19 marzo 2007

Il nostro pane quotidiano

Che la fattoria del Mulino Bianco, i pollai della Vallespluga o i pascoli della Milka siano delle bieche prese per il culo era notorio; ma che cosa c'è realmente dietro la roba che ingurgitiamo è meno chiaro: per capirlo meglio vi consiglio la visione di Notre pain quotidien, da poco uscito in Francia (in Italia, come spesso capita, ancora non ha un distributore), un documentario del regista austriaco Nikolaus Geyrhalter.

Si tratta di un prodotto decisamente audace e innovativo: uno sguardo dietro le quinte della produzione alimentare industriale europea. Vero e proprio sguardo: il film infatti è assolutamente privo di commenti, interviste, didascalie o dialoghi; anche la musica è assente. Tutta la visione è accompagnata esclusivamente dai rumori ambientali ritmici e lontani delle fabbriche, dei campi o delle serre dove il nostro cibo viene prodotto. Non-fiction pressoché totale. Ci vengono mostrati gli allevamenti di carne ovina, bovina e di pollo, di pesce e le coltivazioni di patate, cetrioli, girasoli e le macchine vagamente antropomorfe che li gestiscono. Una fotografia perfetta e ispiratissima ci regala punti di vista e quadri minimalisti selezionati magistralmente per efficacia e ironia: il lancio dei pulcini nelle ceste di distribuzione, la castrazione dei cuccioli di maiale, lo sventramento dei pesci, la riproduzione dei bovini (con dei maschi talmente gonfi di steroidi da parere ippopotami, giuro), la disinfestazione dei girasoli, lo scavo nelle cave di sale: tutto incastrato a perfezione in un mondo meccanico costruito a misura. Un pugno allo stomaco che fa riflettere su tutto quanto c'è dietro al petto di pollo o alla mela che ci ritroviamo nel piatto.

C'è spazio anche per una velata (ma neanche tanto) critica alle condizioni di lavoro degli operai: uniche figure umane del film, silenziose e metodiche, ingabbiate quasi al pari delle bestie in una catena di montaggio che li richiede esclusivamente per quelle poche operazioni per cui non è stata ancora inventata una macchina. Il parallelismo ad esempio tra le fila di gabbie stracolme di polli e, nell'inquadratura successiva, l'autobus stipato che porta gli operai al lavoro lascia intendere qualcosina a riguardo. Taylorismo al massimo livello: agghiacciante la raccolta delle verze in cui gli operai procedendo carponi strappano e imbustano i frutti da terra, inseriti in una sorta di struttura mobile sospesa e illuminata (sì, in Germania si lavora anche di notte) da un trattore che li segue e li incalza. Qualche operaio ci viene mostrato anche nelle pause pranzo, silenzioso e vagamente alienato, mentre stacca per mezz'ora da una routine incessante (e tutta la sala si chiede cosa stia mangiando...). Alla fine il disgusto che ci si potrebbe aspettare dalla visione di un'opera tale viene meno già dalle prime immagini, e si lascia la sala più colpiti dall'aberrante freddezza e perfezione del marchingegno produttivo e dal vago sospetto che dietro ogni aspetto delle nostre vite, non solo quello alimentare, ci sia una rete (excuse me mister Pynchon) di controllo del genere. Gli animali stessi perdono ogni aspetto del loro essere viventi e ci si abitua presto a vedere migliaia di pulcini nati in incubatrice e letteralmente sparati a tappezzare capannoni di qualche ettaro fino a divenire un tappeto di polli identici immobili e pigolanti.

Oltre il soggetto, la forma: l'opera è come una mostra fotografica, in cui ogni inquadratura è mantenuta per tempi lenti ma che non annoiano, assolutamente necessari allo spettatore per trarre le proprie conclusioni e immedesimarsi nella ritmica cadenzata delle produzioni. Anche l'assenza di dati, cifre, statistiche o didascalie tout court è scelta estetica: il regista la spiega così (la pessima traduzione dall'inglese è mia): "Penso anche che le cose mi siano rese troppo facili, come spettatore, se vengo imboccato di informazioni. Questo mi smuove un pò, mi fa lavorare, ma poi può essere messo rapidamente in prospettiva, e funziona come tutte le altre notizie sensazionalistiche che ci bombardano giorno dopo giorno perché è il genere di cose che fa vendere i giornali - e che offusca anche la nostra visione del mondo. In questo film uno sguardo dietro le strutture è permesso, viene concesso il tempo per fare propri i suoni e le immagini ed è possibile pensare al mondo dove il nostro cibo viene prodotto, mondo che normalmente ignoriamo". Perfetta fusione tra reportage e fotografia, emerge tutta la ricerca fatta sui luoghi e i materiali, incentivo alla ricerca personale, estetico e informativo: lo spettatore ne sa comunque di più alla fine e non ha visto che delle immagini che certo ricorderà meglio di qualunque tabella o percentuale. È un atto di fiducia verso lo spettatore critico e un esempio importante di documentario artistico.

