09 settembre 2008

No Steiner No Cry!


L’album mediatico di questa estate vorrebbe essere il classico album, maschile e maschilista, di sport e di guerra.

Europei Olimpiadi sciovinismo nazionalista boicottaggi vari (tanto sbandierati, ma poi praticati in modo tardivo, laterale, ipocrita).
I muscoli di Phelps le piume di Bolt le pagaiate di Josefa Idem (e Roma-Napoli).
I militari per strada (e Roma-Napoli).
Cina contro Tibet Italia e Libia contro i migranti Ossezia del Sud Abkhazia e Russia contro la Georgia (e contro gli Stati Uniti – o viceversa).

Ma c’è una notizia che non centra nulla con tutto questo, che nella sua quotidianità, nella sua piccolezza e nel suo ridicolo sorpassa tutte le altre iperbolerie e si impone all’attenzione, quantomeno nei salotti bene – che non sono mai da trascurare, con tutto il male che dicono e che fanno....

“Il critico letterario George Steiner non sopporta i suoi vicini giamaicani di Londra, perchè passano le loro giornate ad ascoltare reggae e rock and roll a palla, a volumi insostenibili per le sue orecchie abituate a Schubert, e per questo si trasferisce a Cambridge. Poi rilascia un’intervista al Pais e si giustifica, dicendo che agire in questo modo non è sintomo di razzismo.”

Apriti cielo: una serie infinita di commentatori benpensanti condannano Steiner, una schiera non meno nutrita – ormai! – di editorialisti che dichiarano di non “abboccare” alla retorica del politicamente corretto lo difendono (non ultimo un altro insospettabile, Ferdinando Camon, sulla Stampa).

Come diceva spesso e volentieri una mia professoressa del liceo, indulgendo nell’errore per una qualche remota esigenza didattica a lunga gittata: “è ora di finiamola”.

È ora di finiamola con chi subodora razzismo e xenofobia ogni volta che ci si pone in modo diverso dalla vulgata tollerante, per l’aver toccato con mano i vantaggi ma anche gli svantaggi della cosiddetta ‘convivenza interculturale’. Tacciare di razzismo posizioni diverse dalle proprie è proprio questo: tacciare.
Non una grande base, né di dialogo né di conflitto.
(Una posizione molto arguta è stata quella del professor Robert Berkeley, esperto londinese di pari opportunità, giustamente riportata dal Corriere: “Penso che un individuo faccia bene a riconoscere le proprie pulsioni razziste, per poterle affrontare. Parlarne come fa Steiner è utile a tenere vivo il dibattito, sempre che non si prenda di mira una comunità come ha fatto lui”).

È ora di finiamola, però, anche e soprattutto con chi non sopporta il buonismo e il politically correct, e lo fa per principio. Dai Ferrara ai Battista giù giù fino ai “moderati di sinistra” (e giù giù forse fino a Steiner). Anche qui la parola è rivelatrice: chi non accetta il politicamente corretto per principio, vuole per contro poter agire fuori dalla correttezza politica.
E la correttezza, una volta, non era qualcosa di tanto forte da potersi assimilare a un ‘valore’, nell’agone politico, però a qualcosa indubbiamente serviva... Della serie: non eravamo così populisti...

Non accettiamo più neppure il giustificazionismo: chi dice “non sono razzista ma...” evidenzia un’attitudine razzista, che poi vuole mascherare, con un abile gioco linguistico (perché essere razzisti al giorno d’oggi nessuno lo vuole e lo può essere) ma che rimane latente in ogni suo discorso. “Non sono razzista ma...” vuol dire “non voglio apparire razzista ma temo che quello che dirò di seguito mi collocherà automaticamente o mi potrebbe far collocare nel campo del razzismo, e non mi voglio assumere questa responsabilità”. Si dica piuttosto, se si sente davvero questa coazione sociale a non dichiararsi razzisti: “Io non sono razzista e penso che...”
Un cambiamento retorico che potrebbe essere, credo, di peso.

