaticamente da televisione/internet e quant'altro? Una riflessione seria sul problema linguistico manca ancora, e dato che parliamo di letteratura non mi sembra marginale. Il punto 5 del saggio è quello che tiene meno: anche a voler parlare di sperimentalismo (stile nominale e allitterazioni non sono certo una novità), quelle che wm elenca sono caratteristiche talmente minute da poter essere a malapena ricondotte allo stile personale di un autore. Scrivere praticando lievi infrazioni alla norma linguistica è la ricerca minima di ogni scrittore che cerchi un linguaggio proprio – lo sperimentalismo, almeno nella tradizione italiana, ha comportanto ben altri rivolgimenti, e non solo sul piano del lessico. Questo punto mi sembra comunque da approfondire, la riflessione sulle forme e i “modi” della narrazione ci porta di sicuro più lontano che non l'accanirsi sulle classificazioni (chi è postmoderno e chi no, chi è epic e chi no).
Daria (capo nord della BBB connection)
Rispondo da caposud della BBB connection:
hai ragione daria, le discussioni terminologiche sono noiose e danno un senso di frustrazione… ma prima di archiviare la questione mi sembra utile giusto una breve precisazione di quello che noi tabardiani intendiamo in genere per postmoderno, per non creare equivoci, o almeno per far sì che gli equivoci siano divertenti:
non consideriamo il postmoderno un genere letterario, e nemmeno un “tono” (mi sembra che sulla discussione su lipperatura si usasse questo termine). Dunque il postmoderno cattivone del memorandum non ci appartiene per nulla, semmai il nostro è giusto un po’ brighella. Quindi direi di lasciare il termine postmoderno in proprietà per usu capione a chi vorrà ancora adoperarlo, e noi prendiamocene un altro, tipo toastmoderno, fitzcarraldo, Avalon room, o come vi pare.
Noi intendiamo il fu postmoderno (ora toast-) da un punto di vista filosofico come lucida opposizione alla naturale tendenza umana verso l’uno, la conclusione, il dominio, l’essere, la morte. Abbiamo sempre chiamato postmoderno la critica permanente, l’apertura permanente, la messa in discussione di qualsiasi cosa pretendesse di cristallizzarsi in verità o di iniziare con una lettera maiuscola. Uno sguardo etico, certo, ma che si fondasse sulla responsabilità individuale posta sul nulla, su un pathos micrologico nemico di ogni violenza e pretesa di dominio. Ecco, la prima cosa che ho pensato leggendo il memorandum è stata che l’opposizione tra “come dice Liala ti amo” e “nonostante liala ti amo” sia una falsa opposizione: per il semplice motivo che le due frasi esprimono lo stesso concetto: “come” è anche di necessità un “nonostante”, e così quest’ultimo implica di forza anche il “come”.
Cito un attimo anche quello che mimmo ha scritto sempre a proposito del memorandum:
«È l’idea di critica che il saggio [quello di wu ming] sottrae al postmoderno, ma l’idea di critica è il postmoderno. Dire “come direbbe Liala ti amo” non significa ovviamente fare “ironia fredda”, significa messa in discussione del già dato; dire “come direbbe Liala ti amo” significa, alla grossa, decidere di rompere con Parmenide, è una frase che si incammina in direzione di un pluralismo (per sua stessa necessità sempre manchevole) che non si risolve in unità. È ancora una volta l’idea di una Storia che ingloba un’attitudine criticante, non rinuncia alle vecchie abitudini ma le rende più deboli: ma indebolire non vuol dire deresponsabilizzare, vuol dire criticare.»
c’è da dire che quando abbiamo fatto il numero sul declino ci siamo impegnati anche ad analizzare l’altra faccia della medaglia, la deriva della molteplicità verso la retorica, dove l’impossibilità di comprendere si rovescia in necessità di dominare.
È sicuramente vero che il compiacimento e l’abbandono della critica nell’ “anarchia del chiaroscuro” è il pericolo maggiore che il pensiero contemporaneo sta correndo, in qualsiasi forma si esprima.
È già un po’ che penso che l’implicito rovescio di Bachtin sia Beckett: non ci si può abbandonare a nessuna apertura critica confidando che rimanga tale. Lo sforzo deve essere continuo, “ogni attimo di sosta è via all’indietro”, quindi in un certo senso anche ogni definizione lo è. Ma è un rischio che bisogna prendersi.
