La città del pensiero
Come proseguimento del discorso sul postmoderno avviato nel numero 3-4, la rivista Tabard uscirà nel mese di novembre con un monografico sul tema della città. Nell'attesa vogliamo fornire ai lettori un'anticipazione degli argomenti di discussione del prossimo numero tramite la pubblicazione dell'articolo di Ezio Puglia La città del pensiero.
«Se volete andare verso il mondo della politica,
seguite la strada maestra, seguite quel mercante
e la polvere dei suoi passi vi condurrà direttamente ad esso.»
H. D. Thoreau, Camminare
«Io sono l’isola.»
J. G. Ballard, L’isola di cemento.
Prendere la parola sul tema della città è compito arduo e la sterminata quantità di pubblicazioni che la riguardano un passato estremamente ingombrante. Poiché sarebbe delirante l’aspirazione a pantografare la fenomenologia urbana, ci proponiamo di sceglierne un aspetto cardinale (almeno quanto i concetti nominali lo sono per l'astrazione) e individuiamo questo aspetto nella via di comunicazione. E beninteso, ciò senza alcun ammiccamento a una qualsivoglia eccellenza disciplinare, ma per delle ragioni ben precise e assolutamente parziali.
Anzitutto, è soltanto da questa precisa posizione prospettica che ci prendiamo la licenza di inarcare dei ponti fra aspetti eterogenei di un fenomeno quanto nessun altro caleidoscopico.
In secondo luogo la via e gli strumenti della comunicazione sono strettamente correlati sia con la nascita che con la crescita urbana e ciò non soltanto sul piano materiale, ma anche sul piano immateriale: forse la più grande espansione che ha interessato la metropoli a spese del territorio non metropolitano nell’ultimo secolo è proprio quella nell’ambito culturale e subculturale. Stiamo parlando dell’urbanizzazione e della “omologazione” del mondo alla cultura urbana, dello sradicamento della cultura rurale ad opera della mediatizzazione massificata(1).
I mezzi di comunicazione di massa avrebbero un fine comune: «imprimere il marchio dell’autenticità e del valore al modo di vivere che emana dalla metropoli». E, in ultima istanza, «l’obiettivo finale di questo processo è una popolazione unificata, omogenea, standardizzata, modellata sulla metropoli […] a vantaggio di un’economia continuamente in espansione» [Mumford].
È come se nell’epoca post-coloniale, un nuovo tipo di colonialismo, forse più subdolo ma altrettanto violento, interessasse la sovranità del pensiero, mirando ad abbattere l’indifferenza culturale alle illusioni capitaliste. Forse a questo punto è il caso di precisare il significato della parola metropoli: la metropoli è “la città madre”, la matrice rispetto a dei territori coloniali. Vi è nell’intimo stesso della metropoli una continua tensione a superare i propri confini ed a tracciarne di nuovi, in una continua danza di ridefinizione del mondo fisico, ma anche delle stesse categorie di spazio e di tempo.
Il potere imperiale della metropoli, la sua capacità di controllare e superare i propri confini, di estendere la propria influenza, di imporre le proprie priorità è direttamente proporzionale alla sua efficienza tecnologica nei trasporti di truppe, di beni, di informazione: dunque velocità di trasferimento e potere di controllo appaiono collegati da un forte filo logico di cui la storia testimonia la saldezza.
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2 Commenti:
Oggi a Parigi è cominciata un'esposizione GRATUITA all'Hotel de Ville (il nostro Municipio) sul celebre fotografo francese Robert Doisneau (quello del bacio o dell'ombrello sul contrabbasso per intenderci...) intitolata Paris en liberté. Ci si trova una città sparita, una città fatta di facce e gesti, di ombre e di respiro, una città piena di spazi, di spazi per la gente, resi tali dalla gente. C'è una piccola sezione di foto d'architettura, genere molto poco frequentato da Doisneau, in cui ne spicca una intitolata Anarchitecture: si vede un vecchio palazzo popolare tipicamente parigino nelle forme e nelle decorazioni sovrastato sullo sfondo da un nuovo mostro bianco, specchiato, piatto, pieno di uffici. La citazione di Doisneau che accompagna la sezione, e che mi è sembrata molto adatta al nostro argomento, è la seguente (la traduzione, ahivoi, è mia):
"Tutte queste agenzie bancarie, tutti questi palazzi di vetro, tutte queste facciate di specchi sono la cifra di un'architettura del riflesso. Non si vede più ciò che accade dagli altri e si ha paura dell'ombra. La città diventa astratta. Non riflette che se stessa."
Riporto (anche per risollecitare l'attenzione a questo post che è stato malauguratamente dimenticato, sia sul blog che sul sito) il link ad un'intervista di Valerio Evangelisti a James Ballard ospitata su XL e segnalata da Lipperatura. Ci si trovano interessanti riferimenti al nostro argomento centro-periferia e ad una visione del futuro piuttosto inquietante.
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