06 dicembre 2007

Storia di Tabard. Parte prima: le origini umbro-elvetiche

La storia della nascita della nostra rivista è intrecciata con la storia della città di Perugia.

Anche se in realtà comincia molto lontano dall’Umbria. Alcuni anni fa io e altri amici ci trovavamo in una situazione piuttosto difficile, avevamo disertato dalla visita dei tre giorni per il servizio militare, e ci eravamo rifugiati in un caseificio di un paesino lombardo al confine con la Svizzera, Porto Val Travaglia.

Qui ci trovammo casualmente coinvolti in una manifestazione piuttosto violenta, organizzata da dissidenti elvetici e fuoriusciti italiani, per impedire il rientro dei Savoia nel nostro paese (era l’epoca dell’inciucio monarchico ordito da Berlusconi). La manifestazione era stata organizzata da un poeta ticinese (italiano per parte di nonna materna), che poi sarebbe diventato il nostro padre spirituale e il leader delle nuove brigate infrarealiste italiane, di cui Tabard fu in seguito la rivista ufficiale.

Questo poeta, filosofo, e romanziere (che, per inciso, è stato anche nazionale svizzero di sci) si chiamava Benjamino Merumeni. A quell’epoca Benjamino rimproverava ai Savoia di aver contribuito alla perdita dell’innocenza elvetica (tra l’altro, Perdita dell’innocenza elvetica è il titolo del suo primo poema dedicato alle sventure dei discendenti di James Joyce).

Gli scontri durarono un giorno e una notte, Benjamino era all’epoca un sostenitore della massa corporea come arma spirituale, e così le forze di polizia di confine non riuscirono a disperderci e furono costrette a porre un lungo e difficile assedio al caseificio dove in pochi irriducibili ci eravamo asserragliati. Alla fine negoziammo il rientro nei nostri paesi nativi e l’immunità processuale, e ci separammo con la promessa di rivederci a breve per organizzare nuove forme di resistenza.

Dopo mesi ci arrivarono notizie riguardo la presenza di Benjamino sul suolo italiano; si diceva si fosse fatto arrestare in una manifestazione dei K.U.H. (Kommandos Ultrafemministi Helvetici) in un bordello di Mendrisio, e fosse poi fortunosamente evaso. Venimmo a sapere che il Merumeni stava organizzando un nucleo infrarealista nella città di Perugia, dove aveva ottennuto un sussidio di ricerca presso la cattedra di teologia (Benjamino si era laureato summa cum laude con una tesi sull’assimiliazione della teodicea negli stili di vita transumanti degli allevatori del Canton dei Grigioni).

Così ci recammo nel capologuo umbro dopo un viaggio a piedi attraverso l’appennino (a quell’epoca ci eravamo nuovamente dati alla macchia, in quanto disertori dal servizio militare di leva - perché, a causa degli scontri con la polizia in occasione del rientro dei Savoia, non avevamo potuto accedere all’obiezione di coscienza). Dopo una ricerca di vari giorni, scovammo finalmente Benjamino ed entrammo nel nuovo gruppo infrarealista che aveva da poco fondato.

Fu allora che decidemmo di dare vita ad una rivista che fosse organo ufficiale del movimento. Ma il nostro padre spirituale impose che il nuovo periodico non fosse mai scritto su carta (che secondo lui era una delle principali cause di corruzione della letteratura moderna), ma solo incisa a mano sulle sfoglie della torta al testo (tipico piatto perugino), in modo da recuperare quella manualità che era stata uno dei fondamenti della perduta innocenza elvetica. La rivista si chiamò Tabard, che nel dialetto romancio del Canton dei Grigioni vuol dire appunto “torta al testo”.

Ma la verità è che tutto iniziò ad andare a rotoli. La città di Perugia si rivelò una fonte di corruzione inaudita, e Benjamino rimase scandalizzato dalla degenerazione cui i giovani universitari si abbandonavano, e da cui, a dire il vero, ci eravamo lasciati involvere anche noi infrarealisti. Quando decidemmo di abbandonare le sfoglie di torta al testo e passare alla stampa su carta, la misura fu colma. Benjamino dichiarò estinto il movimento, e iniziato l’esilio babilonese, fino a che non fossimo riusciti a ricomprendere (superare e comprendere, nel doppio senso hegeliano dell’Aufhebung) la “corruzione” in una nuova forma di trascendeza elvetica.

La massima che ci lasciò in eredità il maestro, prima di sparire, fu: «Penetreremo il guscio sdegnoso del vostro timore».

Con umiltà,

A. Scardanelli

(continua)

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