24 ottobre 2008

Come volevasi dimostrare

Vi riporto dal Redattore sociale una notizia purtroppo scontata anzi, per chi segue da tempo questa situazione, in realtà già nota da un bel po'. Lungi dal voler celebrare prematuri funerali, ci tenevo a segnalarvi la cosa.

Vittorio


Bologna, il teatro nel minorile rischia lo stop dopo 10 anni
Finiti i fondi dell'Unione europea per un'esperienza
che ha coinvolto 200 giovani detenuti in 10 anni.
Il regista Paolo Billi lancia l’allarme e denuncia:
"Tanti riconoscimenti ma sempre meno sostegni dalla città"


BOLOGNA - “Dieci anni di lavoro con la Compagnia del Pratello sembrano non aver futuro”. Dopo un decennio di attività e con un nuovo spettacolo in programma dal 26 al 30 novembre, il teatro del carcere minorile di Bologna è in difficoltà e rischia lo stop per mancanza di finanziamenti: lo denuncia Paolo Billi, regista e “anima” del progetto educativo per i giovani detenuti. Una delle esperienze di teatro in carcere tra le più continue anche a livello nazionale, ma che a questi aspetti non ha visto corrispondere il sostegno finanziario adeguato. L’attività iniziata nel 1998 da Billi all’interno dell’Istituto penale minorile di Bologna ha coinvolto più di 200 ragazzi, e messo in scena 15 spettacoli frutto di molti laboratori tecnici e creativi. Tutto questo non è bastato a garantire la sicurezza e la continuità dei finanziamenti indispensabili per la sopravvivenza della compagnia. I fondi provenienti dall’Unione europea sono terminati, lasciando scoperto il 50% delle spese che dovrebbero essere coperte dalla Cassa delle ammende, l’ente del ministero della Giustizia che ha il compito di finanziare i progetti degli istituti penitenziari. La risposta ancora non è arrivata, e così al nuovo spettacolo "L’ultimo viaggio del Gulliver", in scena al carcere minorile dal 26 novembre al 30, sono venute a mancare risorse importanti. I laboratori, che precedono la messa in scena, sono passati da 9 a 3 con un drastico ridimensionamento delle ore da 620 a 270. Tagliate anche le repliche che passano da 14, degli spettacoli precedenti, a 7.

Il regista Paolo Billi dichiara amareggiato: “Dieci anni di lavoro, che sembrano non aver futuro: tanti riconoscimenti, ma sempre meno sostegni. Bologna è da sempre una 'città-conserva’ che produce organizzazione e diffusione culturale, ma ben poca cultura e tanto meno teatro e arte. Probabilmente sta arrivando il giorno, come nel lontano 1980, in cui saluterò nuovamente questa città”. Nonostante le difficoltà economiche, il nuovo lavoro teatrale della Compagnia del Pratello “L’ultimo viaggio del Gulliver” andrà in scena, concludendo la trilogia dedicata all’opera di Swift. I due spettacoli precedenti sono stati realizzati sempre da Paolo Billi con i detenuti del carcere della Dozza e i ragazzi delle tre comunità di ex detenuti del minorile di Bologna. Per assistere allo spettacolo, è necessario prenotare il biglietto telefonando allo 051.551211.


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A proposito di Fab...



"Uno che di imperfezioni si nutriva e alla perfezione tendeva, all'esattezza, che poi è una forma di onestà"


Gian Luca Favetto, Venerdì di Repubblica (24 ottobre 2008)


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23 ottobre 2008

Se non la realtà al Festival del film di Roma

L'auto segnalazione è triste ma tanto non ho mai brillato di umorismo, insomma da oggi e per i giorni a venire, trovate su Se non la realtà il Diario del vostro blogger infiltrato alla festa del film di Roma 2008. Ovvero il rutilante mondo dei cinematografari raccontato da uno che nemmeno sa cosa vuol dire rutilante. Nel continua del post vi copincollo un pezzo del pezzo di ieri, tutto dedicato ad Al Pacino - c'era solo lui - che intiero è troppo lungo. Intanto eccovi un paio di momenti pregni.

