30 novembre 2007

Io e zio Pluto - di Mimmo Cangiano e Eugenio Santangelo


Qui sto io, Ennio Smerletti, 27 anni, (attualmente disoccupato, ma questo non è importante). Guardando accanto a me i tavolini del bar, seduto con una birra posata di fronte, fuori, a squadrettare dal mio basso su sedia l’alto passettante dei passanti in piedi. Guardo loro le scarpe e nel frattempo riaccumulo una storia mia non proprio chiara nel ricordo, con molte tracce perse, molti punti, lati e impatti oscuri, e penso di raccontarla e riordinarla un po’.
Perché, vedete, il luogo aiuta, il luogo è lo stesso, questo stesso bar che pare non aver cambiato tavolini, in questa città, Terni: uno spazio definito. Però il tempo ha rimaneggiato il ricordo di una storia che per giunta è un solo punto condensato in un attimo di contatto, d’impatto: sbam, tutto in un punto, ma non si è chiuso.
Fu, oltretutto, una collisione prodottasi in un picco d’esagitazione alcolica, e quindi d’incoscienza, o di difficoltà di percezione del di fuori, del mondo. Un picco certo superabilissimo e tuttavia interrotto da questo cozzo di cui qui sopra (e poi sotto). Insomma ero sbronzo, ma avrei anche potuto esserlo di più. Avrei potuto se in quell’istante non fosse avvenuto a choccare me e il mondo, se non fosse stato agito quel ganglio brutale di cui, qui, Ennio Smerletti, riordinando, raccontando, si vorrà poi vendicare.
Riguarda tutto un uomo, zio Pluto, che io aspetto nello stesso luogo, due anni dopo.

Quindi l’impatto: tutto troppo veloce, improvviso, solo la vaga sensazione di non essermelo meritato: subito misi in dubbio anche quella. Io stavo guardando col miglior sorriso che potevo la barista d’occhiali dolci e occhi svelti, ordinavo un’altra birra, quelli là mi mozzarono il fiato. Ma qui non voglio discutere di come quelli là m’afferrarono alle spalle, mi tirarono il collo, me lo strattonarono, lo strinsero, mentre altri spugnettavano e s’infoghivano su di me, sbronzo e smilzo. Non racconterò che fu, come m’accorsi e m’accorgo, una sorta di spropositata difesa, o vendetta, che il ciccione mi scagliò addosso dopo essersi buscato una birra in faccia, dopo che io senza essere in grado di dedurre possibili conseguenze, m’inscenai nell’atto puerile, ubriacamente puerile, di ribaltare un intero bicchiere sul pelato ciccione. Importa poco, non importa che guardata adesso vedo una comicità irresistibile nel me sentendomi perfettamente coerente in quell’atto, e incosciente nel rientrare come nulla fosse nel bar per ririempire il bicchiere.
Quel che importa è zio Pluto, che io aspetto, due anni dopo, in questo stesso bar, progettata la vendetta (freddissima), e per nessun motivo in particolare.
Ecco: zio Pluto aveva settantanni quasi, diciamo, una memoria molto dedita al vino che vagheggiava i suoi racconti, discorsi e trascorsi, ed una faccia butterata di rughe che ben si adattava alla voce con cui ci parlava. Non ero mica solo, con zio Pluto. C’era tutta una banda di miei amici a bere in quel bar. Amici che però si trovarono impreparati al momento del contatto, dell’impatto, del punto nero del pestaggio. Diciamo meglio, non si trovarono affatto in quel momento, i miei amici, manco se ne resero conto. Ma neppure questo importa. Importa solo la vendetta. Cioè la completezza. Chiudere il discorso, come si suol dire.
E di discorsi e racconti se n’erano fatti molti con zio Pluto, e queste narrazioni avevano, credo, giustificato il nomignolo disneyano. Il fatto è che non ricordo. Quelle conversazioni se le sono risucchiate la birra rovesciata, gli occhi rossi di lui e due anni di mezzo. Però era una memoria, quel zio Pluto, e noi un uditorio che sorrideva molto e rideva molto e cominciava a bere (più in là a cantare per il troppo bere). Ed era finita a pacche sulle spalle, brindisi e purtroppo niente foto. Un bel gruppo: lo zio nel centro. Poi tutto filò in un piano inclinato verso altri interessi e impulsi, si risaliva il picco dell’ubriachezza. E lo si lasciò dentro con gomito sul bancone, zio Pluto, quasi mezzo dormito, tenendo d’occhio il bicchiere, mentre fuori avvenivano altri racconti, altre questioni, altri canti in cui lui non rientrò e che lo avevano offuscato e messo in parte.
Allora viene l’azione (è tutto un poco smemorato, ma si sta riformando, adesso, a poco a poco): ciccioni pelati e scagnozzi, dispersione dei gruppi, mio ingresso nel bar per ricarica bicchiere e scazzottaggio (come sopra): rovesci della sorte e delle birre. Ma l’elemento che chiuse il pestaggio non aggiunge altro dolore alla scena. Cioè pugno più o pugno meno, mi stavano pestando, e non cambia poi molto che proprio lui, in maniera così poco plutesca, così poco conveniente a uno zio, con quegli occhi rozzi che risalirono dal gomito al bancone, con quel guizzo, con quel braccio d’operaio d’acciaieria (ora ricordo), proprio lui, zio Pluto, dimenticando tutto, non importa che abbia sommato un pugno in più. Non importa, in termini di dolore aggiunto. Ma poi chi è zio Pluto? Non ricordavo nemmeno che faccia avesse. Eppure io questa cosa qui, di questo bar e di quello che vi è successo dentro una notte di due anni fa, la pensavo con una certa insistenza. È questione di vendetta. Cioè di completezza. Chiudere il discorso, come si suol dire.