Con le ultime osservazioni si spiega, secondo me, anche il razzismo sotteso alle parole di Steiner. Steiner ha fatto benissimo a traslocare in altro posto, volendo e potendo cambiare le proprie condizioni di vita. Ma che lo giustifichi, e senta il dovere di farlo, etnicizzando le cause del suo disagio, questo sì che sa, neanche troppo velatamente, di razzismo.

In effetti, lo stereotipo del vicino giamaicano rumoroso, festaiolo e alcolizzato (oltre che sporco, povero e criminale) spopolava a Londra già dai tempi di Notting Hill, negli anni Sessanta e Settanta. Qui trova una sua nuova incarnazione: perché il disagio di Steiner dovrebbe essere imputabile in toto ai “giamaicani”? Se avesse avuto dei vicini di casa neofascisti con la passione dell’heavy metal o dei vecchietti americani mezzo sordi con la passione del country, le sue orecchie affinate grazie all’ascolto di Schubert o di Brahms non ne avrebbero avuto lo stesso disturbo?

La distinzione, se c’è, tra le due situazioni è di ordine economico: come si legge nella messe di articoli derivata da questa, peraltro bella, a tratti splendida, intervista a tutto campo di Steiner al País, il fatto di vivere vicino a dei giamaicani stava deprezzando enormemente il valore di casa Steiner – un po’ quello che succede con i campi nomadi in Italia: Steiner perlomeno ha avuto il buon gusto, fin troppo relativista e umanista, direbbe un Marcello Pera, di non dare fuoco alla casa dei vicini!...

Tutto di guadagnato, quindi, nell’andare a vivere a Cambridge, lasciando che le politiche inglesi di ghettizzazione urbanistica e sociale facciano nuovamente il loro corso: i giamaicani con i giamaicani, i polacchi con i polacchi e i professori di Cambridge con i professori di Cambridge.

E se poi viene qualcuno (magari un giornalista bianco, maschio, spagnolo, progressista) lo si accoglie con dell’ottimo hummus libanese.

(Fra parentesi, che invidia, Juan Cruz!)

Lorenzo


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11 Commenti:

Alle 9/09/2008 11:43:00 AM , Blogger Francesco ha detto...

è un paio d'anni che mi consigliano "il razzismo è una gaffe, eccessi e virtù del politically correct". è il caso di leggerlo mi sa.

bel pezzo

 
Alle 9/10/2008 02:24:00 PM , Blogger lorenzo.mari ha detto...

il libro di flavio baroncelli?
grazie della segnalazione
lorenzo

 
Alle 9/14/2008 01:20:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

ma di fatti, a mio parere, la matrice del razzismo attuale è di ordine economico: gli stranieri ci danno fastidio in quanto venditori di rose molesti mentre siamo a discutere di filosofia al bar, in quanto disoccupati senza tetto e senza legami che diventano potenziali criminali e minacciano le nostre proprietà, la nostra quiete, le nostre donne. il professore universitario boliviano o il medico libanese non ci danno noia alcuna: peccato però che nel nostro civilissimo paese non ci sia tanto posto per gli stranieri qualificati professionalmente, mentre per raccogliere i pomodori, magari in nero, accogliamo tutti. poi ogni tanto si fa finta di volerlo cacciare via, ma pure questo è uno spauracchio.

bentrovati! ele

 
Alle 9/15/2008 09:10:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

psss....
ragazzi (parlo a bassa voce): rivista letteraria, ok.
ma "centra"?
lo so che è un refuso, ma è fastidioso.
mi raccomando!

 
Alle 9/15/2008 11:09:00 PM , Blogger lorenzo.mari ha detto...

anonimo #2: colto in fallo! è proprio un refuso fastidioso. (a proposito: si scrive "cientra", vero?)

comunque, shh...

anonimo #1 (che comunque un nome c'é, ma insomma...): i venditori di rose, per la mia esperienza, stimolano le riflessioni di chi fa filosofia al bar, non le molestano, e questo da sempre. L'atto di vendere una rosa, insomma, è complicato...
Quanto ai problemi economici, gli immigrati qualificati e non, le donne (le donne?!), non ci capisco un'acca. Forse dai un'interpretazione troppo generale. O forse io e te sulla questione della guerra tra poveri alla fine andiamo d'accordo, ma non saprei dire, veramente.

