Per AURO BULBARELLI (sabato, al Giro di Lombardia, la sua ultima telecronaca)
Vi sono uomini che segnano un’epoca, altri cucinano.
Beniamino Merumeni
Se non ricordo male tutto cominciò sulla Fininvest. Avevo 12 anni, la scuola andava a finire in un Maggio assolato e, a casa di Angelo, guardavo il mio primo Giro d’Italia. Era l’anno di Evgenij Berzin (discreto corridore dal fisico minuto), l’Italia era ancora, ai box di partenza, Bugno-Chiappucci, ma le cose stavano per cambiare (Pantani, già stempiato a 24 anni, sarebbe arrivato secondo).
Ma la voce, la voce Auro, non era la tua. C’era il tono metallico e stentoreo di Davide De Zan, ci avrebbe accompagnato fino al 1997, quando la Rai riacquistò i diritti del Giro e suo padre, Adriano De Zan, riprese la sua storica posizione, giusto in tempo per raccontare un Tour leggendario.
Auro, ricordi ancora? Come c’entravate in due, mi chiedo, su quella moto che seguiva i “girini”? E quante iatture deve aver tirato il motociclista vedendosi arrivare alla partenza un commentatore che sembrava Galeazzi magro? Tu puoi non crederci, ma io me la ricordo la tua voce sottile e pastosa a Selva di Val Gardena, quando Guerini e Pantani mollarono il gruppo e se ne andarono da soli, oltre i duemila metri, dove spariscono anche gli alberi.
Auro, lo sappiamo in pochi perchè hai fatto il telecronista sportivo (e non, come dicono i maligni, per poter provare ogni trattoria fra l’Andalusia e la Bretagna), permettimi di raccontarlo: avevi 16 anni (erano i mesi di Chernobyl), partecipavi a “Doppio Slalom”, improbabile gioco a quiz su Canale 5 condotto da Corrado Tedeschi, come consuetudine il conduttore chiese ai due giovani partecipanti quale lavoro avrebbero voluto fare da grandi, e tu, con quel fisico, perdonami, da linguista (da glottologo anzi), con gli occhiali spessi, la camicia a quadrettoni e la peluria da adolescente sul labbro, dicesti con tutta l’innocenza del mondo (la stessa, ahimé, che negli anni ti porterà a non voler vedere troppi orrori di questo ciclismo tanto amato): «non lo so, non ne ho idea». Tedeschi rise. Povero stolto, non aveva capito niente, e il tuo “avversario” (più stolto ancora) dalla mascella quadrata e dal fisico asciutto, che sorrideva già pregustando la facile vittoria, disse: «mi piacerebbe fare il telecronista sportivo». Sì, Auro: il delitto perfetto!
Ti ritrovai nel 2000 al Tour, finalmente prima voce, era come l’inizio di quegli amori che pensi non finiranno mai, Pantani ce la metteva tutta per mettere in crisi Armstrong: lo scatto a Courchevel, l’arrivo in solitaria e poi il Mt.Ventoux, quei due tifosi pazzi (uno in giallo e uno in rosa), evidentemente in sovrappeso, che superano le transenne e, in bici, vanno a vincere la tappa davanti ai due campioni, e tu: «no, questi due non c’entrano niente». Avevi ragione, come sempre.
Ma era il nuovo modo di fare la telecronaca che mi faceva impazzire, nei lunghi tratti “morti” della gara tu ci raccontavi la “tua” Francia, non so quante volte ho sentito «oggi ci troviamo nella regione della lingua d’Oc» (e magari si era in Normandia), e le note storiche, i vecchi castelli e le antiche dimore che si trasfiguravano, nella tua narrazione, in luoghi mitici, “assolutamente da visitare”, i personaggi che avevano fatto la storia di minuscoli paesini (l’inventore del tappo di sughero per vini, l’aviatore che aveva attraversato i Pirenei... a piedi, le imprese dei ciclisti di altri tempi che si staccavano dal gruppo per andare a rubare le mele in qualche frutteto limitrofo). E i ristoranti, Auro, i ristoranti. Nel 2004, mentre Thomas Voeckler dava ai francesi assurde speranze, sconsigliati in Eurovisione un ristorante di Tolouse: «ci avevano detto che c’era un’ottima anatra all’arancia. Non è vero niente: era pessima e i prezzi erano altissimi». A volte vi ho immaginato un po’ alticci (tu e Cassani, il tuo inseparabile compagno d’avventure), combattere i postumi del giorno dopo con un panino al Lampredotto.