Le citazioni non mancano: le distese immense di serre illuminate di notte non possono non far pensare alle apocalittiche serre "umane" di Matrix (e la fantasia dei Wachowski esce molto ridimensionata dopo la visione di questo documentario) e l'eterno Chaplin di Tempi moderni fa capolino dietro l'addetta a tranciare le gambe dei maiali o quello alla sistemazione dei pesci sul nastro trasportatore. L'idea del film venne al regista austriaco (autore tra l'altro di un interessante documentario sul dopo Cernobyl, Pripyat) dopo la lettura di alcune ricerche che dimostravano come oggi un europeo medio spende solo l'8% del proprio denaro in cibo quando negli anni '50 questa percentuale era circa del 30%. La soluzione è appunto nei metodi di produzione che, sebbene disumani, permettono l'abbattimento dei costi e l'abbondanza di prodotti necessaria per sfamare (spesso più del necessario) il nostro opulento Occidente.

Non che questo film possa far cambiare gusti ad un carnivoro convinto, ma certo che dopo la visione del film e la lettura di questo, di questo o di questo, qualche dubbio comincia a venire. Poi certo, mi mangio una delle salsicce secche di Norcia che mi ha spedito mammà e passa tutto.


Paolo

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13 Commenti:

Alle 3/19/2007 10:16:00 PM , Blogger Francesco ha detto...

sarà per le mie frequentazioni della cattedra di bioetica, e di moooolti vegetariani e vegetariane ed annesse discussioni... insomma sono curiosissimo di questo film, ne ho sentito parlare -manifesto? rete? sogni?- ed ora mi hai incuriosito ancor di più

soprattutto il fatto, da come lo descrivi tu, che si abbandoni l'approccio utilitarista-razionalista-empirista di molti dei vegetarian-filosofici che ho incontrato, o meglio che si vada allo strato sensibile, percettivo ed estetico e quindi già sociale -ah, kant!!! quanto c'avevi ragione che il bello esiste solo in società e quanto t'hanno frainteso....- che poi sta alla base di ogni scelta del genere
non credo infatti basta solo la demarcazione della sfera morale come quella di soggetti che possono provare dolore -che in realtà è una genialata-.

certo che la factory degli animali è realta da troppo tempo oramai, l'animale come materiale grezzo da usare nel processo produttivo si applica dalle galline all'animale uomo...brrr.....

fra scelta personale -che apprezzo ma non sento mia- e scelta politica -che forse ha più 'senso', anche nella sua inefficacia-, fra gli estremi del misticismo (quelli che 'Gaia...') e strumentalismo, debbo ammette quindi che il vegetarianesimo ogni tanto mi ha tentato....

p.s. il titolo, fra martirologio cristiano e baguetteria -o giù di lì- francese, pare starci proprio tutto

 
Alle 3/20/2007 12:20:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

Condivido i tentennamenti, anche per me più politici che tecnici, scacciati solo dalle salsicce di cui sopra. Tuttavia va detto che il film non ha alcun obiettivo diretto da questo punto di vista. Intendo dire che i legami col vegetarianesimo non ci sono, o almeno sta tutto allo spettatore trovarceli (eccola l'efficacia del modello silenzioso: a ognuno i suoi sviluppi). In nessuna delle interviste il regista dice di aver voluto proporre il vegetarianesimo o di criticare il consumo di carne. Ci vengono mostrate anche moltissime fasi dell'altrettanto asettica coltivazione di frutta e verdura che colpiscono di meno solo perchè i peperoni non muggiscono terrorizzati di fronte a un elettroschock e le verze non pigolano. Ma se potessero...

L'unica preoccupazione di Geyrhalter era svelare il corpo dell'iceberg la cui puntina vediamo spunatare negli scaffali dei supermercati. Non si tratta quindi di frutta o carne, di buono o cattivo, di sano o pericoloso (tutti gli impianti mostrati sono teutonicamente lindi e immacolati): si tratta della quasi totale soppressione della natura, della rigorosa geometrizzazione dei processi creativi, unici aspetti naturali lasciati divincolarsi nelle strette maglie della meccanizzazione. Pazzesche le intere colline (credo spagnole) completamente pettinate di ulivi esattamente equidistanti tra loro o i campi di patate stragravidi di tuberi in ogni spanna.

 
Alle 3/20/2007 10:25:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

si propone davvero come un lavoro interessante, quello di Geyrhalter; grazie per la segnalazione.
speriamo che Fandango, Feltrinelli o chi per loro si prendano il rischio di distribuirlo anche da noi.

dopo anni di documentari politici saturi, ma in maniera bulimica, di discorsi chiusi, che prevedono lo spettatore come un acritico ed imbecille "già detto", finalmente anche in questo ambito di documentari pare giungere qualcosa di più rispettoso di chi guarda.

non che io sia per l'abolizione del commento fuori campo tout-court, ma ultimamente si era davvero esagerato: per anni ci hanno dato in pasto "cose" che con il documentario filmico hanno davvero poco a che fare.