 
Alle 9/16/2008 02:26:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

oh ma certo che andiamo d'accordo (o almeno, così mi sembra) solo che io non ho capacità di sintesi. sì, insomma il tuo pezzo mi ha ispirato riflessioni molto generali sulla questione. volevo dire - provo a rispiegarmi ma non so se andrà meglio - che siamo noi stessi occidentali a dipingere il quadro dell'orda di stranieri che ci invadono con le braccia protese e le bocche spalancate, come un esercito affamato e pronto a tutto, e poi che ce ne spaventiamo. il razzismo non è un istintivo disgusto verso un colore di pelle un po' diverso, il razzismo odierno è paura del diverso perché non si sa cosa ci si possa aspettare da lui. tutti i "diversi" formano un unico grande popolo di potenziali delinquenti, ladri e stupratori, in virtù della disperazione. (non dico che siano tutti sempre disperati, è ancora il dipinto di cui sopra). e siccome noi siamo "più uguali degli altri", siamo terrorizzati perché questa disperazione sappiamo di averla fatta noi.

mmm. mi sa che ho fatto più casino di prima.

 
Alle 9/16/2008 09:51:00 PM , Blogger lorenzo.mari ha detto...

non per continuare sul filo dell'ironia, ma questa si capisce molto bene, invece....

le idee che proponi (di un quadro dipinto da "noi" stessi e dal quale non riusciamo ad uscire, e che per questo ci terrorizza; di un razzismo che non è più tanto differenzialista quanto inegualitario) sono totalmente complementari alle beghe di Steiner con il reggae.

però, e qui è puro sillogismo, lo so... se sappiamo di essere vittime delle nostre rappresentazioni perchè non troviamo anche la capacità di uscirne?

una risposta potrebbe essere: perchè sappiamo, o siamo stati abituati a sapere, che distruggere il quadro equivale a proporne un altro parimenti oppressivo, anche se (forse) di segno opposto. quindi passiamo il nostro tempo a decostruire queste rappresentazioni, cercando vie laterali, strategie temporanee, percorsi minori, in questo caso, d'interculturalità. cose che forse neppure si fanno abbastanza, di certo non adeguatamente.
(qui subentra un po' di pragmatismo contadino, ancestrale) si tratta però di cose che si debbono continuare a fare se si vuole giungere a qualche "cambiamento".
(qui butto la bomba e tiro indietro la mano)
lamentarsi del razzismo à la pd è controproducente: il fatto di milano, per esempio, sarà ricondotto ai futili motivi, forse anche giustamente, perchè no?, ma il peggio é secondo me che chi sosteneva (per uso preterintenzionale di orecchie) che il razzismo centrasse qualcosa, a monte o a valle, passerà per il solito cretino "politicamente corretto".

 
Alle 9/17/2008 01:58:00 AM , Anonymous Anonimo ha detto...

bene, vedo che con un po'di impegno riesco a farmi capire anche io.
trovo che la strada laterale dei piccoli cambiamenti sia l'unica percorribile e che sia anzi necessario segurila, senza stare a lamentarsi del razzismo. la tolleranza va praticata - ed insegnata - in ogni gesto.
certo, di fronte al fatto di milano, non è facile. per niente.

 
Alle 9/20/2008 05:32:00 PM , Blogger lorenzo.mari ha detto...

e non lo è neppure di fronte al fatto di Bussolengo, per il semplice fatto che non vi siamo stati messi di fronte (che io sappia).
Se ne può leggere qui: http://www.ilprimoamore.com/testo_1078.html

 
Alle 9/20/2008 06:56:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

"Gli altri gruppi di stranieri sono lavoratori ben accettati, partono alle cinque di mattina dai casolari dell’entroterra dove abitano in quattro in una stanza, vanno a cercare lavoro a giornata nelle piazze dei paesi."
ossia sono perfettamente integrati nel sistema di sfruttamento e non si ribellano.

ma abbiamo perso la cognizione della realtà, o sbaglio?

 
Alle 10/10/2008 10:00:00 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Se l'ebreo George Steiner dice queste cose, forse siamo al collasso del sistema...
www.michelefabbri.splinder.com

 

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