È a quel punto che il barista mi ha detto: “Tu non sei di Terni”.
Infatti no. Io con questa città non ho niente a che spartire. È colpa della vendetta se sto qua, e allora glielo dico: “È per l’incompletezza che sto qua”.
Ma cosa ne vuol sapere un barista di Terni, mentre zio Pluto entra nel bar, di sistemi che vanno chiusi.
È ancora più vecchio, ha un naso piccolo e schiacciato (topolinesco, ma tant’è, i nomignoli rimangono), le rughe al loro posto e rilassate, gli occhi di un azzurro chiaro, con un velo sopra, già vitrei, già sepolti, ostinati a vivere ancora mentre mi chiede una sigaretta.
“Niente per te”.

Mi incammino, sento il suono delle mie scarpe, non sono più sicuro che fosse lui. È l’ora di chiusura degli uffici, la stazione è a due passi, già la vedo.

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29 novembre 2007

I violini della barca


Terrò a freno l'entusiasmo - ma solo per venire incontro al riserbo di chi partecipa all'iniziativa che vado ad annunciare - nel segnalare il concerto dei Violini della Barca in programma domani sera - venerdì 30 novembre - alle ore 22 al circolo Iqbal Masih (via della Barca 24/3, Bologna). Una precisazione: nella democraticità che li contraddistingue i Violini saranno impegnati domani sera in una sorta di prova aperta, caratterizzata quindi da errori, svarioni, stecche clamorose e litigi furibondi (si avverte al riguardo il gentile pubblico che fisarmoniche e tromboni, nonché tube e violoncelli, voleranno da un lato all'altro del locale con precisi intenti contundenti). Se ve la volete rischiare, e io vi assicuro che ne vale la pena, le informazioni sull'appuntamento le avete già tutte. Se no, accontentavi dei brani che è possibile ascoltare dal loro sito (c'avete anche quello, è uno dei link che stanno qui sopra).
Saluti a tutti, e un bacio a D.

Vittorio

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28 novembre 2007

L'architettura e la pittura dell'Ordine Templare

Con sommi gioia ed orgoglio andiamo a presentare la seconda straordinaria iniziativa del Gruppo cultura della zona due di coop Adriatica e della biblioteca Lame. Orgoglio e gioia che derivano dal successo ufficiale nei più importanti circuiti della cultura mondiale (anche se nella fattispecie un po' bolognese) dell'esimio Paolo Cova, membro tabardiano doc.

L'appuntamento è per domani sera, giovedì 29 novembre 2007 - ore 21 presso il centro civico Lame sito in via Marco Polo 51 (Bologna), per la seconda e ultima serata bolognese del ciclo di conferenze sull'innovativo e inusitato argomento I Templari. Nello specifico, l'incontro di domani verterà sul tema, mai trattato dal nostro, L'architettura e la pittura dell'Ordine Templare.

Nell'immensa magnanimità e serietà che lo contraddistinugono, lo studioso si augura, come nella precedente occasione, una vostra accorata partecipazione. Inoltre vista la ricorrenza della natività del compagno tabardiano Paolo De Guidi, questi verrà omaggiato dal Gran Maestro Templare in persona con la "spada de' foco". Noi colleghi e fratelli tabardiani ribadiamo il nostro oramai consueto appello:
accorrete numerose!

Baci e abbracci a tutti!

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27 novembre 2007

Martedì tabardiano dicembrino


Il Macondo torna ad accogliere l'allegra banda tabardiana. Continuando a parafrasare un celebre motto, questa volta titoliamo "La verità è il FESTINO per cui siamo fatti". Racconteremo la nostra esperienza perugina e ci inoltreremo nello scabroso mondo dei festini dei ggiovani italiani, questi depravati. Proiezione speciale di un corto della Coma Film, a tema. Poi musica, letture e, manco a dirlo, il nostro allegro, imprevedibile e assai maldestro situazionismo. Stasera, al circolo Arci Macondo, via del Pratello 22/c, Bulagna. Accorrete numerose!


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26 novembre 2007

Il fatto del giorno (dopo)

Ieri "ricorreva" la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Mi sarebbe piaciuto scriverci sopra qualcosa, e invece impegni vari, invasioni barbariche nel territorio felsineo, modifiche al blog, stanchezza, inedia e quant'altro mi riportano qui, adesso, a cercare di recuperare su una coincidenza mancata (come dice Vinicio Capossela: «non è possibile riprendere i treni che sono già passati però ci si può correre molto a lungo dietro»). Problema di fondo: nel farlo mi prendo una pausa durante il lavoro di rassegna stampa, e in qualche modo sono influenzato dall'abbuffata mediatica che porto avanti da stamattina (sul tema della violenza i giorni passati non sono stati avari, né per quanto riguarda le donne né tanto meno per i tifosi).

E allora inevitabilmente sono condizionato dall'idea che le iniziative pubbliche sono sempre positive, ma si portano dietro, nel loro dare rilevanza mediatica al lavoro che con costanza si porta avanti quotidianamente, il riflesso che inevitabilmente avranno nella trasposizione dei mezzi d'informazione. Vale a dire che, per quanto magari i bravi giornalisti a questi temi ci siano legati, si finisce senza scampo nella logica del fatto del giorno, per cui magari le cose colpiscono, ma perdono il loro effetto con enorme rapidità, sino alla ricorrenza dell'anno dopo (tempo fa in un'intervista di Fazio a Marco Paolini l'attore affermò che «l'indignazione per noi italiani è come l'orgasmo: dura tre secondi e dopo ci viene anche sonno»). In effetti è come se un caro amico ti chiamasse solo per il tuo compleanno dimenticandosi della tua esistenza per i successivi 364 giorni (per questo poi a me non piacciono "ricorrenze" e "celebrazioni").

