08 gennaio 2008

Una poesia di Sereni


Altro posto di lavoro

Non vorrai dirmi che tu
sei tu o che io sono io.
Siamo passati come passano gli anni.
Altro di noi non c’è qui che lo specimen
Anzi l’imago perpetuantesi
A vuoto -
E acque ci contemplano e vetrate,
ci pensano al futuro: capofitti nel poi,
postille sempre più fioche
multipli vaghi di noi quali saremo stati.


È vano sforzarsi di intuire nella memoria. Nella memoria non si dà intuizione della cosa. In Sereni è attraverso la gioia che si arriva all’intuizione della realtà, alla conoscenza dell’oggetto dell’amore, che però può darsi solo nel rovescio della realtà, nel suo negarsi alla memoria, che tenta di riportare la realtà in presenza.

La memoria dunque impedisce la realizzazione della gioia, impedisce di intuire la vita, cancella il passato, lo consegna definitivamente alla morte. Ma allora è proprio essa, in questo suo negare l’intuizione immediata, a renderla possibile nell’atto della perdita (mediata cioè dalla perdita). La memoria si trova così ad essere l’origine e la negazione della possibilità del rapporto con l’altro – il che vuol dire impossibilità di intuire, di congiungersi con la vita (nella sua più alta figurazione con la Storia – mancata guerra partigiana). Eppure solo in questa negazione, egli può di nuovo esperire il rapporto con l’altro, nel negarsi stesso del rapporto. È una sorta di circolo ermeneutico invertito.

Ma il nulla che compare nel ricordo, straripa anche nella realtà (le toppe solari). La memoria non è che un divenire cosciente del rapporto immediato del soggetto con il mondo. Una volta fatta l’esperienza del nulla del ricordo, quello stesso nulla invade il rapporto con il mondo anche al presente e al futuro (ecco il senso della poesia riportata sopra).
Così compaiono queste falle di nulla in mezzo all’apparenza del reale. Sì, le toppe solari, ma più ancora il segno sul gradino in posto di lavoro (di cui altro posto di lavoro può essere intesa come logica conseguenza), ed ogni tipo di fissità che di tanto in tanto irrompe nell’apertura del mondo.

E ovviamente, perduta la consistenza del reale, il nulla si rivolge, da ultimo, anche al soggetto, allo “scriba” che inizia ad assumere tratti spettrali. In questa direzione va la raccolta Stella variabile: il male il nero il nulla: l’evanescenza, la sparizione di ogni possibilità intuitiva segnerà l’ultimo atto di un dramma la cui tragicità consiste nell’inghiottire progressivamente nel buio i propri “personaggi”: la Storia, la memoria, il mondo, l’io.

Achille


Etichette:

1 Commenti:

Alle 1/10/2008 04:30:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

[toppe alza la manina]
...prof! Ho una domanda! Anzi ne ho diverse...
[achille si mette le mani nei capell.. ops, beh insomma... :P ]

- La questione della gioia mi è oscura: in che senso "attraverso la gioia che si arriva all’intuizione della realtà"?

- E acque ci contemplano e vetrate. E acque ci contemplano e vetrate. Sarà il mio mantra di stanotte, ma devo capire cosa significa. Suggerimenti?

- Vaghi. Multipli vaghi: indefiniti o desiderosi (di noi quando saremo stati, quando saremo ricordo)? Forse entrambi.

Non dissezionerò il resto del tuo commento, in stile così oscuramente tabardiano, anche perché il mio mononeurone si è alzato alle tre del pomeriggio ed è piuttosto rincoglionito.
S'intende che non devi rispondere, era solo per darti un saggio della mia pedanteria ^^

I miei più poetici omaggi alla redazione tutta

Toppe

 

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page