Ecco, forse ora è il momento di entrare nel merito del new italian epic, e magari discutere dei romanzi e di cosa si intenda per epica. Ma per stanotte mi fermo qui se no rischio di fondere tutto e di bruciare il toast.
mi dispiace se sono stato un po' confuso
Da capo sud della BBB connection per ora è tutto…
[WM1:] Beh, anche nel memorandum accenno al fatto che negli anni Novanta il postmodernismo è divenuto "maniera".
Per il resto, a me interessa che venga riconosciuto *un* fatto, e mi accontenterei di quello: la particolare "tonalità" di molta cultura postmoderna (anzi, diciamo pure la tonalità dominante in quasi tutte le manifestazioni di cultura postmoderna) fatta di sempiterno distacco ironico nei confronti dei materiali che si usano (il famoso "come direbbe Liala" di echiana reminiscenza) non serve più a nulla, mostra la corda, è leziosaggine, a fronte delle urgenze che il mondo ci chiede di affrontare, come esseri umani e come artisti.
Non convince che io usi una sineddoche e chiami questa tonalità "postmoderno"? Bene, allora si proponga e si usi un'altra figura retorica, ma il "succo", la sostanza della presa di posizione mi pare chiara, al di là delle querelles terminologiche. E se si trova l'accordo sul fatto che il "succo" è quello, allora si capisce anche qual è la tonalità diversa che io rinvengo nelle opere che ho citato nel memorandum, e quindi cosa intendo per New Italian Epic.
Invece, un'altra cosa che continua a sembrarmi fuori fuoco, e quindi un'obiezione che trovo irricevibile, è quella espressa da Daria in questi termini:
"Il punto 5 del saggio è quello che tiene meno: anche a voler parlare di sperimentalismo (stile nominale e allitterazioni non sono certo una novità), quelle che wm elenca sono caratteristiche talmente minute da poter essere a malapena ricondotte allo stile personale di un autore. Scrivere praticando lievi infrazioni alla norma linguistica è la ricerca minima di ogni scrittore che cerchi un linguaggio proprio – lo sperimentalismo, almeno nella tradizione italiana, ha comportanto ben altri rivolgimenti, e non solo sul piano del lessico."
La sperimentazione strutturale che anche nel post qui sopra mi si rimprovera di non aver affrontato è precisamente quella che, in un punto precedente, chiamo "complessità narrativa". A questo tema come WM abbiamo dedicato anni di riflessione e prese di posizione, basta fare una visita di media durata al nostro sito.
Invece, nel punto che viene contestato parlo di un'altra cosa, cioè di quella che Taibo chiama la "cucitura invisibile", la sperimentazione di soluzioni stilistiche posta al servizio della narrazione (di quella che voi qui chiamate "sperimentazione strutturale"), una sperimentazione "discreta", che lavora sulla sottrazione, sulla sottile alterazione del rapporto tra una parola e il suo campo semantico. Confondere un lavoro sistematico di questo tipo con "la ricerca minima di ogni scrittore" mi sembra un abbaglio da parte di Daria.
Ho ritenuto importante segnalare questa carattetistica perché negli anni la critica si è spettacolarmente rivelata incapace di riconoscerla (il che, paradossalmente, è anche un nostro successo).
Per anni ci siamo sentiti dire che sì, noi (e intendo non soltanto noi WM, ma anche De Cataldo e altri autori) sperimentiamo con la storia ma non lavoriamo molto sulla lingua, perché ci accontentiamo di un registro medio, di uno stile piano, da fumetti etc.
E' un'incredibile idiozia. La "strana sensazione" che molti nostri lettori riferiscono durante e subito dopo la lettura dei nostri libri, la particolare "memorabilità" di certe frasi o di interi passaggi, tutto questo dipende da un lavoro meticoloso e quasi ossessivo che facciamo sulla lingua, da sperimentazioni "nascoste", da bombe a tempo lessicali e sintattiche che piazziamo nelle righe del testo. Però ciascuna piccola detonazione deve avere come scopo la narrazione. Deve servire a raccontare la storia nel modo che ci sembra più adeguato. Se io ho scritto in versi (endecasillabi, settenari, alessandrini, versificazioni "barbare", ritmi vicini all'asclepiadeo maggiore) interi capitoli di "New Thing", e poi ho semplicemente tolto gli a capo e messo alcune "zeppe" per far inciampare i versi ed evitare un effetto stucchevole, l'ho fatto perché "New Thing" è una storia sul jazz, sulla poliritmia, sulla sincope, e quella storia andava raccontata con una lingua adeguata.
