Quando la camorra reagisce al testimone
Oggi Repubblica.it ha pubblicato un articolo riguardante Roberto Saviano. Lo scrittore napoletano, autore del romanzo/inchiesta Gomorra (la definizione è certamente riduttiva, ma resta la più comoda nel contesto di queste poche righe), è infatti stato oggetto di ripetute minacce da parte della camorra. Di fronte a questa notizia, facilmente e comodamente relegabile nel ristretto settore della cronaca (quando in realtà investe completamente quelle che sono le strutture di base dell'intera nostra società), ho pensato di testimoniare il senso di riconoscenza verso Saviano - questo il primo sentimento provato dopo la lettura del suo libro - ricordando le parole con cui Tiziano Scarpa parla dell'autore di Gomorra. Inoltre queste righe, per quanto ciò possa valere, vogliono anche essere espressione di solidarietà nei suoi confronti.
«L'io nel libro di Saviano è coinvolgimento profondo, totale, è strumento di conoscenza, è assunzione di responsabilità delle proprie parole, è motivazione autobiografica che spinge a indagare e capire. È storia personale non interscambiabile con quella di nessun altro. È persino esibizione fiera della propria faccia in quarta di copertina, a muso duro, gesto simbolico e politico che incarna il testimone, disposto a difendere le proprie parole con tutta la persona. L'io in Gomorra è l'istanza irriducibile della testimonianza, che è fatto e parola, è esperienza vissuta e non solo talento narrativo astratto. Il valore semplice e potente della testimonianza, sulla quale tanto insisteva Primo Levi. L'umile, e inflessibile, e eversiva arma dell'io.»
Etichette: Resaca
16 Commenti:
Incuriosito e interessato dal post di Vittorio sono andato a cercare notizie su Saviano. Sul sito della WuMing Foundation ho trovato i file sonori di una presentazione di Gomorra a Bologna. Ciò che più mi ha colpito, oltre alla vergogna per la scoperta di far parte della lunghissima lista di italiani, ed europei, assufetti dal ritornello mafia=sud, è stato il discorso sul rapporto con la morte dei giovani camorristi. Mi ha ricordato una frase di Alvaro Mutis, dalla sua saga di Maqroll il Gabbiere (cito a memoria): "La familiarità con l'andar morendo come compito essenziale di ogni giorno". Per cui se l'aspetto più vergongoso della realtà camorrista è l'assoluta indifferenza di cui godono i suoi traffici criminali imprenditoriali, quello più tragico mi è sembrata la resa dei giovani campani ad una vita breve, colpevole e violenta.
piccolo OT: non so a voi, ma a me gli RSS del blog non funzionano. Su Blogger funziona il protocollo Atom, ma c'è anche indicata la possibilità di utilizzare lo standard RSS tramite FeedBurner che se ho capito bene è gratuito. Procediamo?
raccolta di firme organizzata in rete per dare a Saviano un piccolo segno di solodarietà e di affetto. la trovate all'indirizzo www.sosteniamosaviano.net
Come saviano stesso ricorda nella presentazione di Gomorra alla feltrinelli di bologna, quando dalle nostre parti ti permetti di fare quello che ha fatto lui, "ti fanno come uno shanghai", via un bastoncino dopo l'altro finché non resti solo.
oggi ho letto che l'hanno messo sotto scorta. Ma la sua "scorta morale" dobbiamo essere noi.
achille
Avevo suggerito qualche tempo fa a mia madre di leggere Gomorra. Passando qualche giorno fa in libreria aveva notato diverse copie ma aveva rimandato l'acquisto. Ci è tornata ieri, casualmente, poco dopo la notizia della scorta a Saviano. Tutte le copie erano finite. Non so bene cosa pensarne.
Cosa dire? Senz'altro la risonanza mediatica sortisce come effetto immediato quello di far impennare le vendite. È probabile che in certi casi la cosa sia determinata semplicemente da un positivo interesse abbinato al desiderio di conoscere meglio una questione. In tanti altri casi si può invece immaginare una motivazione morbosa e feticistica alla base di questo comportamento. Ciò non toglie che poi, fino a quando un buon libro viene venduto, può sempre succedere che ci sia una persona in più a leggerlo. E fin qui tanto di guadagnato. Ma a questo punto il problema si divide in due principali aspetti: da un lato il piacere derivante dal successo commerciale di un'opera che si giudica positiva; dall'altro la sensazione che sul piano sociale rimangano "dannose" le motivazioni che hanno condotto all'acquisto (perché qui di questo si parla, meglio lasciare da parte la fruizione). Un caso di questo tipo ha numerose similitudini con le vendite di libri in edicola (sul piano del feticismo è emblematico il caso dei Meridiani abbinati ai tabloid facenti capo a Berlusconi) o tramite posta (penso ad esempio all'attività de "Il Circolo" di Dell'Utri).