Momento cinephile (du role): vista in giro una bella maglietta gialla - addosso ad un tipo - con un sole stilizzato che sembrava 'na cosa orientale, con scritto sopra "La corazzata potemkin è una cagata pazzesca"

Momento de' sinistra (ovvero c'è rimasto solo il momento): alla passerella di gala della sera c'erano una cinquantina (so buono) di ragazzi de' sinistra, del centro sociale Horus appena sgomberato, che protestavano per i tagli alla scuola, alla cultura e per la chiusura del loro centro sociale, con annesso urlo «Alemanno pezzo di merda». La polizia è stata buona. Il pubblico se ne è abbastanza fregato. Ah, c'erano pure studenti universitari che protestavano, ma un po' in disparte.

Francesco

Innanzitutto, premetto, sì, quest'anno ci stanno i fascisti a comandare 'sta città e 'sto festival, ma ci vado lo stesso, che pare che stavolta mi potrò infiltrare un po' dove mi pare, proiezioni, conferenze, e forse addirittura qualche buffet - no vabbè, quelli no.

Allora, innanzitutto oggi - ieri per chi legge - è stata la giornata di inaugurazione, dedicata interamente ad Al Pacino, che ritirava un premio.

Alle 18 conferenza stampa, in cui il vostro infiltrato/inviato è riuscito ad accasciarsi sul pavimento per sentir conversare per un trequarti d'ora - pochino, effettivamente - questo piccolo (di statura) monumento del cinema americano, in completo nero e cravatta nera un po' slacciata. Scialbe domande da giornalisti di importanti testate quali "Primissima", "Primissima.com.it", "Radio Svizzera", "Il messagero", una qualche tv portoghese con il suo giornalista eccitato e soprattutto una giornalista che si è detta di Radio Rai, anzi di Radio 2 Rai ed anche del "Quotidano del Nord", o "Nazionale" che non ho capito bene. E già 'sta cosa andrebbe approfondita ché io vorrei capire se uno che lavora per la radio pubblica possa mai lavorare pure per qualche altro fogliaccio locale di destra (sì, i nomi dei due ipotetici giornali che mi ricordo suonano di destra). Poi magari scopro che è una povera praticante/precaria, sfruttata, etc etc. e mi commuovo un po', ma non faceva comunque 'na bella impressione. Comunque i big, roba tipo le tv od i quotidiani a maggiore diffusione, non hanno fatto manco 'na domanda in conferenza, cosa per me non addetto ai lavori molto strana. E comunque 'sti giornalisti - dentro eravamo in realtà un po' cani e porci - non è che si affannassero troppo o scalpitassero per fare una domanda, anzi. Per lo meno non scalpitavano tanto quanto a fine conferenza, quando hanno assalito il palco, sovrastando anche le pur prontissime ragazzine - un badge non si nega a nessuno - tutti in cerca di un autografo su pezzi di carta, taccuini ed affini. E Pacino è stato al gioco, ne avrà firmati un centinaio buono - alla sera, all'incontro col pubblico, ne avrà fatti tre a dirne tanti. Insomma i giornalisti son decisamente dei ragazzini scalmanati, che per altro non sanno manco l'inglese visto che tutti o quasi avevano le cuffiette per la traduzione.

Ma veniamo ad Al Pacino. Innanzitutto è un fico, che magari ve lo stavate chiedendo, ed io ve lo dico, visto da vicino è tappetto e un po' vecchio ma abbastanza un fico. E poi ci sa fare, sveglio, grande calma, discreto repertorio di battute, buone pause, intelligente, con impeto teatrale e poca sintesi cinematografica. C'aveva 'na discreta voglia di parlare, gli hanno chiesto un po' di tutto, partendo dal suo rapporto con l'Actors Studio (è qui in qualità di suo presidente). Io, le cose che mi han colpito di più, son state innanzitutto il suo dire che il grande ed unico consiglio che gli ha dato il maestro Strassberg quando recitarono assieme è "devi conoscere le tue battute, devi conoscere le tue battute", nulla di più, nulla di meno, e poi il suo ripetere più volte che lo sviluppo del personaggio è un fatto «consciously and unconsciously», e calcava parecchio unconsciously, con la sua voce non particolarmente profonda, a volte quasi sottile ed un po' stridula. Ed era bello il suono di quel unconsciously. E diceva che l'unconsciously lui lo trova, senza saperlo, soprattutto nelle prove[...]