L'ultimo Michael Moore, solo per citare il caso più noto, era un mero montaggio alla MTV, che per buona parte del film non faceva che commentare le parole del regista, con immagini che avevano davvero poco a che fare con la documentazione. documentare la problematicità del governo bush non è far vedere una donna incazzata o un poliziotto che deve controllare kilometri e kilometri di terreno (queste, assieme alla sequenza nella scuola di Bush e poche altre, erano le sequenze documentarie del film), o per lo meno: non basta.
...certo, in questo modo Moore è arrivato a molte persone; ma il suo lavoro non aveva a che fare con il cinema: avrebbe potuto scrivere solo il libro ed il messaggio non sarebbe cambiato di una virgola.

inoltre, a mio ricordo, il discorso di Moore era pedagogico, populista ed al contempo incompleto e fazioso: gettava moltissimi indizi ammiccanti senza però documentarli appieno.

certo che niente e nessuno mi potrà mai dissuadere dal mangiar salsicce fegatini e viscere alla brace, mi auguro che questo documentario sia fedela alla linea della una documentazione rigorosa e motivata, cinematografica: la linea che negli ultimi anni ci ha dato film come Essere e Avere, Il grande silenzio e, perché no, anche La storia del cammello che piange.

 
Alle 3/20/2007 04:56:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Si in effetti Michael Moore ha indovinato un messaggio orecchiabile e "facile" ma al costo di un'incompletezza e di un evitabile populismo, sì (meglio allora Confronting the evidences). Essere e Avere me l'ero dimenticato, ma hai ragione, è proprio un tipo di documentario "silenzioso", con un punto di vista coerente e che lascia i fatti narrare se stessi. Gli altri due non li ho ancora visti, il cammello mi è spesso sfuggito di un soffio. Giusto per fare un aggiornamento, oggi su Information Guerrilla c'era questo.

 
Alle 3/20/2007 07:41:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

I commenti a questo post stanno progressivamente slittando sul piano della critica a Michael Moore, e mi spiace contribuire a questo andazzo. Ci tenevo però a sottolineare un aspetto secondo me estramente interessante dei documentari di Moore, tipico più delle prime opere come Roger & me e presente solo a tratti nell'ultrainflazionato Fahrenheit 9/11. Si tratta di quella sua capacità di andare a scovare l'America più provinciale, grottesca e inquietante, lontana al pari sia dall'immagine aurea dell'America della cultura che ci ha segnato (quella di Vittorini etc, per intenderci), quanto da quella di Bush & comp., quell'America dei Simpson e delle parate cittadine che io adoro vedere emergere e manifestarsi. Poi sono pienamente d'accordo con le critiche al populismo. Per il resto, grazie Paolo per la segnalazione.

 
Alle 3/20/2007 10:35:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

vorrei tornare al punto iniziale: secondo me anche le piante soffrono tantissimo...

 
Alle 3/22/2007 12:22:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

Sui problemi insiti nel nostro modello di produzione del cibo a me è piaciuto molto "Ecocidio" di Jeremy Rifkin, che è però incentrato sul solo ciclo produttivo della carne e sugli enormi sprechi che questo comporta.
Immagino che la situazione con frutta e verdura non sia dissimile. Spero che il film arrivi anche qui, il suo approccio puramente descrittivo sembra molto interessante.
Altrimenti, il caro vecchio mulo andrà alla sua ricerca...

a.

 
Alle 3/22/2007 12:45:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

achille ha detto...
vorrei tornare al punto iniziale: secondo me anche le piante soffrono tantissimo...

3/20/2007 10:35:00 PM

achille ti sottoscrivo appieno:
troppo spesso si spezzano le vite della nostra principale fonte di O!
dico io: ma siamo scemi?!

CAQC
(comitato per l'astinenza da qualiasi cibo)

 
Alle 3/22/2007 09:58:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

ai giorni nostri, non vorrei mai essere un pomodoro.

 
Alle 3/23/2007 12:31:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Per citare Luttazzi, più o meno testualmente, vi ricordo che i vegetariani sono semplicemente più intelligenti, o quantomeno più pigri. D'altronde, se i conigli spuntassero dalla terra come carote, saremmo tutti vegetariani.

 
Alle 3/24/2007 09:54:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Per chi fosse interessato, qui c'è il trailer.

 
Alle 4/10/2007 04:46:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

@ Vittorio: a proposito del tuo gusto per l'America più grottesca. Ho appena scoperto un regista pazzo e geniale che fa proprio al caso tuo, magari ne scriverò un post dopo aver visto più roba. Tu intanto guardati quello che puoi di Todd Solondz. Forse dovrai affidarti al vecchio caro mulo, perchè in Italia non hanno distribuito quasi niente.

 
Alle 4/16/2007 05:19:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Mi spiace risponderti solo adesso, ma come sai sono stato a lungo nella cara Umbria privo di qualsiasi connessione. Grazie comunque per la segnalazione; appena sistemo il mio computer farò ripartire il mulo.

 

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