La questione è senz'altro complicata, e queste poche note di certo non la esauriscono. Mi resta solo da dire che ad essa si può associare anche una rapida riflessione sull'impennata di vendite di un'opera subito dopo la morte del suo autore. Qui però, a mio avviso, è più facile trovare una soluzione: si può infatti ragionevolmente sostenere che l'acquirente proietti un valore superiore sul prodotto di un defunto, effettuando inconsciamente una sostituzione di valore su di esso (in senso marxista ciò vuol dire che si punta maggiormente sul valore di scambio rispetto a quello d'uso).
Hai delineato esattamente i due poli tra i quali oscillava il mio giudizio: gioia per l'incremento della diffusione di un'opera importante, tristezza per le motivazioni che hanno portato a tale incremento.
Ho letto l'articolo segnalato da Vitttorio. mi spiegate perché la Iervolino ha detto quelle stronzate?
Una spiegazione valida? Mettiamola in questi termini: recentemente la Iervolino ha assunto un atteggiamento di strenua difesa della sua bella Napoli, forse perché troppo influenzata dal detto secondo cui “ogni scarrafone è bell' a mamma soia”. Ricordi quanto è successo in seguito alla puntata di Anno zero del 21 settembre Napoli e legalità? La Iervolino reagì duramente contro Santoro, annunciando anche la possibilità di una richiesta di risarcimento. Un comportamento simile ricorda molto quello delle reazioni di Cuffaro alla puntata di Report sulla Sicilia, e pertanto rientra a mio avviso in una logica di comportamento assolutamente mafiosa. D’altronde, la frase più ricorrente che è possibile sentir pronunciare da un mafioso è che “la mafia non esiste”. Va da sé che da campano profondamente legato alla città di Napoli, una simile tenuta istituzionale mi colpisce in maniera molto personale.
figurati, alla sua "bella napoli" ormai ci crede solo lei e qualche pizzaiolo magrebino che continua a chiamare così la sua pizzeria. la iervola è un fantoccio nelle mani di bassolino -che aveva bisogno di un personaggio del genere per continuare a comandare. ma a questo punto vorrei invocare un qualche commento del carlodilieto...
Tra i flash del Corriere della Sera on-line c'è un lancio Agr che potrebbe interessarvi.
Ancora Roberto
Nell'ultimo [quasi Giap] (per chi non lo sapesse: newsletter dei Wu Ming) si parla di Saviano, di "Saviano" e di desavianizzazione. Allego i frammenti interessanti tratti dai commenti di Wu Ming ai post di Lipperatura:
ROBERTO SAVIANO E "ROBERTO SAVIANO"
Diverse persone ci hanno scritto e chiesto di trasmettere la loro solidarietà a Roberto Saviano, per le minacce e le pressioni subite, per gli eventi che hanno impresso una nuova direzione alla sua vita. Alcuni ci hanno chiesto di diffondere appelli, mandare comunicati di solidarietà, dedicare a Saviano un numero di Giap.
In realtà nei giorni scorsi, seguendo la vicenda e il modo in cui i media la riportavano, noi - e non soltanto noi, ma anche singoli e gruppi più vicini a Saviano - abbiamo maturato una posizione particolare, fortemente solidale ma eterodossa rispetto al culto ufficiale della solidarietà. WM1 e WM3 l'hanno espressa in alcuni commenti sul blog Lipperatura, altri le hanno articolate in testi meno estemporanei o in mail private. Qui riproponiamo alcuni frammenti di discussione, e in calce segnaliamo alcuni interventi più coesi e ponderati.
FRAMMENTO 1, WM1 su Lipperatura, 14/10/06, h.21:09:
Quando ho letto l'articolo de "L'Espresso", mi è corso un brivido lungo la schiena. Quando ho visto il disgraziato servizio del TG1, ho provato terrore.
Perché? Perché ritengo che ogni ulteriore "spettacolarizzazione" di Saviano come personaggio sia pericolosissima.
Ho già detto come la penso: la cosa non sarebbe dovuta uscire in questo modo, perché il clamore fa più male che bene.
Più si puntano i riflettori e si indica Saviano come candidato al martirio, più aumenta il rischio [...] in questi casi "la solidarietà dell'opinione pubblica democratica" non è un deterrente, viene espressa su un livello non comunicante con la cultura di strada che "Gomorra" descrive. Questa cultura è impermeabile ad appelli, petizioni e cose del genere, mentre è molto suscettibile alle *sfide*. Saviano che viene intervistato per strada al TG1 è una sfida. Le cose possono andare fuori controllo in qualunque momento, e spero di essermi fatto capire: rileggiamo le parti di "Gomorra" sulla normalità della morte e gli occhi vuoti dei ragazzi di Sistema.
Per questo, vedo il rischio che le buone intenzioni lastrichino la via dell'irreparabile, si traducano in un "Saviano muori per noi", e qualcuno si muova - dal basso - per esaudire questo desiderio.