Quanto alla "minuzia" degli esempi riportati nel memorandum: una singola operazione sul campo semantico può essere minuta, ma portala avanti - con varianti ed evoluzioni - per trecento, cinquecento, settecento pagine, e vedrai che la prosa del libro muta drasticamente. E' sul "respiro" dell'opera intera, e non sulla singola frase, che si misura una scelta stilistica. Il lavoro sul verbo "esorbitare" o sulla elisione delle particelle pronominali o sul ritardo del verbo dichiarativo nelle battute di dialogo può in effetti sembrare poca cosa se si valutano due o tre occorrenze, ma quando ne registri decine o centinaia, c'è un salto di qualità. Si trasforma il modo di raccontare la storia.
Vedi, Daria, a noi ben poco interessano i "ben altri rivolgimenti" della tradizione sperimentalistica italiana, non ci interessa scrivere cose tipo "Laborintus" o "Il Gazzarra". Di scrivere pagine che urlano: "IO SONO SPERIMENTALE!" sono capaci non dico tutti, ma di certo molti. Il lavoro sulla dissimulazione, invece, è un lavoro coerente su ogni singolo dettaglio, e a me pare ben più difficile.
Questo è ciò che succede, al livello della lingua, nelle opere che a mio avviso appartengono al New Italian Epic, e non vedo per quale motivo non avrei dovuto scriverlo e fare esempi.
WM1
[WM1:] Mentre scrivevo il mio commento, Achille stava ancora scrivendo il suo, quindi preciso che non ho potuto tenerne conto. Anch'io per ora mollo il colpo. Ragazzi, sono esausto! A voi magari sembra poca cosa, ma è un mese che io vado avanti così, e ricevo decine di mail al giorno, e in mezzo tradurre un libro per l'Einaudi, studiare per il nuovo romanzo, fare riunioni, scrivere una prefazione a una raccolta di sermoni di Muntzer, curare Giap e i nostri siti... AIUTO! :-)
WM1
[WM1:] Vi ho appena mandato una mail - all'indirizzo della redazione - con una proposta operativa per la discussione. Una proposta che tende alla cooperazione e alla con-ricerca. Pensateci su. Ciao.
WM1
sì (infatti mi sento quasi in colpa a controbattere, ma per rispetto alla risposta), in effetti anche a dire “sperimentalismo” si può finire a non capirsi, e oguno la intende un po' come vuole. Per parte mia posso solo precisare che non pensavo tanto ad avanguardie vecchie e nuove, quanto ad autori come Gadda, D'Arrigo o Zanzotto (tra i più giovani metterei nel gruppo anche Pica Ciamarra), che non hanno mai urlato di essere sperimentali (anzi in qualche caso si sono apertamentente distaccati da questa definizione), ma hanno lavorato scopertamente sulla lingua e sui generi. Nel vostro [di WM] saggio, a mio parere, si fa un uso un po' spregiudicato, esagerato (un po' televisivo, vorrei dire) di certi termini: se sento dire “epico” e “sperimentale” io penso di avere tutto il diritto di immaginarmi un romanzo come Horcynus Orca, non certo come Maruzza Musumeci di Camilleri (scrittore che peraltro apprezzo molto). Va da sé che poi ci possono essere opinioni di fondo diverse – ma forse il dibattito agguerito sulla terminologia è nato anche da qui. Spero che questa precisazione serva, ovviamente non volevo negare che ci sia una ricerca liguistica da parte dei singoli autori: ma questo è, appunto, “obbligo” strutturale per uno scrittore, senza che si approdi necessariamente allo sperimentalismo. Ultima cosa: anche la questione della “neo-setola” proposta da Scarpa (vedi link sul post) va considerata, non si può arrivare all'estremo opposto di prentendere certificazioni di “bella scrittura”. Mi interessa molto questo problema, perchè personalmente non so proprio in che direzione potrebbe andare una odierna “questione della lingua” in italia, stretta tra un modo di sperimentare costantemente tacciato di intellettualismo, l'accantonamento dei modelli e l'italiano standard succhiato col latte (almeno da noi nati negli anni ottanta).
Scusate, avrei voluto essere più sintetica. (I due precedenti commenti cancellati sono colpa mia)
Daria
Anche io vedo l'ultimo commento solo adesso. Grazie.
[premessa: ringrazio a nome della redazione tutta WM1 per la pazienza, la meticolosità e la cordialità con cui è solito intervenire in ogni discussione e che ha confermato anche qui da noi.]
