24 febbraio 2009

Tremate tremate i barbari son tornati


Tremate tremate i Barbari son tornati.
E Alessandro Baricco, forse inconsapevolmente, li guida: questa volta però si tratta di barbari veri, che non stanno dentro alle nostre mutazioni culturali, che non cambiano lo stesso attraverso la sfida dell’altro, ma che, lancia in resta, intendono portare una guerriglia urbana – e finanziaria – contro l’odiata – e certamente odiosa – civiltà.
Che la vogliono annichilire o, quantomeno, ricoprire di ridicolo.
Baricco, come si può intuire, non nasce guerriero impavido, ma, si sa, la Crisi che sembra avvolgerci ogni giorno di più (o di meno, dipende dalla direzione in cui va il suo côté ancora tutto postmoderno…) produce un fermento continuo e contraddittorio che potrebbe mettere le ali anche a galline e tacchini.
E, purtroppo, mettere un fucile in mano anche a placidi impiegati e a rubicondi contadini, che temono sempre più per la salute loro, ma soprattutto dei loro averi.

E così Baricco si lancia nella formidabile tenzone contro i finanziamenti pubblici alla cultura (o contro la Cultura?), sotto la forma - a dire il vero assai temibile… - delle sovvenzioni statali a teatri, festival, rassegne, convegni, fondazioni e associazioni.
Alla Lirica.
In una parola, alla malandatissima struttura della cultura umanistica, che non sta più al passo con i tempi, che il Grande Fratello manco l’ha visto passare.
Sic.

È ora di invertire la rotta, proclama Sandro Bondi, fedele scudiero del nostro. (O viceversa? …Ma non sono qua per dire che il nostro voglia così difendere degli interessi, perché, Santoro docet, sarebbe un’operazione tanto inelegante quanto controproducente…)
È ora di dare il soldo alle uniche istituzioni che hanno ancora un effetto culturale costante e tangibile sulle masse: scuola e televisione.
(…Dare fondi alla televisione? Mmm… Dare – forse s’intende questo – i fondi alla promozione culturale in televisione? Ma allora si faccia, perché si fa già, e con buoni riscontri di pubblico nonostante gli orari da incubo, del teatro in televisione. Ma allora si mantengano vivi i teatri stabili con i soldi della televisione. E il cerchio si chiude.)

Per non parlare degli effetti perversi che l’intreccio di questa scuola e questa televisione hanno avuto in questi anni: il revisionismo che si sostituisce alla pratica dello studio storico, per fare solo un (tutto sommato fulgido) esempio.

È ora di lasciar fare ai privati negli spazi in cui lo Stato non può (o non vuole) più intervenire – rincara Baricco. Certamente, e chi investirà mai in attività di poco esito come quelle da lui citate? Nelle stagioni dei teatri ex-stabili (ora precari, evidentemente), nei festival di musica contemporanea, nei convegni sulla poesia dialettale? E chi si potrà mai permettere una fruizione culturale non più calmierata ma libera di fluttuare secondo le esigenze del mercato? Il censo tornerà a fare da discrimine?

Dire di no alla chiamata alle armi del nostro mi sembra tutto sommato facile.
Ma bisogna dire anche altri no, per evitare di cadere nei paradossi di una politica culturale come quella attuale (o vecchia di poco) del nostro paese, fonte di sprechi, forse, ma sicuramente anche restia a investire in molti settori e, dov’è presente, a innovarsi.
No, nello specifico, alle battaglie di retroguardia: no al vecchio umanesimo che non conosce né tv né internet, che fa ancora distinzioni tra cultura alta e bassa (distinzione combattuta da Baricco ma poi surrettiziamente reintrodotta nel farsi della sua argomentazione), no alla difesa strenua di valori culturali elitari, se questi non sono adeguatamente rimessi in circolazione e fruiti (ma perché non pensare diversamente questo flusso, prima di tagliarlo alla radice? Questi ragionamenti ricordano più la filosofia della Tremonti-Gelmini che altro, purtroppo…).
No, per contro, alla festivalizzazione della cultura, al rendere qualsiasi aspetto della nostra vita culturale un “evento”, formula che moltiplica gli introiti ma che non crea mai i presupposti per uno sviluppo culturale sistemico e radicato nel territorio.
No, infine, alle sfide di basso profilo: la politica culturale del paese deve saper andare oltre “il bisogno di avere cittadini informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi, e di riferimenti culturali forti”. Anche perché questo non è un bisogno ma un presupposto dei regimi democratici che qui si invocano.
Se siamo già al livello del bisogno, i motivi (leggi , tra le altre cose, i tagli…) non mancano né sono mancati.

Lorenzo

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23 febbraio 2009

Oops, I did it again!

Vassilis ce l'ha fatta un'altra volta.

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13 febbraio 2009

Non siamo tutti tabaccai


Da "Liberazione" 13 Febbraio. Alessandro Dal Lago

E' la seconda volta che commercianti accusati di omicidio volontario per aver freddato dei rapinatori sono condannati per omicidio colposo, e quindi praticamente assolti. In entrambi i casi, i colpi sono stati sparati alle spalle, quando i rapinatori erano in fuga. Non conosciamo i dettagli dell'ultima sentenza, peraltro comminata dallo stesso giudice. Pare però che la colpa del tabaccaio, per i giudici, consista nell'aver sparato avendo "percepito" erroneamente la situazione. Chiaramente, la "sensibilità sociale" della giuria si è allineata con quella della destra dominante, che ha già sancito il diritto di sparare a chi minaccia la proprietà privata. Una sensibilità espressa dai leghisti che, fuori del tribunale, hanno inneggiato al tabaccaio sparatore: «Siamo tutti tabaccai». Con ciò il tribunale ha riconosciuto il diritto di uccidere anche quando non sussiste pericolo immediato di vita. Lo spirito leghista che ora soffia in tutto il paese incita a tirar fuori le armi e a sparare non appena qualcuno percepisca una minaccia alla sua roba. Una cultura, chiamiamola così, che impregna i pacchetti sicurezza varati dal governo Berlusconi. Ci sono vite che valgono e altre no. La linea della giustizia non passa più tra la vita e la morte ma tra la proprietà e la morte. Chi minaccia o è sospettato di minacciare la proprietà muore.
Personalmente, ciò che trovo aberrante non è che l'omicida vada libero, ma che simili sentenze autorizzino i cittadini a farsi giustizia da sé. Quale negoziante si farà scrupolo di ricorrere alle armi quando "percepirà" una minaccia? E un cittadino a cui magari hanno sfasciato la macchina in una manifestazione? E si noti che l'uso delle armi non ha alcun valore dissuasivo. Sappiamo da sempre che chi decide una rapina o mette nel conto i rischi o vive in una specie di sogno. Queste sentenze non faranno diminuire le rapine. In cambio, legittimano la vendetta, la volontà di punizione immediata, in sostanza la reazione di pancia della società proprietaria. La cultura della destra, e in particolare della Lega, è questa. Ronde, protezione delle frontiere dagli alieni, caccia agli irregolari, persecuzione dei marginali. Non protezione assoluta della vita, come vogliono farci credere untuosamente i cattolici, veri e finti, al governo, ma difesa di una certa idea teorica di vita e insieme furore contro coloro che minacciano, con la loro esistenza o con i loro atti, la proprietà.
Questa non è una sentenza che assolve di fatto un omicida. E' una dichiarazione a lettere di fuoco della preminenza della proprietà su qualsiasi altro principio giuridico o etico.

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