Poi tra l'altro mi prende a male ed è soprattutto per questo che mi fermo a scrivere queste righe – che il lavoro di tassonomia che sono costretto a fare nell'ambito della mia rassegna mi porti a "cacciar dentro" (come si dice a Bologna) la sezione Pari opportunità tutti gli articoli che riguardano la questione donne. La divisione in sezioni, per quanto flessibili, comporta il dover giocare con delle strutture, comode o scomode che siano a seconda dei punti di vista. Per quanto riguarda il caso specifico del mio lavoro, beh, spesso mi permetto delle forzature, ma quando leggo il titolo di quella sezione che prima o poi cambierò penso a una specie protetta. Protetta da chi? Da maschi, chiaramente. E da loro parimenti pubblicizzata. Poi penso alle "quote rose" e ad altri vecchi discorsi, m'incazzo e non mi accontento di concludere che senza queste "concessioni maschili" sarebbe peggio. E ringrazio le "scalmanate" che ieri hanno cacciato via la banda Pollastrini-Turco-Melandri-Mussolini-Prestigiacomo.

E poi, insomma, alla fine una conclusione non c'è (come la si potrebbe pretendere d'altronde), se non nell'affermazione che si vorrebbe un'informazione diversa – e che poi nel nostro piccolo si cerca di farla, cambiando i canali, inventando gli spazi e magari mettendo in connessione i circuiti non ufficiali. Forse per questo, al di là delle motivazioni che ho usato prima come scusanti, questo post l'ho scritto oggi.

Vittorio Martone


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Sogno dell'ala destra

Mi piaceva, fra attuali e presto fagocitate calcistiche tragedie ed eterne ma inutili saggezze esistenziali, far partire il nuovo blog con questa poesia del modenese Enrico Trebbi. Aspettando di ritrovarci domenica sul campo.

Mimmo



Fatti salvi i primi dieci minuti
sai bene che vivo
la filosofia catenacciara del
"primo non prenderle"
raramente utile, ma comoda:
esclude da subito l'impegno
di spingersi in attacco.
Sarà così che oggi
ho giocato la partita senza
vedere l'altra metà del campo,
a campo dimezzato pare
durino meno le partite,
moduli e tecnica
tesi ai supplementari, tentare
il colpo ai calci di rigore.

Anche l'ala destra, per altro,
dimentica la potenza del suo tiro
nel sette di collo pieno
dopo una discesa a perdifiato
il pallone gonfia la rete
dell'urlo assassino della curva;
oggi si concede una melina
di finte e di tocchetti
già col fiatone a centrocampo
a tentare il gol coi pallonetti.

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25 novembre 2007

Non ci credevamo più nemmeno noi (parte seconda)

Ecco finalmente concluso il restyling del blog. Alcune modifiche sono molto evidenti altre meno. Passiamo subito, come promesso, ad illustrarle:

Header: il titolo del blog verrà d'ora in poi accompagnato da un'immagine e da una citazione che cambieranno a scadenza più o meno regolare (siam pur sempre noi, non aspettatevi miracoli).

Post: il corpo dei post è stato allargato per facilitarne ulteriormente la leggibilità dopo la scelta dello sfondo bianco. Spieghiamo qui anche un elemento in realtà già presente da tempo: i post troppo lunghi vengono spezzati per non intasare la homepage, per leggerli integralmente basta cliccare su "leggi tutto il post". Questo link appare sempre, quindi un trucco per capire quando un post è diviso è cercare la firma dell'autore in fondo: se non c'è vuol dire che è stato spezzato.

Sidebar: è l'elemento che ha subito più aggiunte, oltre quella evidente di spostarsi a sinistra. Le ultimissime, la sezione multimedia, la lista delle rubriche e soprattutto, in fondo, i link ai pdf dei numeri della rivista.

Etichette: Blogger, e la nostra ignoranza di html, ci costringono a continuare a chiamarle tali, ma d'ora in poi vogliamo trattarle come vere e proprie rubriche, sulla falsariga della rivista cartacea. I sette nomi, che speriamo divengano presto familiari, sono spiegati nel post precedente che sarà sempre disponibile grazie all'apposito link in fondo alla lista.

That's all, folks! Stavolta più che mai i vostri commenti sono utili e graditi, per capire se abbiamo lavorato bene per rilanciare il blog e facilitarne la lettura.

Paolo & Vittorio


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I nomi delle rubriche

Essendo il plurilinguismo una delle facce del molteplice che tanto ci piace, abbiamo deciso di raccattare parole e immagini da diverse lingue e culture in queste elastiche definizioni:

* A Tasca: [ɑ 'taʃkɑ] la taverna portoghese dove rimbalzano discussioni a bassa voce, dove si fa tappa dal viaggio per un boccone, un bicchiere e un resoconto. O ancora, dove si pianifica di salpare, anche se poi non si salpa mai. Pagine di diario, sfoghi, racconti...

* Annunciazziò! Annunciazziò!: [annun'tʃattsjɔ] se non cogliete la citazione, per prima cosa vergognatevi, poi guardate questo. Gli eventi tabardiani e non solo, le edizioni straordinarie, le ultime novità.

* Bâtard: [bɑtaʀ] Jean Vigo ha usato il verlan di bâtard (bastardo) per il nome del piccolo personaggio che abbiamo preso a modello. Questa rubrica bastarda è quella delle varie ed eventuali; tutto ciò che non ha nome, che non trova o non vuole alcuna categorizzazione, è qui benvenuto.

* Rassegna Stanca: [rasseɲa stanka] il meglio del web e non solo, a scadenza settimanale (trattabile). Seguendo il principio di una ricerca di notizie e segnalazioni accurata e mai forsennata.

