Una sera come tante
Una sera come tante
di G. Giudici
Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un’altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti col giornale, i suoi guaiti commenti.
Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l’educazione dei preti;
due ore almeno ogni giorno per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.
Una sera come tante (quante ne resta a morire
di sere come questa?) e non tentato da nulla,
dico dal sonno, dalla voglia di bere,
o dall’angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se illusioni
siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega nel suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremmo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente?
Ma che si viva o si muoia è indifferente,
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi:
dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
non questa grigia innocenza che inermi ci tiene
qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
È nostalgia di un futuro che mi estenua,
ma poi d’un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
Da quanto in questa viltà ci assicura
la nostra disciplina senza percosse?
Da quanto ha nome bontà la paura?
Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani… pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai più semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi numera fra i suoi lungo la strada che scendo.
C’è più onore in tradire che in essere fedeli a metà. [1]
[1] G. Giudici, La vita in versi (1956), Milano, Mondadori, 2000.
Etichette: Bâtard
8 Commenti:
dal momento che garzanti non si decide a ripubblicare l'introvabile primo volume dell'opera omnia di Giudici (ma aspettate qualche altra settimana e vedrete) vi posto qui una delle poesie più belle (i letterati mi perdonino il crocianismo) de "La vita in versi"
ciao
mimmo
Questa poesia mi ha ammazzato. Vaffanculo Mimmo.
Ciao
Paolo
Se non dovessi tornare
sappiate che non sono mai
partito
il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua dove non fui mai.
G. Caproni
di questa poesia che non leggevo da un po' di tempo, mi ha sempre impressionato il verso:
"mi numera tra i suoi lungo la strada che scendo".
che nella mia testa è da sempre accostato a:
"ci si sveglia vecchi /con quella cangiante ombra nel capo, sonnambuli / tra esseri vivi discendenti / su un fiume di impercepiti nonnulla recanti in sé la catastrofe".(sereni)
ma anche a:
"poi raccoglie asfodeli
e scende verso lo Stige" (benn).
c'è stato un periodo in cui "una sera come tante" si finiva per leggerla o almeno menzionarla quasi ad ogni sbronza. pensate un po' che allegria...
ed è interessante che per Giudici i "despoti" sono indifferentemente sia presunti controllori del vivere sociale (ma forse la società stessa nella sua organizzazione) sia un Dio/Destino.
Mi colpisce il tema fondamentale dell'appagarsi (di un sorriso o di un come-se-fosse) correlato a quello della bontà.
Poi sapete come la penso: il verso con cui bisogna fare i conti è: "La verità chiedeva assai più semplici tempre." E' la problematizzazione, in questa poesia, che permetta al tranquillo despota il controllo. A ciò si lega il tema finale del tradimento, cioè della scelta per la verità opposta.
mimmo
Paolo,
Devi preservare
avere buona pazienza.
Ricordalo se vuoi arrivare
al punto di partenza.
G. Caproni
Ma così in effetti il despota diventa un essere superiore, qualcuno che è stato capace di forgiare la sua tempra (paradosso? chi crea se stesso?) al servizio della verità (ma quale poi?). E perchè saremmo nella fila de suoi (ahia...questa prima persona plurale m'è scappata)? Cos'è? Condannati a subire da quale potere? (quarto pastis)
Ah, ma siete ovunque. Uno cerca innocentemente su google una poesia di Giudici, e guardaunpo'dovecàpita. Quando avrò meno sonno rifletterò sui despoti; intanto, torno alla mia grigia innocenza, appagata da un sorriso.
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