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20 ottobre 2008

Dear Mr Berardinelli #2

Era il 5 febbraio quando noi di Tabard bacchettammo il noto critico Berardinelli per la sua avversione nei confronti del nostro amato Gyorgy (Lukács). Ecco cosa scriveva infatti sulle pagine di Reset: «Il punto è che se continuiamo a pensare a Lukács, allora è meglio che ci impicchiamo perché vuol dire che siamo indietro di mezzo secolo».

Con grande piacere ho potuto oggi constatare che il nostro, evidentemente colpito e amareggiato dalle nostre critiche (nonché dalle rimostranze del mondo accademico svizzero e dell'ambiente underground ticinese), deve aver passato gli ultimi mesi sui sostanziosi volumi del grande filosofo ungherese; si legga infatti l'articolo Il romanzo dev'essere "memorabile" apparso sul Corriere della Sera di oggi a firma di un redento Berardinelli:

«Ma se un romanzo non tende a una forma di "totalità" (irraggiungibile) non è un romanzo, è un racconto: magari annacquato e diluito come quelli che oggi gli editori ci vendono come romanzi. Non si tratta ovviamente né di quantità di pagine né di complessità della trama. Un romanzo nasce (se nasce) intorno all'invenzione di un personaggio e di una vicenda esemplare che gli somigli e lo riveli. La ricchezza delle connessioni "sociologiche" nasce da sé quando personaggio e vicenda sono un'invenzione tipica e memorabile. Quanti personaggi memorabili in cui riconoscersi ha inventato la narrativa italiana delgi ultimi decenni?»

Se non è una palinodia questa... (anche se sui concetti di totalità e biografia c'è ancora un po' di confusione... ma cosa pretendere di più da un volenteroso che ha passato una matta e disperatissima estate di studio sulla Teoria del romanzo e sui Saggi sul realismo?)

Achille

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18 ottobre 2008

Né un simbolo, né il simbolo: di più!

Bobo, che non a caso in spagnolo è un aggettivo che indica “una qualità intellettuale decisamente non alta”, ha tirato il sasso e poi nascosto la mano. Non una novità, si dirà, in un governo che va avanti a colpi di Ddl – il vero nome del partito?!, forse davvero qualcuno ha fatto male a trascrivere Pdl, per troppa somiglianza con altre sigle... – scavalcando bellamente il parlamento, per poi obbligarlo a prendere decisioni frettolose e conformi, ma in questo caso si tratta di una trasgressione particolarmente pericolosa.

«Su Saviano sono stato frainteso» ha cercato di rimediare oggi il ministro Maroni. «Ho voluto fargli un favore, dirgli che lo Stato gli è vicino, che gli garantiamo il massimo livello di sicurezza ma anche affermare che non spetta solo a lui farsi carico della lotta alla criminalità».

Alla faccia del favore: la prima battuta era stata, per contro, assai biforcuta. «Al di là della risonanza mediatica e della vicenda personale di Saviano, la lotta alla criminalità la fanno ogni giorno polizia, magistratura, imprenditori, in prima linea magari senza gli onori delle cronache dei giornali. Non vorrei ridurre lo Stato a una personificazione. Gli garantiamo il massimo livello di protezione. Mi auguro che voglia rimanere in Italia. Non credo sia una buona idea andarsene. E dove, poi? Se la camorra vuole vendicarsi, lo fa, la vendetta camorristica non ha confini. Siamo al suo fianco».

Una conclusione da far gelare il sangue, a fronte di una decisione di espatriare presa, ci si può immaginare, con una certa accortezza e lungimiranza. Il resto è, mi spiace constatarlo, una riproposizione, magari in buona fede, magari da parte del leghista lombardo che guarda dall’alto in basso il Sud (mentre mafia e camorra fatturano anche, e di più, al Nord), del teorema omertoso, sentito più volte nei tg degli ultimi giorni: “Saviano è un buffone, è sempre sui giornali, ha fatto i soldi sulla pelle degli altri, non rappresenta nessuno.”