* Resaca: [resaka] il famigerato post-sbronza spagnolo. Recensioni e commenti a libri, film, dischi, mostre e quant'altro ci capiti di voler commentare, con la stessa attitudine di chi cerca di ricordarsi cosa cazzo ha bevuto la sera prima e chi è quello sconosciuto nel letto. Come le chiama Juan Bas: le ore dell'inutile pentimento.

* Straßenbahn: [strassenban] i tram di Francoforte, quelli romani che scorrono su Viale Trastevere, quelli di Lisbona che si inerpicano tra le calçadas dell'Alfama. Il mezzo elettrico che ha creato la rete urbana: generalista, veloce, ecologico, scarrozza le nostre idee e riflessioni su politica, sport, economia, ambiente. Per viverci dentro, insieme.

* The Rivista Connection: [ðiːrıvısta kə'nɛkʃn] filo diretto con il cartaceo. Uscite, idee, novità, proposte, discussioni aperte sugli argomenti e gli articoli. Thanks BIRRA guys!

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21 novembre 2007

Templari e templarismi

Con sommi gioia ed orgoglio andiamo a presentare la straordinaria iniziativa del Gruppo cultura della zona due di coop Adriatica e della biblioteca Lame. Orgoglio e gioia che derivano dal successo ufficiale nei più importanti circuiti della cultura mondiale (anche se nella fattispecie un po' bolognese) dell'esimio Paolo Cova, membro tabardiano doc.

L'appuntamento è per domani sera, giovedì 22 novembre 2007 - ore 21 presso il centro civico Lame sito in via Marco Polo 51 (Bologna), per la prima serata del ciclo di conferenze sull'innovativo e inusitato argomento I Templari. Nello specifico, l'incontro di domani verterà sul tema, mai trattato dal nostro, Templari e templarismi.

Nell'immensa magnanimità e serietà che lo contraddistinugono, lo studioso si augura una vostra accorata partecipazione. Noi colleghi e fratelli tabardiani ribadiamo il nostro oramai consueto appello:
accorrete numerose!

Baci e abbracci a tutti!

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20 novembre 2007

2666: qualche impressione di lettura

Difficile parlare di un romanzo di cui si è letta solo la prima parte (anzi, tre delle cinque parti, ma le ultime due saranno pubblicate in Italia solo tra un anno). Magari si può iniziare con i pensieri confusi di Amalfitano, uno dei molti protagonisti, che si lascia tentare dalla follia, dalle voci, dopo aver appeso un trattato di geometria al filo per stendere i panni (secondo le istruzioni di Duchamp): «Queste idee o queste sensazioni o questi vaneggiamenti, d’altra parte, avevano per lui un loro lato gratificante. Si trasformava il dolore di molti nel ricordo di uno solo. Si trasformava il dolore, che è lungo e naturale e vince sempre, nel ricordo personale, che è umano e breve e sfugge sempre. Si trasformava un racconto barbaro di ingiustizie e di abusi, un ululato incoerente senza principio né fine, in una storia ben articolata dove c’era sempre la possibilità di suicidarsi. La fuga si trasformava in libertà, anche se la libertà serviva soltanto a continuare a fuggire. Il caos si trasformava in ordine, sia pure a spese di quello che è comunemente noto come senno».

Queste parole potrebbero riferirsi al meccanismo narrativo, quanto alla costruzione della “Storia”, o anche al processo della memoria individuale. Eppure ci ingannano. Quello che avviene nel romanzo di Roberto Bolaño è l’esatto contrario di ciò che pensa Amalfitano la notte in cui definitivamente si avvicina alla follia: il sistema narrativo di 2666 si fonda proprio sulla decostruzione di una sequenza “storica” (storia, ricordo, narrazione). Mi sembra che la scrittura di Bolaño si muova in una sorta di inconsapevolezza autoprovocata: come una persona appena sveglia che si mettesse ad annotare i propri sogni. In altri termini, questo romanzo è un tentativo di sottrarsi al processo narrativo propriamente detto, mediante un lavoro duro e faticoso: provare in ogni parola ad eludere se stessi ed il proprio “io” narrante.
Tentativo fallito, peraltro. Al di sotto delle trame decostruite dell’io scrivente si cela un’ulteriore identità nella non-identità. Ed è il male, sotto forma di follia, non senso, e soprattutto stupidità. Come se, anche al culmine etico della “Storia” che si estranea per liberarsi dalle tensioni autoritarie che le sono implicite, affiorasse alla superficie un mostro oscuro contro cui nessuno scrittore può vincere.
E forse è proprio questo il senso di un romanzo come questo. Perché nonostante tutto resta l’aver stanato il mostro, aver costretto l’occhio che scavalca il torrente dei caratteri a posare sui corpi inermi delle donne assassinate e abbandonate nel deserto. Aver costretto il lettore a fermarsi in una assurda città di frontiera, ormai definitiva città dell’uomo consacrata al vuoto che la circonda; dove non è possibile fidarsi di alcun essere umano; soprattutto non di se stessi, né delle “voci”: «così tutto ci tradisce, compresa la curiosità e l’onestà e quello che abbiamo molto amato. Sì, disse la voce, ma consolati, in fondo è divertente».

La mia breve nota ovviamente non esaurisce nemmeno in minima parte la discussione su questo romanzo, e soprattutto su quest’autore. Naturalmente, ci sarebbe anche molto da dire sull’ottima traduzione di Ilide Carmignani. Noi di Tabard speriamo di poter riprendere il discorso sul prossimo numero, sempre che il nostro Hispanista sopravviva ai suoi rave e si decida a riaprire i libri.

