04 novembre 2008

In nome del popolo italiano

[Vi giro l'editoriale di Gian Maria Tosatti dall'ultimo numero di Differenza, settimanale online di cultura. Paolo]

«Pay attention! Movimento Irrappresentabile». È questa la frase che pare aver suggellato la guerra d’indipendenza delle nuove generazioni contro le vecchie. E non è una questione anagrafica, quanto di pensiero. Accanto agli studenti questa volta ci sono i loro padri. Accanto ai loro avversari, i politici, ci sono i movimenti politici giovanili. La guerra non è dunque fra giovani e vecchi, ma fra chi pensa nuovo e chi pensa a se stesso, ossia a mantenere lo status quo.
E per una volta Famiglia Cristiana parla davvero a nome di tutti sconfessando questa finanziaria e i relativi decreti (leggi Gelmini e affini) affermando con un candore da chierichetti che il re è nudo e che non è credibile un governo che taglia i fondi per la ricerca, ma trova miliardi per salvare le banche, per mantenere Alitalia e lasciare intatti i privilegi dei parlamentari. Non è credibile un governo che per operazioni di suo interesse tratta fino allo stremo delle forze e che sulla scuola lancia dictat per decreto e li approva a botte di fiducia parlamentare dichiarando inutile il confronto con le parti sociali.

Gli studenti allora vanno in piazza. Ognuno a modo suo. In maniera talvolta confusa, ma sono i primi passi. Non è ancora tutto chiaro, non è ancora abbastanza chiaro che non bisogna rispondere alla violenza, ma qualcosa lo è in modo nettissimo: niente politici, niente strumentalizzazioni, questo movimento nasce per difendere i diritti di tutti, degli irrappresentati. Ed è appunto questo a costituire la spaccatura vera: la politica dei partiti, tutta, con buona pace anche di Veltroni che in questi giorni si sbraccia come può, non è più “deputata” a rappresentare gli interessi del paese. Di quel paese nuovo che vede l’Europa allontanarsi e che ha deciso di rompere l’immobilità e iniziare la marcia per raggiungerla.

È una marcia di cortei, una marcia di pensieri e di parole. È una marcia “contro l’Italia”. Ed è così che dev’essere, giacché oggi un cambiamento vero in questa periferia dell’impero non può venire che dal basso. Dal popolo sovrano. Dalle molte individualità che confluiscono ed iniziano a lavorare per realizzare una Controriforma.

Se tale intento vuole realizzarsi davvero, allora gli studenti dovranno iniziare a rilanciare, a pensare sempre più in alto, a parlare sempre di più, a dichiarare qual è il paese in cui vogliono vivere. Gli studenti di architettura progettino, gli studenti di legge propongano, quelli di lettere scrivano sui giornali e su internet. Creino una energia che vada ad unirsi a quella parte consapevole di italiani che da tempo sono mobilitati per costruire un’alternativa ad un futuro già scritto e reso ineluttabile da altri.

È una nuova coscienza popolare l’occasione che si affaccia in questa crisi. Un’occasione che non dev’essere perduta. Un’occasione per cambiare gli italiani.

Ma appunto per farlo è necessario evitare ogni strumentalizzazione, evitare di rientrare nei ranghi indecenti delle vecchie categorie, di un bipolarismo fasullo o peggio ancora di una pilotata rissa fascio-comunista. Perché ciò non avvenga la questione è: quanto siete disposti a marciare? Perché quelli che marciano assieme agli studenti (i potentati universitari, ma soprattutto i politici), non smetteranno di marciare, perché marciare è il loro mestiere. Quando gli studenti si fermeranno, perché saranno stanchi o perché penseranno ad altro, gli altri raccoglieranno i frutti della loro fatica abbandonati nelle piazze vuote. È andata sempre così. Senza ipocrisie, è palese che l’università prima della Gelmini fosse già in rovina, perché, quando gli studenti hanno fermato le loro marce degli anni passati, i politici e i baroni, una volta rimasti soli nella gestione ne hanno sempre fatto quello che volevano. Ma oggi la questione va ribaltata. È vero che marciare è il lavoro dei politici, ma i giovani hanno gambe forti. Possono e devono marciare più a lungo degli altri. Devono stancare tutti. Devono sfinirli e farli fermare. Allora saranno gli studenti a raccogliere i frutti e ad andare oltre, oltre l’università, oltre il paese, incontro all’Europa. Ma, per intanto, marciare. Ad oltranza, pretendendo dall’università che funzioni dal di fuori (cioè a livello legislativo), ma che funzioni anche dal di dentro (opponendosi ai concorsi truccati di questi giorni con la stessa decisione e con lo stesso diritto con cui ci si oppone alla Gelmini). Bisogna muoversi contro l’Italia, non contro un governo che ne è solo il fantasma dell’anima. Non basta fermarsi, fermare tutto per opporsi. Bisogna fare, strafare, costruire cose che gli altri non possano distruggere. Bisogna muoversi contromano e trascinare con sé tutto il resto se vogliamo che il destino torni nelle nostre mani.



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