SPERIMENTAZIONE: mi domando se la "cucitura invisibile" non sia riuscita troppo bene, se non siate (voi wm e gli altri scrittori citati) stati troppo bravi chirurghi. è davvero producente una tale acribia compositivo-poetica se poi quello che ne risulta è solo una "strana sensazione" nel lettore? Io ho letto con enorme gusto Q, rimane una delle mie letture fondamentali: non era certo la sua una lingua piatta o media; la composizione del periodo tradiva sempre una precisa intenzione "icastica". Ma sperimentalismo è forse altra cosa; sentirlo ad ogni pagina può anche essere parte strutturale della lettura e dell'intenzione autoriale: certo, son d'accordo con Daria, più sulla linea Gadda-D'Arrigo-Bufalino che alla Sanguineti, ché la sperimentazione non è appannaggio esclusivo delle avanguardie, anzi. Insomma: fermo restando il giudizio non negativo su un'eventuale "lingua media" non credo che un uso più spregiudicato del linguaggio (soprattutto nel caso italiano) possa compromettere alcunché sul piano etico dell'opera (stesso discorso, ovviamente, "sineddocamente", per il postmoderno: io sto attualmente lavorando su Sciascia e teorizzo, non so quanto legittimamente, un suo potenziale "postmodernismo etico" - vabbé, ogni critica è un poco forzatura). Ma forse, di nuovo, è questione terminologica (maledetta!); ed è anche questione che io dei libri citati nel NIE ne ho letti un paio al massimo. Sicuramente, prima di imbastire un lavoro più completo (la cui proposta ci interessa e lusinga assai) bisognerà leggersi i testi i questione. Hai detto niente...
[WM1:] x Paolo, che scrive:
"è davvero producente una tale acribia compositivo-poetica se poi quello che ne risulta è solo una 'strana sensazione' nel lettore?"
Non sottovalutare l'espressione "strana sensazione". Quando qualcuno la usa - e io l'ho virgolettata perché l'ho sentita usare più volte, dai lettori - è un preciso segnale. Significa che il linguaggio non è ancora arrivato a definire ciò che si prova. Significa che c'è un indicibile, un ineffabile che viene rimuginato. Significa che qualcosa ha toccato il lettore in profondità, *sotto* lo strato del dicibile. E quella sensazione accompagna il lettore anche terminata la lettura. Io parlo di "memorabilità" e "bombe a tempo", di campi minati della lingua, tante piccole cariche che a volte esplodono nella mente soltanto ore o giorni dopo la lettura, e a volte addirittura soltanto se si rilegge (e i nostri, in genere, sono romanzi ri-letti, anche più volte). Noi a volte lo chiamiamo "effetto Profondo rosso", con chiaro riferimento al corridoio degli specchi: primo passaggio - ricordo vago e perturbante - secondo passaggio - ricordo preciso - agnizione.
Anche anni dopo la lettura di "Romanzo criminale", c'è questa frase che rimane impigliata al cervello, quella che chiude il prologo: "Io stavo col Libanese!". Isolata dal contesto è una frase che non ha nulla di eccezionale. Ma il modo in cui De Cataldo la utilizza, e soprattutto *dove* lo fa e a chi (già, a chi?) la fa esclamare, la rende (attenzione: ex post) emozionante e memorabile, e anche questa è una piccola bomba a tempo.
Detto questo, sì, lo sperimentalismo è un'altra cosa. E infatti quella parole e quel concetto sono del tutto assenti dal mio memorandum. La sperimentazione mi interessa, lo sperimentalismo molto meno.
WM1
Ommioddio...stavo cercando di leggere un po' gli interventi sparsi per internet sulla NIE (compresi i commenti)... non so davvero come WM1 abbia fatto...
Mi ha un po' sfiancato,e non ci sono abituato, per cui rimando a domani un intervento su alcune cose che mi premevano.
Però una cosa volevo dirla:
ho appena letto tutta la polemica sul blog di valter binaghi su mafie e autopromozioni letterarie... spero che si sia capito dal post che non era assolutamente quella polemica sterile lì ciò a cui mi riferivo quando parlavo con termine improprio di egocentrismo ecc...
ma siamo pazzi! Achi, lascia stare l'editoria, mi sa che quell'ambientino lì non basta immaginarlo "fra le gambe"...
@ WM1: dimmi che tutto quell'ambaradàn non è postmodernissima nevrosi (tra il paranoico il dietrologico e il narcisistico... a questo punto dovrei metterci la faccina ma non la so ancora fare - e però si tratta del lato "oscuro", dell'altra faccia, del declino nella postmodernità)
a domani, connessione a 56k permettendo (quando ho dovuto scaricare tutte le mail che ci siamo mandati mi sembrava di aspettare il postino...)