Achille

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Non ci credevamo più nemmeno noi (parte prima)

Malgrado tutto il nostro impegno in direzione ostinata e contraria, siamo riusciti finalmente ad attuare il tanto sospirato restyling grafico del blog. Il risultato è davanti ai vostri occhi. Tanto per non smentirci vi avvertiamo subito che le modifiche programmate non sono state tutte realizzate: alcuni altri sensazionali cambiamenti debutteranno tra qualche giorno. Non vi anticipiamo nulla (non è spocchia, è che ormai ci conosciamo...). Un post più corposo e dettagliato (della esile lunghezza di sole tremila cartelle - sì il programma dell'Unione fu farina del nostro sacco) vi verrà propinato a restyling completamente ultimato, contenente la scrupolosa esegesi gnoseologica di ogni nuova scelta grafica e strutturale. Avendo cambiato a casaccio interi pezzi di codice html non escludiamo che questo blog possa autodistruggersi tra pochi secondi. La direzione declina ogni responsabilità per eventuali esplosioni degli schermi o fusioni delle tastiere. Se il vostro computer dovesse sopravvivere, saranno enormemente apprezzati commenti sul nuovo modello.

Con la nostra faccia sotto i vostri piedi (e vi potete anche muovere),

Paolo & Vittorio

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18 novembre 2007

Dialogo realmente avvenuto

(Protagonisti due amici che chiameremo E e P)

E: ci vediamo dopo, mi doccio che non mi lavo da due giorni.

P: ciao schifoso

E: eh... è che mi sono letto il processo di kafka... non potevo uscire di casa...

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15 novembre 2007

URGENTE: Salvate il soldato Tabard!

URGENTE! Tabard ha disperatamente bisogno del vostro aiuto: l'Università di Bologna, cioè chi ci finanzia, ha modificato i requisiti per le associazioni universitarie. D'ora in poi per partecipare ai bandi bisognerà iscriversi all'albo delle associazioni, il che comporta una titanica impresa: raccogliere almeno 100 soci. E non 100 soci qualunque, anche qui vigono delle condizioni ben precise. Possono firmare solo:


* gli iscritti a un corso di studi dell'Università di Bologna,
* che siano massimo al primo anno fuori corso,
* che abbiano registrato almeno 9 crediti nell'ultimo anno accademico concluso (per le matricole quest'ultimo punto ovviamente non conta) e
* che non abbiano firmato per altre associazioni.

Non solo: non basta la firma, ci vuole anche una fotocopia della carta d'identità. Insomma, un malefico marchingegno burocratico progettato appositamente per distruggerci o farci desistere. Noi accettiamo la sfida; ma per vincerla abbiamo bisogno di voi. Se rispondete ai requisti sopra elencati e volete permettere a Tabard di continuare a essere la magnifica rivista che è, scriveteci per concordare un incontro per la firma. Siamo nelle vostre mani e soprattutto nelle vostre carte d'identità!

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14 novembre 2007

Piddieffe numero 6 online

Ora anche i feticisti della versione telematica di Tabard avranno il loro gingillo con cui trastullarsi. Il pdf del sesto numero è online: lo potete scaricare dal sito, cliccando qui, oppure direttamente dal blog sul link della nuova sezione Ultimissime o ancora su quello, più in basso, dell'altra nuova sezione I numeri della rivista. Avete solo l'imbarazzo della scelta. Come dice la nostra amica Eleanore: "Signore e signori, per servirvi".



Paolo

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13 novembre 2007

Tabard al Modo

Ok, finalmente abbiamo un punto di distribuzione fisso. Nell'attesa di espanderci in tutto il mondo, ci accontentiamo di Bologna. Ci trovate nella libreria più figa e alternativa di tutta via Mascarella: Modo Infoshop. Da oggi ospita diverse bellissime copie (rigorosamente gratuite) dell'ultimo numero. Buona lettura.


Modo Infoshop
Via Mascarella 24/b,
Bologna

orari
lunedi 14,30 - 19,30
martedi / sabato 9,30 - 13,30 e 15,30 - 19,30
(apertura serale dalle 21,30 in occasione di incontri)
domenica chiuso


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12 novembre 2007

Birra, salsicce e riviste

La BIRRA è finita, e per Tabard è stato una gran bevuta. Siamo molto contenti della tre giorni umbra: abbiamo distribuito tutte le cento e passa riviste a disposizione (d'accordo, la gratuità aiutava, ma intanto Tabard se ne andava a passeggio per Perugia sotto molte braccia), abbiamo conosciuto tanta gente, stretto tante mani, scambiato indirizzi e opinioni, mangiato pesante e riso assai. Come nelle intenzioni degli organizzatori, che ringraziamo ancora (anche inserendoli tra i link), è stata una bella occasione per vedersi in faccia, contarsi, conoscersi: vedere insomma a che punto è la situazione delle riviste indipendenti italiane, come si fanno, perché e con quali mezzi, capire se si può creare una rete permanente. Secondo noi sì, si può e Tabard vorrà fare la sua parte. Le riviste erano talmente tante che c'era appena il tempo di sfogliarle, però i complimenti sono arrivati, ci inorgogliscono e ci spingono ad andare avanti e migliorarci. Il frutto migliore della partecipazione a questa manifestazione, oltre la torta al testo col ciauscolo e una geniale tenzone birresca, sono le tantissime idee che abbiamo cominciato subito a far frullare per i prossimi numeri e i prossimi incontri. Abbiamo anche imparato una lezione: se non mettiamo l'accento, tutti continueranno a chiamarci Tàbard.
Questo insomma è il resoconto serio, breve e a caldo, a cui magari ne seguirà uno più composito e faceto, come seria e faceta sono state le due "presentazioni" che siamo riusciti a improvvisare. Della seconda abbiamo, udite udite, una rara testimonianza video, per la gioia degli assenti, di pessima qualità audio/video ma di alto valore simbolico. Direttamente dal nuovo canale YouTube di Tabard. Stay tuned.