Un sasso tanto più potente perchè l’affondo è fatto a Napoli e la ritrattazione a Saint Vincent.
Se "Saviano è uno di noi", come perfino gli ultras scrivono allo stadio, allora possiamo solo condividere l’invito caloroso e aperto, profondamente segnato da coscienza civile e impegno, nonostante la patina di rassegnazione, di Antonio Moresco.

Perchè Saviano non è un simbolo, nè il simbolo: davanti a questa pochezza morale, intellettuale e politica, Saviano è molto di più.


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13 ottobre 2008

NO GELMINI - Assemblea di Ateneo

Alla vigilia dell'ultima lezione di Gianni Vattimo all'università di Torino, TABARD si mobilita contro la riforma Gelmini. Anche perché c'è solo una possibilità su 5 che qualcuno lo sostituisca, Vattimo.

NO GELMINI


ASSEMBLEA DI ATENEO – studenti, precari, ricercatori, docenti, tecnici amministrativi



Comunicato Assemblea di Ateneo


La legge n. 133/08, «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», ha nefaste conseguenze per gli studenti, per i precari, e PER TUTTI coloro che vivono e lavorano all'università. Tra i punti che contestiamo della legge: la limitazione del turnover al 20%; il taglio nel prossimo triennio di 500 milioni di euro dal fondo di finanziamento ordinario; la possibilità di trasformazione in fondazioni private dell'Università.

Contestare questa legge non significa difendere l'università del presente ma rilanciare la mobilitazione, in coordinamento con gli enti di ricerca e con il mondo della scuola, per proporre forme di didattica e di ricerca diverse e iniziare a costruire l'università del futuro.

Sulla base di queste valutazioni l'assemblea di ateneo riunitasi in aula Tonelli, Dipartimento di Matematica, oggi 8 ottobre, che ha visto la numerosa partecipazione di studenti medi e universitari, precari, ricercatori, docenti, insegnanti delle scuole elementari e medie, tecnici-amministrativi:

• Chiede che il rettore e i membri del senato accademico diano le dimissioni in caso in cui la legge Gelmini non venga ritirata.

• Chiede che il 21 ottobre il prossimo senato accademico si pronunci ufficialmente su questo.

• Chiede inoltre che si cancelli l'inaugurazione dell'anno accademico.

• Condivide e parteciperà con gli studenti medi all'iniziativa del 10 ottobre ore 9 in piazza san Francesco.

• Lancia la mobilitazione in tutto l'ateneo nei giorni 15 e 16 ottobre, in coordinamento con i precari del Cnr, e con il mondo della scuola.

• Chiede il lancio del blocco della didattica per dare a tutte e tutti la possibilità di stare dentro la mobilitazione.

• Esprime solidarietà allo sciopero dei sindacati di base del 17 ottobre con manifestazione a Roma

Giorno 15 ottobre, Assemblea di Ateneo, Facoltà di Lettere, ore 17

Prossimi appuntamenti in preparazione al 15 (il primo, il più importante):
- lunedì 13, ore 17: Facoltà di Scienze politiche (aula da definirsi)
- martedì 14, ore 16: Facoltà di Giurisprudenza
- martedì 14, ore 14: Facoltà di Scienze della formazione


(gli orari delle assemblee potranno essere rivisti se non sono
disponibili aule)


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12 ottobre 2008

La vida tómbola

La "recente" notizia della scomparsa di Paul Newman, assieme alla sua risonanza, non mi ha ancora tolto dalla testa il ricordo della morte di Giorgio Bettinelli, che se non è riuscito a battere l'attore americano in clamore mediatico, gliel'ha sicuramente fatta sul piano dei tempi.

Che bella figura questo Bettinelli che la "febbre gialla" c'ha portato via il 16 settembre scorso. Attore insoddisfatto d'una compagnia teatrale sperimentale di Roma si stancò, gli girò, prese su e se n'andò via, ma via lontano, a campare di gran lusso in Indonesia coi soldi dell'appartamentino messo in fitto a Roma.

Italiano atipico, lui la Vespa l'ha conosciuta solo a 37 anni sulla spiaggia di Padangbai, a Bali, per intercessione di un cameriere locale. Un mezzo cedutogli a saldo d'un discreto debito (come a dire: pagato una cifra spropositata; come a dire: na' sola) gli ha casualmente confidato i propri segreti. Vale a dire potenza, resistenza, versatilità... e uno strepitoso fascino. E gli ha cambiato la vita.