Devo darti atto che, a differenza di Cassani, tu non hai mai rovinato la vita a nessuno, ti ricordi vero? In uno di quei famigerati after day, Rasmussen (detto “il pollo”) era solidamente in maglia gialla, e Cassani: «questo è un grande corridore, mentre facevo la ricognizione per il Giro l’ho trovato ad allenarsi da solo sulle Dolomiti», apriti cielo! Rasmussen aveva detto che era in Messico per sfuggire ai controlli antidoping. La notizia gira veloce, “il pollo” viene squalificato ed espulso dalla Federazione, perde milioni di euro di contratti, la moglie lo lascia e ora, come dicono gli amici di NonCiclopedia, è appostato sul Mortirolo con una mazza in attesa che Cassani ripassi da lì.
Auro, in Italia davi il meglio, lo so. Mi ricordo venti minuti di dissertazione sugli scavi di Pompei (e sui ristoranti di pesce della zona), una volta, il Giro passava per Torre Annunziata, e tu (quanto ti volli bene): «paese natale di Tullio De Mauro, il più grande conoscitore della lingua italiana». Si scherza, Auro, ma non sempre, al Nord ci raccontavi degli eccidi di civili compiuti dai nazisti, della resistenza partigiana, una volta, si passava per un paese del Cesenate dove una fabbrica stava chiudendo, come lasciarsi sfuggire l’occasione: «il nostro saluto va ai lavoratori in lotta!», ed alla via così.
Sei forse l’unico nel mondo del ciclismo, dove anche il corridore più sconosciuto ha un soprannome, a non essere mai riuscito ad inventarne uno durevole, ricordo un improbabile “lo scoiattolo” per Emanuele Sella. Già, Sella, il doping e tutto il resto, quanto ci restavi male, e non ho mai capito, quando il giorno dopo tutto tornava ad un’assurda normalità, se ti avessero detto di tacere o se l’amore per questo sport fosse talmente grande da provocarti amnesie. Ma devo dire che il coraggio non ti è mai mancato, come quando, in una tappa sullo Stelvio, leggesti senza remore una frase scritta a terra con il gesso: “La mamma di Bulbarelli è Platinette”.
Amnesie su Pantani non ne hai mai avute, hai aspettato con l’ansia di un innamorato deluso che ne nascesse un altro, «sembra di vedere Marco» non l’hai detto spesso, ma comunque non è andata bene: il primo fu Damiano Cunego, sempre il 2004, che si è poi rivelato un gran lavoratore, educato e infaticabile, uno dei pochi estranei a qualsiasi sospetto di doping, ma non quel campionissimo che si sperava, il secondo, più doloroso, fu Riccardo Riccò, talento purissimo, spaccone e vanaglorioso, miseramente caduto alla sbarra dei “controlli”, sembrano quasi due diverse Italie, Auro. Ma in fin dei conti ti piacevano i gregari, quei corridori solidi e costanti, quelli della filastrocca di Gianni Rodari:
« Filastrocca del gregario
corridore proletario,
che ai campioni di mestiere
deve far da cameriere,
e sul piatto, senza gloria,
serve loro la vittoria. »
Voigt, Hincapie, Moncoutie... i grandi delusi, i taciturni, gli Hamilton che corrono un intero Tour con la clavicola rotta (sul suo “doping” non ti ho mai sentito dire nulla, doveva fare davvero male).
Quest’anno, non sapevo sarebbe stato il tuo ultimo Giro d’Italia, a un chilometro alla fine della cronometro decisiva hai rotto la tua famigerata prudenza e, mentre le telecamere inquadravano Menchov, hai detto: «Ormai il giro è suo» e lui naturalmente è caduto dopo 30 metri, immediatamente hai cominciato a parlare degli affreschi medievali che ornano la rocca di Prato.
Ora sei dirigente, tanti tanti auguri, ma mi mancherai tantissimo, potrai finalmente mangiare girelle senza dover attendere la pubblicità. Immagino che farai ancora la telecronaca per qualche amico (contattami, ti scriverò io le note storico-letterarie, non potrei desiderare un lavoro migliore), e poi, Auro, ormai il russo Berzin, corridore dal fisico minuto, pesa più di te, i sospetti sui ciclisti sono sempre di più, depressioni, suicidi, morti sospette si ripetono con cadenza regolare, Bettini si è ritirato, dei lavoratori in lotta non parla più neanche il Tg1, la Resistenza è apertamente dileggiata, il Lampredotto provoca infarti, il vino rosso la cirrosi, Corrado Tedeschi è scomparso dai teleschermi e i gregari, beh, lasciamo perdere.
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