Ma, solo una cosa: mica un libro deve essere per forza sperimentale, intendiamoci. Anche io sono stata una lettrice appassionata di Q, non lo definirei un romanzo sperimentale (anche se l'elemento della scrittura collettiva basta da solo a renderlo un “esperimento”), ma questo non ne diminuisce certo il valore.
Oggi non mi sono arrivate ottantasette mail, che fine avete fatto?
Saluti dalla terra del Coniatore (dove NIE vuol dire solo “mai”, per ora)
*Nella beffa della fantomatica NIE erano già caduti il Massachussets Institute of Technology di Boston, da cui Roberto Bui era riuscito a farsi invitare con uno stratagemma (aveva sollecitato presso Apogeo editore la traduzione italiana di "Convergence Culture", di Henry Jenkins, direttore del dipartimento di studi sui media); la giornalista Loredana Lipperini, (sempre pronta a megafonare le goliardate dei Cinque Cinesi de Noantri); l'intera redazione culturale de laRepubblica (che il 23 aprile 2008 aveva dedicato all'inesistente CASO un articolo intitolato "LO SCRITTORE SI DÀ ALL'EPICA").
Poi i WuMing avevano esagerato. Per apparire più epici che mai, avevano pubblicamente dichiarato:
"Noi stessi, fin dall´esordio con Q, siamo New Italian Epic dai metatarsi al telencefalo. Il mondo ci vide passare, come Nettuno ammirò l´ombra d´Argo, e ne restò intrigato."
Troppo comico per essere vero:-)...*
IL RESTO QUI:
http://lucioangelini.splinder.com/post/16883086/SMASCHERATA+LA+NUOVA+BEFFA+DEI
ammetto che sarebbe geniale...
[WM1:] Sarebbe solo stupido. E spregevole.
Le beffe di Luther Blissett evitarono sempre e accuratamente ogni ripercussione negativa su chi credeva nel progetto e in esso investiva la propria fiducia, la propria attenzione, i propri sentimenti. Il Luther Blissett Project rispettava chi lo rispettava, e le beffe non furono mai "autofaghe" né nichiliste. Le beffe avevano come bersagli poteri costituiti, nemici riconosciuti, e - cosa importante - venivano *svelate* e *spiegate*. L'intenzione era pedagogica, rendere le persone consapevoli della potenza di un mito dal basso, della potenza di una comunità (ancorché informale, informalissima) che usa l'immaginazione.
Il rispetto per i nostri lettori, la fiducia in loro, la disponibilità, l'ascolto,la cooperazione: sono le basi del nostro lavoro, i requisiti per continuare a farlo. Passaro ore, tutti i giorni, a rispondere alle mail. Fare assemblee coi lettori in posti impensabili, in culo al mondo, per il rimborso del treno, un panino e un materasso su cui appoggiare la schiena, tant'è che dopo anni la schiena cede e spendi un capitale in sedute dal chiropratico.
Si può capire: chi è spregevole dentro vede tutto attraverso quelle lenti, e sospetta il prossimo della medesima spregevolezza. Hai poco da sorprenderti se esiste chi, fingendo di scherzare, si sforza allo spasimo di farti credere disonesto. Sono conseguenze inevitabili dell'agire pubblico: se fai le cose, è *impossibile* non stare sul cazzo a nessuno.
Basta un po' di pazienza e di costanza, e continuare a lavorare.
Ne hai viste di ben peggiori.
Te ne hanno dette di ben peggiori.
Continueranno a provarci.
Buon segno.
WM1
Ma infatti abbiamo apprezzato subito l'intervento "onnipresente" per rispondere, spiegare, argomentare, cercare livelli possibili di discussione con tutti. Noi siamo arrivati tardi alla lettura del saggio, su internet si era già scatenato da un mese un "subbuglio" di cui non eravamo a conoscenza. Personalmente, frequento poco l'"ambiente" internetiano, ci vuole troppa pazienza. Confesso che l'altra sera mi sono anche divertito molto. Però avevo il distacco del neofita.
In ogni caso, a parte tutto questo. Tra di noi, stiamo leggendo. Abbiamo molte lacune da colmare, molte opere "newepiche" da leggere, prima di portare il livello di riflessione un po' più in alto rispetto a quanto non lo si possa fare "a caldo" e con conoscenze pregresse.