Bettinelli s'innamora, mette a posto il rottame e ci attraversa le isole di Bali, Giava e Sumatra fino a Medan. Poi regala l'ex rottame ad un'amica, vola nella capitale e organizza l'impresa: da Roma a Saigon su una Vespa. Raccoglie fondi, sponsorizzazioni, finanziamenti e qualche contatto. Parte, vende un po' di culo ai giornalisti di tutto il medio-oriente e il sud-est asiatico e, dopo sette mesi di vita piena e di astinenza forzata dal tabacco, si accende una strameritata sigaretta dopo aver tirato sul cavalletto la sua Vespa in piazza Ho Chi Minh.

Da lì in poi scorrazza dappertutto, dall'Alaska alla Terra del Fuoco e poi per tutto il mondo fino alla Cina e ne seguono testi fotografici, articoli, narrazioni di viaggio.

Un matto si direbbe, ma uno di quelli che ha saputo tirarsi fuori un lavoro dalla propria follia. Uno di quelli che, per dirla onestamente, a me piacciono proprio assai.

Ma Giorgio Bettinelli appresso alla sua follia c'è andato fino in fondo. Eroe romantico, lui si è immerso nella wilderness (che tradotto sta per le rive inquinate del Mekong). Eroe post-romantico, lui a causa di questa immersione c'ha rimesso la pelle. Un po' come accade all'eroina Daisy Miller di Henry James che, per inoltrarsi nel colosseo in piena notte, si prende un'infezione mortale e rimane stecchita nei deliri della febbre "perniciosa".

Il colosseo (parliamo di quello della fine dell'Ottocento) è al tempo luogo oscuro e peligroso, non l'attuale bomboniera a cielo aperto per turisti di ogni dove: umido e malsano, pieno di selve inselvatichite e pregno dei misteri del passato, loco brulicante di perigli e lontano dalla civiltà.

Sono questi parallelismi tra il colosseo di James e il Mekong di Giorgio che fanno pensare che non si possa sopravvivere nella follia, neanche sistematizzandola. E chi intrattiene rapporti duraturi con questa misteriosa natura, decede.

Che piaccia o no, questa è la visione di James. Ma non la mia.
A noi piace pensarlo ancora il sella al motore.
Vespisti di tutto il mondo, rombate!

Vittorio Martone


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10 ottobre 2008

Che culo! Che sfiga...

Inevitabile che accada. Nel momento in cui un sistema mostra il fianco (e non solo), lasciando comprendere anche al più sprovveduto osservatore di essere al collasso, è difficile evitare che si ceda al fatalismo ed alla superstizione.

È per questo che, di fronte alla disastrosa condizione in cui versa Trenitalia, il passeggero medio si ritrova ad affidarsi a calcoli cabalistici ed astrologici per terminare poi col considerare un capriccio del destino la possibilità di beccare un treno in orario.

La (presunta) normalità cambia dunque prospettiva e si tramuta, a livello di percezione, nel proverbiale "colpo di fortuna".

Per chi vuole consolarsi, oppure rodersi al meglio il fegato sapendo che esiste qualcuno che conosce i tuoi problemi (aaahh l'adorato mondo della masochista e autocompiaciuta sinistra italiana), il Magazine del Corriere della Sera in edicola da ieri pubblica un bel reportage sulla situazione di Trenitalia a cura di Stefania Ulivi e Sergio Rizzo. Due begli articoli di inchiesta, supportati da un serio lavoro giornalistico (altra cosa che in Italia rientra ormai nella categoria della fortuna).

E per chi invece non ne volesse più sapere dei treni, si può sempre scegliere di comprarsi un'auto a metano (che si risparmia pure, statistiche alla mano). Con buona pace delle teorie sociologiche sul passaggio al trasporto su gomma e dei nostalgici delle Ferrovie dello Stato come Marco Paolini (e come me).

D'altronde, lo stesso Paolini insegna, questi disservizi (con tutte le loro conseguenze al seguito) rappresentano il prezzo da pagare quando si smette di concepire il proprio lavoro come servizio pubblico ed il passeggero si tramuta in cliente. Privatizzazione vuol dire proprio questo.