Credo che, mai come in questo momento, sia imprescindibile porre l'opera dinnanzi all'autore. Credo che sia - letteralmente - vitale spostare l'attenzione dal personaggio al libro.
FRAMMENTO 2, WM1 su Lipperatura, 16/10/06, h.17.14:
Il problema è che si continua a non parlare di camorra, di quel che "Gomorra" descrive, di chi ancora si oppone a quei poteri. Si parla troppo di Roberto Saviano (anzi: di "Roberto Saviano"). Non capendo (ma per fortuna qualcuno che lo capisce c'è) che il modo migliore per tutelare il Saviano reale e in carne-ed-ossa (e non la sua statua in cera prematuramente esposta al museo dei Grandi Autori) sarebbe far vedere che lui non è solo su quel territorio, che non c'è soltanto lui.
La lettura di "Gomorra" dovrebbe spronare ad andare oltre, a interessarsi di quel che succede in quel mondo, a leggere (per fare un nome) "La voce della Campania", a fare il possibile per diffondere certe voci.
Sottolineare le peculiarità di "Gomorra" è stato importante, ma adesso bisognerebbe porre l'accento su quel che "Gomorra" ha *in comune* con tutto quello che si muove, con fatica, in situazioni difficilissime.
Che almeno i problemi di Saviano siano lo stimolo a conoscere, ad approfondire, a essere coinvolti.
Liberare Roberto Saviano da "Roberto Saviano". Desavianizzare "Gomorra".
[N.d.WM1: il verbo "desavianizzare" è apparso per la prima volta in uno scambio di mail tra gli animatori del blog Nazione Indiana. L'espressione utilizzata era "desavianizziamo Saviano". Mi è parso che il concetto si potesse esprimete meglio cambiando l'oggetto, perché l'azione deve avvenire sul libro.]
FRAMMENTO 3, WM1 su Lipperatura, 16/10/06, h.21.45:
Sul servizio del TG1 dell'altro giorno. Bisognava vederlo, per capire cosa intende dire chi ne è rimasto turbato (e il commento di Saverio Fattori nel thread di ieri mi ha confermato che non aveva turbato solo me).
Le riprese erano all'aperto e autore e giornalista sembravano andare a passeggio per le vie l'uno accanto all'altra, quasi a cazzeggio. Immagine molto stridente con le parole che venivano dette: di solito i servizi su uno che rischia la vita si girano al chiuso, o comunque con maggiore attenzione ai messaggi che possono dare i corpi e i visi.
Il montaggio delle frasi di Roberto era approssimativo, non c'era alcuna coerenza del messaggio, non si capiva se la volontà era amplificare o minimizzare. [In questo rifletteva la comprensibilissima confusione di Roberto stesso, e vorrei vedere chiunque al posto suo.]
Il tutto dava un'impressione desolante e al tempo stesso spaventosa. Roberto appariva solo come un cane di strada e, soprattutto, appariva *allo scoperto* (mancava soltanto la famosa maglietta punk "Please kill me").
La giornalista, invece, appariva non troppo partecipe, quasi "spensierata".
Insomma, era una cosa all'incrocio tra lo scegliere il voyeurismo morboso ("Venghino a guardare il minacciato di morte!"), la sfida ai clan ("Visto? Gira per strada come niente fosse!") e il prendere sottogamba la situazione ("In fondo cos'è successo? Siamo qui a passeggiare").
Non dico mica che fosse intenzionale, è un problema di sintassi del mezzo televisivo.
Sui giorni a venire. Io credo esistano tanti mondi nella vastissima "terra di mezzo" tra anonimato e spettacolarizzazione dell'autore, tra invisibilità e culto della personalità, e all'interno di ciascuno di questi mondi vi sia spazio per mille strategie comunicative, e all'interno di ciascuna di queste strategie vi sia spazio per mille tattiche. Non si può pretendere né che di queste cose si faccia carico Roberto, né tantomeno che le uova strapazzate possano tornare crude e rientrare in un guscio nuovamente integro.
Ma almeno evitiamo l'evitabile, cerchiamo di non diffondere ulteriormente il virus concettuale, il "meme" di Roberto-Saviano-nostro-candidato-al-martirio. E attenzione, è un meme che precede queste minacce, era già in circolazione da tempo, solo che gli ultimi eventi hanno ulteriormente abbassato le difese immunitarie del discorso pubblico.
Testi meno estemporanei sulla "desavianizzazione":
Marco Alderano Rovelli, Una modesta proposta
(in apparenza non c'entra, ma c'entra: Rovelli è autore di un libro sui CPT che si chiama Lager italiani, BUR Rizzoli, 2006. Consigliamo di leggerlo)
Nicolò La Rocca, Ritorno a Gomorra
Paolo S., riflessione spedita a Lipperatura
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