Continuiamo ad avere molti dubbi. Veniamo da un'altra formazione. Ci "professiamo" criticamente postmodernisti (non tutti...), nella maniera che abbiamo cercato di sviluppare nei 7 numeri della nostra rivista.
E però, dato che il tuo saggio non vuole essere né un manifesto, né un ricettario prescrittivo, ma un memorandum descrittivo, che cerca di interpretare tendenze ed opere , ora è il momento, per noi, di partire seriamente da quelle opere, più che discutere su singoli punti su cui teoricamente potremmo non essere d'accordo.
Il punto è: esiste questa NIE? E' plausibile l'analisi che ne hai fatto (alla luce delle opere citate)?
Questo stiamo cercando di fare.
Poi verrà anche il "giudizio" critico.
[WM1:] Infatti, molti - almeno sulle prime - si sono concentrati sulla questione "postmoderno sì" / "postmoderno no" / "postmoderno cosa s'intende". Il focus del mio memorandum, come giustamente dici, è un altro. La pars construens è un'altra. Facciamo conto che io abbia scritto in maniera più esplicita che il NIE si discosta dalla tonalità prevalente in *certo* postmodernismo da tempo sclerotizzato. Punto. Ecco, lo spostamento di accenti nella lettura di quel testo è istantaneo.
Su Repubblica Dario Olivero, recensendo l'ultimo libro di Bellu (cfr. Carmilla, post dell'altro ieri), ha scritto che il New Italian Epic è difficile da definire ma quando ce l'hai davanti lo riconosci subito.
Ha ragione.
A me interessa esplorare il livello più profondo, quello dove si congiungono opere in apparenza molto diverse, ma che i lettori (me lo dicono le testimonianze che ho raccolto) sentono affini, consonanti. Ancora Bachtin: unire ciò che è convenzionalmente diviso, dividere ciò che è convenzionalmente unito. E' la funzione della critica vera. E - Godard dixit - la critica ha un ruolo se c'è la guerra. La critica è importante e proficua se si muove nel conflitto. Era chiaro che il memorandum avrebbe suscitato ostilità, perché sul tenere convenzionalmente unite o divise le cose ci campa un intero establishment. Il quale reagirà in modo scontroso (a volte mascherato da "amichevole"), e ha appena iniziato. Queste cose si disinnescano subito, basta che chi partecipa seriamente al dibattito lavori sulla pars construens che c'è in profondità e non si divida sulle differenze che stanno in superficie. In un mio testo critico su "Gomorra", due anni fa, citai addirittura la celebre esortazione di Papa Giovanni XXIII :-)
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/gomorra.htm
WM1
P.S. Se volete, come postilla ad hoc al memorandum, vi faccio un elenco di opere NIE che giudico irrinunciabili, basilari.
Aspettiamo con ansia la postilla. Avevamo stilato una lista estratta dal saggio, ma se ci chiarisci meglio con chi abbiamo a che fare sarà tutto più facile.
Grazie a WM1 che ha segnalato questo interessante pezzo. Colgo l'occasione per invitarti a casa nostra, dove è in atto un dibattito sul tema: http://www.scritturacollettiva.org/blog/new-italian-epic#comment-963
riprovo
Chiarimento: "spregevole dentro", ovviamente, per WM1 è chiunque non lo/li adori. Poveretto, lui ormai ci ha il culto della personalità.
In questo blog non abbiamo imposto restrizioni di alcun tipo ai commenti; ciò nonostante preferiremmo non ricevere commenti anonimi, soprattutto quando contengono critiche. Così, per chiarezza di tutti.
Segnalo l'importante contributo:
"ALLE ORIGINI DEL NEW ITALIAN EPIC"
qui:
http://lucioangelini.splinder.com/post/17255228/ALLE+ORIGINI+DEL+NEW+ITALIAN+E
[WM1:] I Connettivisti (movimento socio-letterario attivo nell'ambito della science-fiction e delle sue mutazioni) dicono la loro sul New Italian Epic:
http://www.next-station.org/fe-art-d.php?_i=129
La cosa si fa sempre più interessante.
Ieri scrivevo che le iniziali discussioni su "postmoderno sì" / "postmoderno no" / "postmoderno cosa s'intende" erano piuttosto lontane dal vero "fuoco" del mio intervento, e che una volta spostato l'accento da quegli aspetti alla pars construens si sarebbe avviato un lavoro comunitario, di con-ricerca.
