19 giugno 2007

Questione morale

(Premessa: questo non vuole essere un pezzo "giornalistico", non ne ha le prerogative né il rigore. Giusto una riflessione, qualche domanda, partendo da informazioni onestamente parziali).
Leggendo i giornali e guardando le tv, ci si accorge che il termine "casta", riferito alla politica italiana, è ormai bello che sdoganato. Riporto dal Dizionario Garzanti online: "1 gruppo sociale chiuso, in cui norme giuridiche e religiose vietano la mobilità dei membri verso altri gruppi: la popolazione indiana è divisa in caste. 2 (fig. spreg.) categoria sociale o professionale che si mantiene chiusa e compatta nella difesa dei propri interessi e privilegi: la casta dei politici". Forse qualcuno lo aveva già usato prima a questo proposito, ma mi sembra che sia dalla recente pubblicazione del libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, La casta appunto, che si è cominciato a impiegarlo correntemente per descrivere il gruppo politico dirigente. La dice lunga anche questa facilità e rapidità di diffusione del termine. Il libro non l'ho letto, ma immagino facilmente che vengano descritte le scorrettezze di uomini politici appartenenti a tutti gli schieramenti. Se prima, con Berlusconi, le leggi vergogna erano assolutamente coerenti con la storia "politica" del personaggio, ultimamente invece anche la sinistra, quella della tacita ma tanto vantata superiorità morale, è stata pescata con le mani nella marmellata e per di più incontra maggiori difficoltà nel difendersi, o, se non altro, manca di quella sfacciata abilità nel negarsi. Le intercettazioni riguardanti D'Alema e Fassino (penalmente irrilevanti fino a prova contraria, ma politicamente e moralmente pesanti) o il caso Visco, non sono che l'ultima di una serie di porcherie in cui anche la sinistra si trova ormai a sguazzare. Quella sinistra che dovrebbe essere diretta erede della famosa "Questione morale" e che invece se ne sta allontanando a grandi falcate, avverando i timori di un presago Berlinguer che nel 1981 dichiarava: "Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti. [...] Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude". Insomma, chi fino all'anno scorso predicava la morale contro la barbarie berlusconiana, si ritrova ora e giustamente sul banco degli accusati (non che i governi di centrosinistra precedenti al 2001 siano esenti da colpe, vedi caso Telecom).

Questo in Italia. Come scrivevamo amaramente qualche post fa (e come ci ricorda anche l'Intermezzo escatologico), noi purtroppo ci siamo abituati. Allora faccio un salto in America Latina, in casa di altre sinistre: butto sul tavolo altri elementi, magari provocatoriamente, magari forzatamente, per cercare di evidenziare punti comuni (la parola d'ordine deve rimanere però "mutatis mutandis"). Penso ai tre alfieri del rinnovamento sociale sudamericano, le cui vittorie elettorali hanno fatto sperare nella possibilità di un reale cambiamento democratico del continente: Lula in Brasile, Chavez in Venezuela e Morales in Bolivia. Sintetizzo brutalmente: tutti e tre socialisti, provenienti dagli ambienti popolari, due di loro, Chavez e Morales, addirittura di origini indigene, Lula sindacalista ed ex-operaio, tutti in aperta rottura con gli ambienti tradizionali anche dal punto di vista dell'immagine; insomma tre personaggi apparentemente esenti da sospetti di casta, anzi, tre veri e propri outsider. Non conosco nel dettaglio le rispettive condotte politiche, ho fatto qualche ricerca specialmente sul presidente venezuelano e sono rimasto piacevolmente colpito da alcuni suoi aspetti (a questo proposito è stato molto utile l'ottimo lavoro di Carmilla, in particolare quello di chiarificazione della strana faccenda di RCTV, che la stampa mondiale ha unanimemente bollato come atto dittatoriale e che vi consiglio di rivedere). In ogni caso sono convinto che il pubblico di sinistra o altermondista globale, nutrisse grandi aspettative sui tre leader, benché conscio della difficoltà del compito e dell'opposizione dei potentati economici che hanno affossato il Sudamerica. Tuttavia vado su wikipedia e dintorni e cosa vedo? Che tra le azioni politiche più o meno riuscite, spiccano però delle cadute etiche assolutamente sorprendenti: il governo brasiliano pesantemente coinvolto in un giro di corruzione diffusa e servilismo economico con il partito del leader che ha totalmente cambiato faccia, Chavez che ha aumentato del 1500% le spese di Palazzo Miraflores, sede del presidente ( "1000 dollari al giorno solo per preparare i pasti di Chavez, 2 milioni di dollari per i ricevimenti a Miraflores, 250 mila dollari per i vestiti e le scarpe di Chavez, 40 mila per i suoi profumi, 5 milioni di dollari l'anno per i suoi viaggi") e che ha piazzato tutti i membri della sua famiglia in sedi di rilievo, Morales che ha addirittura proclamato la sua casa natale monumento nazionale. Ora, non voglio, non riesco, ad ignorare la bontà di alcune delle iniziative prese da questi governi: mi vengono in mente la proposta di riconoscere la proprietà sui terreni delle favelas ai loro abitanti (non so se questa, come le altre, sia stata poi davvero messa in atto) in Brasile, l'allargamento del voto agli indigeni e la lotta all'analfabetismo in Venezuela, il raddoppiamento del salario minimo in Bolovia e in generale la nazionalizzazione delle risorse naturali a beneficio della popolazione e in chiave anti-imperialista. Ma perché anche gente come questa, gente del popolo, non politici di professione, gente che ha scontato sulla propria pelle il disagio delle popolazioni sudamericane, una volta raggiunte le stanze del potere viene avvelenata a questa maniera? Possibile che anche la loro etica sia così debole? Che in occidente, in Italia, un fighetto e "politico di professione" come D'Alema ci caschi mi stupisce ormai poco, ma Morales, Chavez, Lula? Perché, perché pure loro?
Ho fatto confusione? C'è qualcosa che non ho capito? Sono disinformato, o solo ingenuo? Aiutatemi a capire, anche, spero, attraverso sonore smentite.

Paolo

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1 Commenti:

Alle 6/20/2007 12:14:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

l'indignazione? veramente è talmento tanto tempo che mi indigno per queste cose che la vera domanda secondo me è: "perché adesso"? perché solo ora gli italiani si sono scoperti popolo capace di indignarsi per lo schifo della politica? perché hanno scoperto ORA "la casta", quando dal dopoguerra ad oggi le cose hanno sempre funzionato così? Perché gli stessi che passavano senza batter ciglio sopra ogni più atroce magagna di berlusconi mostrando, lì sì, il tipico fatalismo italiano, ora improvvisamente si indignano per l'amoralità della politica? purtroppo ho un sospetto in merito.
l'italia è un paese di evasori fiscali. per la prima volta si è subodorata aria di tasse anche per i miliardari che dichiarano ventimila euro all'anno (revisione degli studi di settore ecc.. ricordate?). così il popolo italiano ha finalmente trovato unità di intenti, ha trovato il punto di incontro, in cui il buon artigiano, l'ottimo professionista, e l'onesto commerciante possono lottare insieme: non toccategli la loro evasione!!!

 

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