Paolo

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La Gioia - malgrado tutto

da senonlarealta.blogspot.com

Una qualche domenica fa sulla cronaca di Roma di Repubblica c'era un bel "racconto" (metto le virgolette perché di 'sti tempi le definizioni valgono poco) di Nicola La Gioia, che in teoria era lì per raccontare Roma, un quartiere od anche solo un baretto dei ricordi del giorno prima, che si sa, gli scrittori gli basta poco, e di fatto lui ha raccontato "bene" (per le virgolette vedi sopra) i cazzi suoi, o roba che gli assomigliava molto, insomma di una donna e tutto quello che ne consegue, quindi più o meno tutto; e fra questo tutto c'era un'idea molto interessante, interessante senza virgolette dico, che mi è rimasta in testa. Ah, per la cronaca Nicola La Gioia è un valente scrittore giovane - 30 e qualcosa -, sceneggiatore e tante altre cose che hanno a che fare con la letteratura, addirittura con quella dove girano dei soldi (Miminum fax, Einaudi); mi dicono sia molto post-moderno, ma nemmeno troppo. Personalmente iniziai il suo Occidente per Principianti dopo averlo trovato su una bancarella a Porta Portese il giorno dopo averne letto una recensione di quelle del tipo "il libro è molto bello" ma che ci mettono un po' di più per dirlo; dopo un po' di pagine smisi la lettura perché fondamentalmente maceravo nell'invidia, insomma sentirmi parlare 'sto tipo che girava fra feste in case obnubilate di alcool, cultura e belle donne a piazza Navona - mi pare -, provvisto di seminterrato da artista, editor di non mi ricordo quale prestigiosa collana, insomma non ce la facevo proprio a leggere di sto tizio - il protagonista del romanzo, ma anche un po' lui, mr. La Gioia - che se la spassava e faceva la bella vita da scrittore, soprattutto in quei giorni per me un po' cupi - sì, ok, è un blog, in questo post ci metto anche gli affaracci miei, diamine, lo fa pure mr. La Gioia su Repubblica.
Comunque ritornando all'idea del suddetto "racconto", l'autore-protagonista La Gioia, poco prima di trovarsi al cinema con la donna bramata ma difficile da stringere a sè, scrive:

«Ho pensato per un attimo che solo in una città senza più cinema, né teatri, né ristoranti, né sale da concerto saremmo finalmente liberi di riempire la desolazione urbana con i nostro pensieri più immediati.»

Che detto così magari non vi suona tanto, io però mi ci sono baloccato un po' con questa idea, dato che qualcun altro non lo faceva per me - ricordate quegli scrittori che di botto partivano per la tangente, anzi, che tante volte principiavano dalla tangente, e che poi finivano in quello che poi i critici chiamavano il "fantastico", gente come Tommaso Landolfi a cui ho rubato il nome di 'sto blog? Beh La Gioia mi sa che non è uno di quelli.

Insomma mi sono messo a pensare - è un pensare un po' strano e folle, lo so - ad un mondo in cui il piacere non ha più articolazione di sociale di nessun tipo: niente bar, aperitivi, feste, party, cinema, teatri, ristoranti, caffè, concerti od orge di gruppo a cui invitare chi concupiamo, insomma basta con i modi e coi luoghi dove, di nascosto un po' anche da sé, noi si vede l'effetto che fa stare lì a desiderare. Beh, se togliessimo al piacere ogni contestualità rimarrebbe lì con la sua scabrosità, la sua pulsionalità, con il fatto che desideri lei - lui, fate voi -; quello che gli etologi da superquark chiamano il gioco del corteggiamento si ridurrebbe a quello che poi di fatto vediamo sullo schermo intercorrere fra leone e leonessa - sì, con loro, l'immagine funziona meglio -, ovvero dei semplici preliminari, in senso tecnico se ne esiste uno, ché il gioco più o meno è fatto e si sta lì solo ad assaporare quello che sta per succedere - ripensandoci, anche gli altri animali e la pulsionalità bruta son parecchio umani in questo, o forse umano e animale sono più vicini di quello che si può pensare. Insomma, senza contesti vari il piacere ed il desiderio (dell'altro ma non solo) sarebbe senza infingimenti - senza umanità? non credo - quello che già è, cioè sessualità, sesso, e credo che questo coinvolgerebbe anche quelle che ora sono relazioni di amicizia. Insomma, capisco lo scrittore con le sue necessità di scrivere da scrittore, su Repubblica per altro, ma quello che spunterebbe fuori non sarebbe proprio il "riempire la desolazione urbana con i nostro pensieri più immediati", più che altro si farebbe sesso non proprio con tutti indiscriminatamente, ma fra quelli che ci si piace sì, altro che omosessuali ed eterosessuali, amici e fidanzata, senza i contesti di piacere si perderebbe la distinzione fra i modi di piacerci, quindi amicizia ed amore o attrazione pari sarebbero - come pari già sono se uno guarda bene. A pensarci tutto ciò, soprattutto in alcuni paesi, comporterebbe l'abbattimento del tabù dell'incesto, difatti quest'estate ero in Scozia ed ho visto figli cresciutelli piacevolmente al pub con mamma e papà; vabbé, in Italia simili rischi forse non ci sono.