La sezione "New Italian Epic" di Carmilla è aperta agli interventi ponderati e costruttivi di singoli (come già sta accadendo) e gruppi di lavoro (SIC, Tabard, Connettivisti e qualunque realtà si senta di dare un contributo).
WM1
Il post di Angelini ricorda molto quando qualcuno, credo il giornale, uscì con lo "scoop" che la scrittura collettiva l'avevano inventata Marinetti e soci con "lo zar è morto". So what?
cmq, più seriamente, se la bibliografia minima del NIE fosse resa pubblica, mi verrebbe piuttosto utile.
Per altro, tra le opere citate nel saggio originale, secondo me Confine di Stato, di Sarasso, è da considerare separatamente rispetto alle altre. Sarasso è forse il primo (o il primo che leggo) che esordisce mettendo coscientemente in azione quello che ha appreso dal NIE precedente: le "zone d'ombra" wuminghiane, tecniche narrative sperimentate da Genna, il lavoro sui misteri d'Italia di Lucarelli, tra gli altri (oltre a tocchi di squisita tamarragine che gli invidio tantissimo, come la presenza di "Garth Ennis" o lo scontro a fuoco tra Feltrinelli e un personaggio di Ellroy). Si tratta, per me, del primo lavoro in cui la consapevolezza di questa "sensibilità" viene espressa in forma compiuta, dopo averla ricavata dal lavoro di autori precedenti. E che quindi dovrebbe metterci sulla strada di pensare che forse l'esistenza questa cosa chiamata New Italian Epic non è poi tanto un'ipotesi campata per aria.
ps: a proposito della dimensione collettiva, di rete, ecc ecc: sarasso l'ho scoperto perché mi ha mandato un messaggio su anobii per suggerirmi il suo libro, dopo aver notato affinità tra le nostre "librerie". Alla faccia del web che ammazza l'editoria.
A me il post di Angelini ricorda più che altro la massima: "Non esiste ciò che esiste, ma esiste solo ciò di cui si parla". E i wuminghi devono essersi detti "Spariamo in rete sta storia del NIE e vediamo quanti pecoroni ci vengono dietro"...
Comunque, contenti voi, contenti tutti.
[WM1:] Scott, una vera e propria "bibliografia minima" (cioè un campione che abbia requisiti di rappresentatività e sintesi) è ancora in via di formazione. Quello che abbiamo è un concatenamento di libere associazioni tra opere, e quella che ho mandato a Tabard è una delle tante possibili liste di esempi consonanti, libri che al 90% hai già letto e recensito sul tuo blog. Lungi dall'essere il "nocciolo duro" della produzione NIE, è a sua volta uno "sguardo obliquo".
Cmq, posso includerla qui, con tanto di premessa cautelativa.
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Ecco un campione, messo insieme per libere associazioni.
Non segue criteri di "rappresentatività" (un sacco di opere sono rimaste fuori).
Non è una "Top 20" dei libri migliori o scritti meglio (anzi, alcuni sono solo parzialmente riusciti).
Semplicemente, sono libri le cui allegorie "giocano" l'una con l'atra e la cui lettura consecutiva (non importa in che ordine, basta che "Romanzo criminale" venga letto prima di "Nelle mani giuste" e "Black Flag" prima di "Antracite") rivela echi, consonanze, stimola "strane sensazioni" e può dare al lettore l'impressione di sapere *di che si sta parlando* quando si usa l'espressione "New Italian Epic".
Bruno Arpaia, "L'angelo della storia" (2000)
Giovanni Maria Bellu, "L'uomo che volle essere Peron" (2008)
Luther Blissett, "Q" (1999)
Andrea Camilleri, "Il re di Girgenti" (2001)
Andrea Camilleri, "La presa di Macallè" (2003)
Giancarlo De Cataldo, "Romanzo criminale" (2002)
Giancarlo De Cataldo, "Nelle mani giuste" (2007)
Valerio Evangelisti, "Black Flag" (2002)
Valerio Evangelisti, "Antracite" (2003)
Giuseppe Genna, "Dies irae" (2006)
Giuseppe Genna, "L'anno luce" (2005)
Giuseppe Genna, "Medium" (2007) - acquistabile solo su lulu.com
Babsi Jones, "Sappiano le mie parole di sangue" (2007)
Carlo Lucarelli, "L'ottava vibrazione" (2008)
Letizia Muratori, "La vita in comune" (2007)
Roberto Saviano, "Gomorra" (2006)
Vitaliano Ravagli - Wu Ming, "Asce di guerra" (2000)
Wu Ming, "54" (2002)
Wu Ming, "Manituana" (2002)
Wu Ming 4, "Stella del mattino" (2008)
WM1
grazie per la lista. In effetti, una buona parte dei titoli li conosco. Altri devo recuperarli per avere un quadro più completo.