E allora, che culo!, dirottiamoci sulla gomma.
E se non avete i soldi per comprarvi una macchina? Eeehhh, che sfiga...

Vittorio Martone


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08 ottobre 2008

In rappresentanza di TABARD

Questo è il documento programmatico presentato da Tabard al 'seminario di idee' della lista Bologna Città Libera di sabato scorso 4 ottobre. É un primo approccio al progetto per una diversa politica culturale che Tabard sta elaborando per Bologna. E per le prossime elezioni.

Siamo qui in rappresentanza di Tabard – rivista militante, progetto culturale nato a Bologna nel settembre 2005 in seguito agli attacchi che da più parti venivano mossi al relativismo culturale.

Tabard è una rivista multidisciplinare (costituita in gran parte da studenti e dottorandi) impegnata a trattare, di numero in numero, un determinato tema da diverse prospettive: ci siamo finora occupati di “personalità autoritaria”, del postmoderno, della città, del concetto di “declino”. Dato il nostro orizzonte culturale l’appello di “Bologna città libera” non poteva che trovarci disposti al più grande ascolto, dopo anni di attese deluse e frustrate a causa di un sindaco che ha incarnato principi antitetici rispetto a quelli nei quali ci riconosciamo. Vicini, crediamo, all’orientamento ideologico del nuovo movimento, siamo qui per portare un contributo negli ambiti che ci sono più congeniali: (il traffico!) l’ambito culturale, in quanto esponenti di quella classe intellettuale costretta a confrontarsi col disconoscimento del proprio ruolo da parte di quelle istituzioni che pure (e tanto più in una città come Bologna) si dimostrano, in campagna elettorale, cariche di buoni propositi (pronti però subito a svanire nell’ordinaria amministrazione della politica comunale); l’ambito generazionale in quanto persone aventi fra i 24 e i 27 anni, ovvero quella generazione frustrata ed “esclusa”: esclusa dalla possibilità di una vita dignitosa fatta di un lavoro stabile, giustamente retribuito e conforme alle proprie competenze, una generazione informata della più banale della speranze: quella che il domani sia migliore dell’oggi; una generazione fatta al contempo oggetto di appelli paternalistici; una generazione privata del tempo (tempo per l’impegno, tempo per la partecipazione, tempo per la passione) perché “s-fondata” dal lavoro. Si dirà che queste cose non pertengono ad una amministrazione comunale, ma Cofferati ci aveva illuso invitandoci a pensare in grande: “Bologna città del futuro”, “Bologna città dei diritti”. È per questo che siamo qui: perché abbiamo creduto, come molti dei presenti, alle 105 pagine del programma di Cofferati, e crediamo che sia un programma realizzabile, ma crediamo soprattutto che sia possibile realizzarlo attraverso “Bologna città libera”. In quel programma sono contenute la gran parte delle nostre proposte (e non solo nei due ambiti prima indicati).

Solo qualche esempio:

p. 6 : “Bologna ha bisogno di una programmazione culturale alta, capace di intrecciare la complessità sociale, l’innovazione tecnologica e la potenzialità culturale che le è propria”

p. 23: “Bisogna creare spazi per l’autoproduzione giovanile, bisogna investire in nuovi spazi espositivi, con una articolazione che consenta di ospitare sia grandi che piccoli eventi, che consentano grandi e piccole produzioni”

p. 28: “a proposito dei centri sociali giovanili, visti come il risultato del bisogno di stare insieme per difendere e dare maggiore efficacia ai diritti individuali che si potenziano nello scambio e nella reciprocità dei rapporti, è allo studio l’ipotesi di varare una sorta di sala stampa in cui i centri possano trovare le opportunità che consentano loro di produrre e ricevere comunicazione (organizzare discussioni, riunirsi, tenere conferenze stampa, ciclostilare fogli informativi, ecc.)”

Vogliamo tornare a proporre queste cose, vogliamo far sì che non si rovescino, come successo, nel loro contrario:

Si è partiti dicendo che

p. 7: “la politica degli enti locali bolognesi pur nelle competenze limitate che la normativa (Bossi-Fini) assegna a Comuni e Provincia deve concretamente dimostrare una visione alternativa a quella della destra, operando per il superamento del cpt di via Mattei, individuando soluzioni alternative che ne permettano la chiusura”.

