La Gioia - malgrado tutto
da senonlarealta.blogspot.com
Una qualche domenica fa sulla cronaca di Roma di Repubblica c'era un bel "racconto" (metto le virgolette perché di 'sti tempi le definizioni valgono poco) di Nicola La Gioia, che in teoria era lì per raccontare Roma, un quartiere od anche solo un baretto dei ricordi del giorno prima, che si sa, gli scrittori gli basta poco, e di fatto lui ha raccontato "bene" (per le virgolette vedi sopra) i cazzi suoi, o roba che gli assomigliava molto, insomma di una donna e tutto quello che ne consegue, quindi più o meno tutto; e fra questo tutto c'era un'idea molto interessante, interessante senza virgolette dico, che mi è rimasta in testa. Ah, per la cronaca Nicola La Gioia è un valente scrittore giovane - 30 e qualcosa -, sceneggiatore e tante altre cose che hanno a che fare con la letteratura, addirittura con quella dove girano dei soldi (Miminum fax, Einaudi); mi dicono sia molto post-moderno, ma nemmeno troppo. Personalmente iniziai il suo Occidente per Principianti dopo averlo trovato su una bancarella a Porta Portese il giorno dopo averne letto una recensione di quelle del tipo "il libro è molto bello" ma che ci mettono un po' di più per dirlo; dopo un po' di pagine smisi la lettura perché fondamentalmente maceravo nell'invidia, insomma sentirmi parlare 'sto tipo che girava fra feste in case obnubilate di alcool, cultura e belle donne a piazza Navona - mi pare -, provvisto di seminterrato da artista, editor di non mi ricordo quale prestigiosa collana, insomma non ce la facevo proprio a leggere di sto tizio - il protagonista del romanzo, ma anche un po' lui, mr. La Gioia - che se la spassava e faceva la bella vita da scrittore, soprattutto in quei giorni per me un po' cupi - sì, ok, è un blog, in questo post ci metto anche gli affaracci miei, diamine, lo fa pure mr. La Gioia su Repubblica.
Comunque ritornando all'idea del suddetto "racconto", l'autore-protagonista La Gioia, poco prima di trovarsi al cinema con la donna bramata ma difficile da stringere a sè, scrive: «Ho pensato per un attimo che solo in una città senza più cinema, né teatri, né ristoranti, né sale da concerto saremmo finalmente liberi di riempire la desolazione urbana con i nostro pensieri più immediati.»
Che detto così magari non vi suona tanto, io però mi ci sono baloccato un po' con questa idea, dato che qualcun altro non lo faceva per me - ricordate quegli scrittori che di botto partivano per la tangente, anzi, che tante volte principiavano dalla tangente, e che poi finivano in quello che poi i critici chiamavano il "fantastico", gente come Tommaso Landolfi a cui ho rubato il nome di 'sto blog? Beh La Gioia mi sa che non è uno di quelli.
Insomma mi sono messo a pensare - è un pensare un po' strano e folle, lo so - ad un mondo in cui il piacere non ha più articolazione di sociale di nessun tipo: niente bar, aperitivi, feste, party, cinema, teatri, ristoranti, caffè, concerti od orge di gruppo a cui invitare chi concupiamo, insomma basta con i modi e coi luoghi dove, di nascosto un po' anche da sé, noi si vede l'effetto che fa stare lì a desiderare. Beh, se togliessimo al piacere ogni contestualità rimarrebbe lì con la sua scabrosità, la sua pulsionalità, con il fatto che desideri lei - lui, fate voi -; quello che gli etologi da superquark chiamano il gioco del corteggiamento si ridurrebbe a quello che poi di fatto vediamo sullo schermo intercorrere fra leone e leonessa - sì, con loro, l'immagine funziona meglio -, ovvero dei semplici preliminari, in senso tecnico se ne esiste uno, ché il gioco più o meno è fatto e si sta lì solo ad assaporare quello che sta per succedere - ripensandoci, anche gli altri animali e la pulsionalità bruta son parecchio umani in questo, o forse umano e animale sono più vicini di quello che si può pensare. Insomma, senza contesti vari il piacere ed il desiderio (dell'altro ma non solo) sarebbe senza infingimenti - senza umanità? non credo - quello che già è, cioè sessualità, sesso, e credo che questo coinvolgerebbe anche quelle che ora sono relazioni di amicizia. Insomma, capisco lo scrittore con le sue necessità di scrivere da scrittore, su Repubblica per altro, ma quello che spunterebbe fuori non sarebbe proprio il "riempire la desolazione urbana con i nostro pensieri più immediati", più che altro si farebbe sesso non proprio con tutti indiscriminatamente, ma fra quelli che ci si piace sì, altro che omosessuali ed eterosessuali, amici e fidanzata, senza i contesti di piacere si perderebbe la distinzione fra i modi di piacerci, quindi amicizia ed amore o attrazione pari sarebbero - come pari già sono se uno guarda bene. A pensarci tutto ciò, soprattutto in alcuni paesi, comporterebbe l'abbattimento del tabù dell'incesto, difatti quest'estate ero in Scozia ed ho visto figli cresciutelli piacevolmente al pub con mamma e papà; vabbé, in Italia simili rischi forse non ci sono.
Certo è che la società in senso molto profondo, la socialità dell'essere umano, sì insomma quella della definizione dell'uomo - non quella del bipede implume - che già Aristotele a suo tempo... , il nostro essere quello che siamo si basa su questi contesti ben strutturati di piacere, su queste distinzioni, insomma su una forma di "repressione" che tutti si accetta, e quindi, nel mio delirietto personale, per paura di dissolvere troppo il me stesso immaginato allontanandomi troppo dal me reale - la domanda su fino a che punto si può immaginare non solo di non essere sé stessi, ma di andare contro il nostro comune sentire ed essere, tipo pensarsi fuori dallo spazio tempo o simili, mi ha sempre intrigato, ma in fondo sono un fifone e non ho voluto darmi risposta - ho escogitato una semplice soluzione. Non so se avete presente la distinzione socialismo/comunismo, quella che si tira fuori nei dibattiti o nei collettivi per far vedere che sì è proprio di sinistra - mica socialdemocratici, eh! - ma che si sa che l'Urss era un obbrobrio, per cui si dice che i mezzi di produzione devono essere pubblici, anzi, degli operai o del popolo, come nel comunismo, mentre i singoli beni devono rimanere privati, del singolo. Ebbene qui, similmente, facciamo sì che il lavoro rimanga strutturato, sociale, fatto di cartellini da timbrare, code in macchina, corse e rincorse senza molto senso e tutto quello che già c'è adesso, e contemporaneamente lasciamo il godimento, insomma tutto quello che è dopo-lavoro e non più sussistenza, lasciato a noi stessi, senza punti di appoggio. Come a dire, entri in società - peraltro senza il noioso ballo del debutto - quando inizi a lavorare, poi, finito il tutto, così come sei entrato semplicemente vestendoti ed andando a lavorare, ne esci, e stai così, un po' nel vuoto un po' a godere.
Francesco
Etichette: Resaca
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