ahahahahahahah
libere associazioni! wu ming... luther blissett... evangelisti... genna... sì, insomma, LORO, gli argonauti che non c'entrano nulla, ma proprio un bel nulla, con Saviano. mi appello al comune senso del ridicolo
Ironicamente (ma non del tutto) si dice che un blog cominci ad avere successo nel momento in cui le dispute nei commenti iniziano ad avere un tono offensivo...
Ora, pare che queste pagine di "successo" ne stiano riscuotendo abbastanza, visto che nei giorni scorsi gli improperi sono stati numerosi.
Diversi di questi sono stati eliminati: non perché in Tabard si sia inclini alla censura, tutt'altro. Ma semplicemente perché ci siamo sempre distinti per ospitare discussioni critiche pacate, in cui non si è mai andati al di là di un razionale confronto dialettico.
Ma, se rivalità sono presenti da parte di qualcuno nei confronti di chicchessia, non ci garba l'idea che dalla critica letteraria costruttiva (che ha contraddistinto gli interventi dei membri della redazione di Tabard), si sfoci in qualcosa di diverso (che non voglio definire psicologicamente per non dare adito a nuove esternazioni sgradevoli).
Più che di regole, si tratta di suggerimenti. Di fronte alle offese, non ci sentiremo mai nel ruolo di censori se cancelliamo un commento. Con buona pace di chi invece la vedrà in quest'ottica.
Saluti a tutti.
[WM1:] E' come ci regoliamo noi, da sempre, nei nostri spazi (forum di "New Thing", forum di "Lavorare con lentezza", blog di "Stella del mattino" etc.), e come hanno finalmente deciso di regolarsi in altri blog e ambiti di discussione, es. Lipperatura e Nazione indiana. Detto questo, vi chiedo scusa per avervi portato in casa un "troll dedicato" (è come chiamiamo i nostri "fans al contrario"), ma non so come avrei potuto evitarlo: la pioggia non può scegliersi i saprofiti.
WM1
La più bella trollata, ovviamente, è la vostra del NIE. Facile dare del troll a chi non cade nelle vostre reti... E' tutto. Bye.
Avrei una domanda. "I milanesi ammazzano al sabato" di Scerbanenco si configura bene col NIE?
[WM1:] Ciao Evertrip, ti invito a leggere il mio memorandum per capire cosa intendo per "New Italian Epic". Parlo di un insieme di opere scritte in Italia dal 1993 a oggi, con un "salto di livello" avvenuto intorno al 2001-2002, e forse un ulteriore salto avvenuto nell'ultimo anno.
In comune, oltre a diverse caratteristiche che ho cercato di isolare ed elencare, queste opere hanno il modo allegorico in cui raccontano la fase storica che stiamo vivendo (tagliando con l'accetta: dalla caduta del Muro in avanti).
Ragion per cui, nessuna opera di Scerbanenco (morto 39 anni fa) può essere "New Italian Epic", tutt'al più può avere influenzato - almeno al principio - il lavoro di qualche autore che poi ha scritto anche opere NIE (Lucarelli, De Cataldo, Carlotto).
Inoltre "I milanesi ammazzano al sabato" è - dichiaratamente - un (grande) romanzo "di genere", che non pone particolari problemi di attribuzione: è un giallo, per giunta con protagonista un personaggio seriale (Duca Lamberti), il che è parte della quintessenza della letteratura di genere.
Anche fosse stato scritto due mesi fa, insomma, sarebbe fuori dalla "nebulosa" che stiamo esplorando. Se ci facessimo stare anche quello, si perderebbo senso e pregnanza della definizione e dell'analisi.
WM1
una piccola nota sul saggio "new italian epic":
Credo che la sezione tradizione meriterebbe di essere ampliata, in particolare noto la mancanza di "La breve esatte dell'anarchia" di H.M.Enzensberger (1972). E' un oggetto narrativo non identificato ( tecnicamente ineguagliato e benjaminiano per eccellenza ) e racconta forse la storia più epica del '900.
Il ciclo sconfitta da sempre-ribellione-breve vittoria-sconfitta per sempre è presente sia in "Q" che in "Asce di guerra" mentre la rivoluzione spagnola è tema prediletto da Cacucci.
davide
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