Certo è che la società in senso molto profondo, la socialità dell'essere umano, sì insomma quella della definizione dell'uomo - non quella del bipede implume - che già Aristotele a suo tempo... , il nostro essere quello che siamo si basa su questi contesti ben strutturati di piacere, su queste distinzioni, insomma su una forma di "repressione" che tutti si accetta, e quindi, nel mio delirietto personale, per paura di dissolvere troppo il me stesso immaginato allontanandomi troppo dal me reale - la domanda su fino a che punto si può immaginare non solo di non essere sé stessi, ma di andare contro il nostro comune sentire ed essere, tipo pensarsi fuori dallo spazio tempo o simili, mi ha sempre intrigato, ma in fondo sono un fifone e non ho voluto darmi risposta - ho escogitato una semplice soluzione. Non so se avete presente la distinzione socialismo/comunismo, quella che si tira fuori nei dibattiti o nei collettivi per far vedere che sì è proprio di sinistra - mica socialdemocratici, eh! - ma che si sa che l'Urss era un obbrobrio, per cui si dice che i mezzi di produzione devono essere pubblici, anzi, degli operai o del popolo, come nel comunismo, mentre i singoli beni devono rimanere privati, del singolo. Ebbene qui, similmente, facciamo sì che il lavoro rimanga strutturato, sociale, fatto di cartellini da timbrare, code in macchina, corse e rincorse senza molto senso e tutto quello che già c'è adesso, e contemporaneamente lasciamo il godimento, insomma tutto quello che è dopo-lavoro e non più sussistenza, lasciato a noi stessi, senza punti di appoggio. Come a dire, entri in società - peraltro senza il noioso ballo del debutto - quando inizi a lavorare, poi, finito il tutto, così come sei entrato semplicemente vestendoti ed andando a lavorare, ne esci, e stai così, un po' nel vuoto un po' a godere.

Francesco

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08 novembre 2007

Tabard n° 6

Il Black Album di Tabard. Nuova grafica, nuovi contenuti, una tappa importante nel percorso di rinnovamento che abbiamo intrapreso tempo fa. La riflessione sul declino è la naturale continuazione di quella sul postmoderno e sulla metropoli contemporanea. Ciò che è rimasto intatto è il metodo d'indagine, sempre molteplice, labirintico, provocatorio, alternato su diversi piani e punti di vista, in una parola: tabardiano. La scrittura cerca di essere più leggera e il tono meno accademico. La svolta grafica è segnata in primis dal colore della copertina, stavolta nero contro l'usuale bianco, ma in realtà porta con sé numerosi e significativi cambiamenti: un carattere tipografico meno convenzionale e più nostro, l'abbandono dei quadretti (un'emancipazione dal quadernetto infantile?), un alleggerimento dell'apparato delle note (che puntiamo a snellire sempre più), una marcata divisione in rubriche tematiche per le quali abbiamo coniato un nome che speriamo aiuti la lettura e l'identificazione presso i lettori (la più innovativa e attesa delle quali è Opera gallegiante, dove cominciamo finalmente a proporre nostre opere letterarie), l'indice anche in ultima pagina come rapido riassunto. Continuiamo la scelta di proporre parallelamente ai testi uno o più percorsi fotografici coerenti con le nostre ricerche. Ci auguriamo che le tanto sudate modifiche cartacee trovino presto anche un riflesso qui sul blog. Il pdf sarà a breve disponibile sul sito e vi comunicheremo le librerie dove trovare la versione cartacea. Se proprio non ce la fate ad aspettare scrivete alla mail di redazione. Ogni commento è come sempre ben accetto su queste pagine. Per ora i primi a poterselo sfogliare sono i fortunati ospiti dello scorso martedì tabardiano e i visitatori di Birra. Buona lettura.



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07 novembre 2007

Eros, giustizia sociale e Partito Democratico

Grande successo ieri sera al Macondo
Ecco gli eroi della tavola rotonda:

da sx: Achille Jo' Murat (detto 'O Scurciaprievete), direttore di Ateo Moderno; Victor Marton, noto studioso di filosofie orientali; Padre Gaudenzio Lussorio Ferraris, tra i fondatori del nascente PD e vero mattatore della serata; il moderatore Dott. Cova e Padre Ullrico Von Klinsmann della Chiesa Avventizia del Giorno Dopo.