Noi vogliamo realmente il superamento del cpt di via Mattei, e non il compiacimento per l’invio di soldati a presidiare i suoi confini.

Si è partiti auspicando:

p. 12: “un progetto organico” che coinvolgesse “università ed organizzazioni economiche per trattenere a Bologna una parte significativa del grande potenziale intellettuale e umano rappresentato dagli studenti”

e si è finito col definire la città assediata ed “espropriata” dagli studenti che vivono piazza Verdi, additandoli come una delle principali cause del degrado.

Cavallo di battaglia della campagna elettorale di Cofferati è stata l’idea di una partecipazione politica che si realizzasse dal “basso”, coinvolgendo le forze sociali e le associazioni di volontariato, e si è rovesciata, e parliamo ora solo dell’ambito culturale, nell’esaltazione degli eventi istituzionali e delle personalità che sono i rappresentanti culturali del potere politico di questa città. La cultura è stata il mezzo mediante il quale il potere ha esaltato se stesso, la vetrina in cui mostrarsi in tutto il suo splendore.

Contro tutto questo Tabard si aggrega al progetto di “Bologna città libera” e produrrà nei prossimi mesi, contrariamente alle sue abitudini, uno speciale numero d’inchiesta dedicato a queste specifiche tematiche: una serie di proposte per la Bologna che vorremmo.


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02 ottobre 2008

Dada (non) è morto. Viva Dada! (Forse!)

Una buona notizia in fondo al Manifesto di ieri, che non iniziava, peraltro, affatto bene, con la foto di un pestaggio e il titolo abbastanza esplicativo: "Parma letale"... La notizia buona viene dall'estero ed è vecchia di un secolo - il che, a questo punto, non sembra un caso:
Dada (non) è morto. Viva Dada! (Forse!)

Ovvero: il dadaismo svizzero è salvo, il Cabaret Voltaire non chiude. Il referendum voluto dalla destra del miliardario populista Cristoph Blocher e tenutosi domenica scorsa ha visto prevalere il fronte dei no, con un solido 65%.
Spiegelgasse nummer 1 rimane un feudo di libertà.
Tristan Tzara e compagni possono riposare in pace. Perché risorgeranno domani.

Dada, comunque, (non) è morto. Viva Dada, ma non ne sarei del tutto sicuro...
La difesa del luogo storico del dadaismo elvetico ed europeo coincide oggi con l'intenzione commerciale di farne un'attrazione turistica, specialmente, secondo lo scrittore ma-non-artista Stefan Zweifel, per i turisti giapponesi, e di utilizzarlo per eventi culturalmente imprescindibili come la mostra dedicata, in inverno, agli acquerelli di Marilyn Manson.

Luogo del postmoderno spinto e deteriore? Delle mostre da 4 soldi?
No, certamente non da 4 soldi. Dove gira gente come Manson girano molti più franchi svizzeri...
Eppoi altre iniziative sembrano smontare questa ipotesi: in tandem con il collettivo Agent Provocateur, il gruppo del Cabaret Voltaire ha dato scandalo diffondendo dal campanile della cattedrale il salmodiare preregistrato di un muezzin e ha messo in vendita su internet i luoghi simbolo della città: il quartier generale della banca Ubs è stato ceduto a un acquirente della rete a un prezzo di saldo: 200 franchi svizzeri.
Forse, si commenta sul Manifesto, anche il referendum è stata un'azione dadaista, con lo scopo di usare le istituzioni democratiche e le loro costruzioni mediatiche come casse di risonanza della loro stessa ottusità. O semplicemente come pubblicità, allo scopo di attirare più turisti dagli occhi a mandorla (e turisti italiani, anche, ormai, ad occhi sgranati).
Un'azione Pop.

Ecco, penso, con le prossime elezioni che si apra non una stagione dadaista, non una stagione postmoderna, ma almeno una stagione Pop a Bologna.
O si apra almeno un pop up!
Altrimenti chiude tutto.
Baracca e buratein.

Lorenzo Mari


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