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05 novembre 2007

La prima non va

Io il ritorno di Daniele Luttazzi in televisione lo aspettavo da anni con ansia. E forse l'errore è stato caricarmi di aspettative, ci ho pensato anche qualche minuto prima che iniziasse lo show l'altro giorno su La7. Opinione? In una sola parola: deluso. Ma la stima che nutro per Luttazzi è troppa per chiudere qui il discorso; cerco quindi di sviscerare un po' il suo programma e il mio giudizio. Cerco soprattutto di pormi nei panni di uno spettatore che non ha letto i suoi libri, frequentato il suo blog, visto i suoi spettacoli in questi anni di reclusione catodica quale io invece sono. Forse a quello spettatore il primo quarto d'ora in cui Luttazzi riepiloga la storia recente della politica italiana senza fare una battuta divertente neanche per sbaglio, anzi cadendo un paio di volte in ridicoli sfottò (quella delle dimensioni del pene e del leone era imbarazzante), ma spiegando come lui legge le vicende politiche contemporanee, forse a quello spettatore può risultare un interessante o quantomeno inedito punto di vista. Forse a quello spettatore la battuta "Non ho venti milioni di euro, non sono un idraulico" ha fatto ridere; anche a me ha fatto ridere: sei anni fa quando Luttazzi l'ha detta la prima volta, oggi mi dà solo fastidio. Ecco, la ripetizione: Luttazzi ha ripetuto molte, troppe battute del suo repertorio storico; non le ho segnate ma erano tante, mi viene in mente l'altra sullo scoparsi Maria Montessori o quella su Bin Laden come suo agente. Per non parlare delle risate registrate in sottofondo(!), la cosa meno luttazziana che possa immaginare. I suoi dialoghi platonici, che sul blog adoro, riescono molto meglio letti su carta che visti interpretati da attori (?), ma lì magari c'entra quella che a chiamarla imperizia si fa un complimentone agli interpreti. Gli altri sketch erano poverissimi, parevano scritti di corsa mezz'ora prima e, soprattutto, non facevano ridere. Quella roba tristissima del padre impagliato ... beh ... non faceva ridere ma neanche ghignare o stuzzicare o scandalizzare. Anzi. Pareva un ostentato sforzo dell'autore per dire: "guardate quanto sono grottesco e quanto son bravo a infrangere tabù recitando come un demente!". Gratuita e assolutamente SOTTO le righe. Luttazzi sa farlo molto meglio e l'ha dimostrato col suo racconto su Moro e Andreotti. Si salvano solo la sua storia con Barbara Berlusconi (mai vendetta fu più sottile) e i flash finali, quelli che Luttazzi ha vanamente chiesto di poter trasmettere dopo un telegiornale Rai: rapidi commenti alle principali notizie, sulla riga del vecchio Tabloid di Mai Dire Gol, stavolta presentati con un omaggio a Jerry Lewis.
Ripeto: forse questa prima puntata era per aggiornare quel tipo di spettatori televisivi che non legge, non naviga e non va a teatro e che non aveva notizie di Luttazzi dai tempi di Satyricon, come auspicano anche qui. Spero davvero che dalla prossima puntata Daniele si ricordi anche di chi l'ha seguito e lo segue da tempo e ha fame della sua dissacrante inventiva, della scrittura satirica più affilata e professionale d'Italia e soprattutto della sua composizione di battute magistrale. Perché continuo ad apprezzare la sua linea etica, il suo impegno, la sua coerenza, la custodia e sviluppo che dà al Genere satirico; tutto ciò c'è ancora, manca una cosa: le risate. (A parte una battuta, che nella delusione e sconforto io mi ero addirittura perso e di cui ringrazio Bucknasty, di cui comunque non condivido la recensione, per avermela ricordata: "tossicodipendenti accusati di ciclismo". Ecco, questo è il Luttazzi che voglio, ma lo voglio sempre così. Paragonarlo a Zelig è fuorviante, come lo sarebbe per Buona Domenica: sono diversi non sul piano qualitativo, ovvio, ma su quello formale. Luttazzi è un Autore satirico, Zelig è una corrida del tormentone, è meno di chewing gum per il cervello.)

Paolo

p.s.: segnalo un ottimo commento, questo. Sono d'accordo su quasi tutto, anzi ne riporto una parte intera:

Fa il suo lavoro di autore satirico, che è esattamente il motivo per cui lo hanno buttato fuori a calci dalla Rai. E dunque è cattivo, così cattivo che non fa ridere: provoca semmai un ghigno che deforma il volto e ti dà un senso di crampo alla pancia. La satira, quando è fatta bene, è fastidiosa persino per lo spettatore ben disposto. Del resto, se uno vuole farsi una sganasciata senza pensieri non guarda Luttazzi, si fa un giro su Zelig. Che poi si concordi o meno con le posizioni di Luttazzi, non è importante: ciò che è fondamentale è che è una satira che gioca duro, ma scopertamente. È fredda, per nulla emotiva, se vogliamo spocchiosamente intellettuale, e sparata a velocità così alta che costringe lo spettatore a concentrarsi per non perdere il filo del ragionamento. Non concede niente, allo spettatore, Luttazzi; ma non è crudeltà, è una forma di rispetto: sembra l’unico, in tv, che non vede il suo pubblico come una massa decerebrata di bambinoni idioti.

D'accordo su quasi tutto. Luttazzi però, finora, facendo tutto questo, faceva ANCHE ridere, faceva proprio sganasciare.

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02 novembre 2007

La verità è il cestino per cui siamo fatti


Secondo appuntamento con i martedì tabardiani al Macondo. Questa volta l'occasione è ancor più ghiotta visto che saremo in grado di presentare il nuovo numero di Tabard e distribuirne addirittura qualche copia. Il tema è quello del declino ed un apposito blob di film introduttivo è stato montato per l'occasione. Seguiranno in ordine sparso, rigorosamente casuale e maldestro, alcune considerazioni sul nuovo numero e una tavola rotonda ecumenica con gli esponenti delle principali religioni sul tema "Perché i calzini bianchi stanno tornando di moda?". Non si escludono ospiti a sorpresa. Il tutto sarà condito dai multiformi interventi dei fantastici Camera Mix, nascente ensemble newyorkese, e dal solito allegro situazionismo tabardiano. Martedì 6 novembre, al Macondo (Via del Pratello 22/c - Bologna) a partire dalle 20h30. Accorrete numerose!

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01 novembre 2007

Jack-o'-lantern il lombardo

Io Halloween l'ho sempre odiato. O meglio, ho sempre odiato l'importazione indebita ed impoverita che l'Europa ne ha fatto recentemente e continuerò sempre a criticare la matrice economica di tale import che si è impadronita d'altronde di ogni festività mistificandola (basta leggere wikipedia per scoprire che questa festa, come moltissime altre, ha origine antichissime, pre-cristiane ed europee fino al midollo e che addirittura la tradizionale zucca era presente nelle celebrazioni del nord Italia). Poi però arriva Leonardo, eccezionale come quasi sempre, e sfodera un punto di vista e una riflessione (anche letteraria) totalmente altri che rivelano quanto di italianissimo potrebbe in realtà esserci nella festa dei morti nordamericana. Eccezionale, come quasi sempre, anche il suo Natale Relativista.

Paolo

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