31 dicembre 2007

Fine del "Biennio stronzo"

Col 2007 si chiude il "Biennio stronzo" che ha comunque visto la nostra rivistucola crescere per bene. Siamo sopravvissuti alla disintegrazione della redazione verso l'estero, alle lauree e ai master, agli stage e al servizio civile, al precariato, agli stronzi, a Perugia. Il 2008 non è ancora iniziato ma è già super-impegnato: il nuovo numero è in cantiere, il blog e il suo nuovo vestitino sperano - in controtendenza - di ingrassare ancora, la sezione umanistico-letteraria della redazione s'è imbarcata in alcuni progetti che forse vi sveleremo in futuro (mani sempre ben avanti!), c'è sete di birra e fame di martedì grassi. Stasera ci concediamo gli ultimi bagordi (chi a ingozzarsi di wurstel, chi di uva, chi di capitone, rigorosamente sparpagliati nelle più remote lande del continente) poi ci rimascheriamo da intellettuali e torniamo a far quello che ci riesce meglio: i tabardiani.
A tutti i lettori, buon anno.



La redazione


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26 dicembre 2007

Storia di Tabard. Parte seconda: come fu che il tracollo del KUH riunì gli infrarealisti sotto le due torri

(Qui la prima puntata). Non avevamo smesso di credere alla possibilità di una nuova trascendenza elvetica, ma segni del degrado erano presenti ormai ovunque. Col venir meno dell'attività critica e moralizzatrice di Merumeni, faro dei giovani sbandati perugini, la gioventù del luogo si ritrovò priva di una guida e ci travolse, lentamente ma inesorabilmente, nel vortice della perdizione: alcol, sostanze misteriose, festini fino a mezzonotte e mezzo/l’una, e poi dall’aperitivo all’accoltellamento il passo è breve, preda com’eravamo dei cattivi maestri e del relativismo morale. I peggiori di noi leggevano al rovescio Estetica e romanzo alla ricerca di messaggi demoniaci, i più depravati declamavano per i vicoli La teologia mistica di Jean Gerson alla luce dell’empirismo logico di Viktor Kraft. Qualcuno entrò nel partito democratico. Altri trovarono lavoro in riviste di minore levatura.

Ma il punto di non ritorno fu quando ci giunse la notizia che anche il Kommando Ultrafemministe Helvetiche iniziava a dare segni di cedimento a causa di conflitti tra i suoi membri. Persino Minni Mannzerbrecher, figura di spicco del Kuh e coprotagonista di un fortunato serial a luci rosse di stampo hegeliano, Nella notte tutte le vacche sono nere, aveva avuto una brusca inversione di marcia e in seguito alla lettura di un pamphlet antifemmista (La tradizione di casa tua. Cento e uno modi di preparare la torta al testo) aveva abbandonato il gruppo in preda a una crisi mistica. Mentre la città sprofondava nel fango, sembrava che un’unica voce avesse il potere di ricondurla sulla retta via: quella del cardinal Giovannpaolo Cobra Caraffa, che dai pulpiti della città di Bologna, ultima roccaforte del potere temporale dei papi, inveiva contro la depravazione della nuova Sodoma umbra. Venimmo a sapere che Minni Mannzerbrechen si era rifugiata sotto la protezione dell’influente porporato e viveva di privazioni e penitenza nella cattedrale di San Francesco, facendosi chiamare “sorella Ruth”, come ai tempi della sua militanza al fianco di Merumeni. I maligni sussurravano che il cardinale ne avesse fatto una sorta di concubina, e conoscendo il carattere sensibile del nostro leader, il suo rifiuto inflessibile verso ogni forma di poligamia, iniziammo a sospettare che avesse seguito Minni nella città emiliana, e ci mettemmo a nostra volta sulle sue tracce.

Fu così che, dalle provenienze più disparate, ci trovammo alla fine riuniti sotto l’ombra delle due torri e di quella ben più ampia del cardinal Caraffa. Si diceva che quell’uomo avesse le chiavi della città, che fosse l’anello di congiunzione tra la gerarchia ecclesiastica e la massoneria anticlericale legata all’università e alla minoranza anabattista, che fosse l’ultimo dei templari, il vero depositario dei piani per il complotto mondiale sfuggiti per un soffio a Umberto Eco. Le tracce di quel complotto finivano proprio lì, nell’imponente basilica di san Francesco, nelle sue cripte, nei sotterranei scavati dai frati in secoli di dedizione e voti di castità, i cunicoli che andavano a sbucare in via del Pratello, nelle bettole, nei bordelli, nelle osterie. Quando il cardinale ci prese sotto la sua protezione, confidandoci che non vedeva altro mezzo se non la diffusione capillare di Tabard per la palingenesi morale della comunità bolognese, fummo presi di nuovo da un ennesimo assalto di ottimismo e fervore militante.

Dalle memorie di M. M.

(continua)


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24 dicembre 2007

Un distinto natale e uno spettabile anno nuovo


Auguri dalla redazione

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20 dicembre 2007

Il secondo grado della fobia (da 2666)

«Ci sono cose più strane della sacrofobia, disse Elvira Campos, soprattutto se prendiamo in conto che siamo in Messico e che qui la religione è stata sempre un problema, di fatto, io direi che tutti i messicani, in fondo, soffrono di sacrofobia. Pensa, per esempio, alla paura classica, la gefirofobia. È una cosa di cui soffrono molte persone. Che cos’è la gefirofobia?, disse Juan de Dios Martínez. È la paura di attraversare ponti. È vero, io conobbi un tipo, in realtà era un bambino, che sempre quando attraversava un ponte temeva che crollasse, così lo attraversava correndo, la qual cosa risultava molto più pericolosa. È un classico, disse Elvira Campos. Altro classico: la claustrofobia. Paura degli spazi chiusi. E un altro ancora: l’agorafobia. Paura degli spazi aperti. Quelle le conosco, disse Juan de Dios Martínez. Un altro classico: la necrofobia. Paura dei morti, disse Juan de Dios Martínez, ho conosciuto gente così. Se sei poliziotto risulta una zavorra. C’è anche l’ematofobia, paura del sangue. Molto vero, disse Juan de Dios Martínez. E la peccatofobia, paura di commettere peccati. Però poi ci sono altre paure che sono più strane. Per esempio, la clinofobia. Sai cos’è? Non ne ho idea, disse Juan de Dios Martínez. Paura dei letti. Qualcuno può mai aver paura o avversione a un letto? Be’ sì, c’è gente che sì. Però questo si può attenuare dormendo per terra e non entrando mai in un dormitorio. E poi c’è la tricofobia, che è la paura dei capelli. Un po’ più complicato, vero? Complicatissimo. Ci sono casi di tricofobia che finiscono in suicidio. Ed esiste anche la verbofobia, che è la paura delle parole. In questo caso la cosa migliore è rimanersene zitti, disse Juan de Dios Martínez. È un po’ più complicato di così, perché le parole stanno da tutte le parti, anche nel silenzio, che non è mai un silenzio totale, vero? [...] O la ginefobia, che è la paura delle donne e di cui soffrono, ovviamente, solo gli uomini. Diffusissima in Messico, anche se mascherata con le vesti più svariate. Non è un po’ esagerato? Nemmeno un briciolo: quasi tutti i messicani hanno paura delle donne. Non saprei che dirle, disse Juan de Dios Martínez. [...] Alcuni messicani soffrono di ginefobia, disse Juan de Dios Martínez, però non tutti, non sia allarmista. [...] E un’altra fobia, questa in aumento, è la tropofobia, che è la paura di cambiare situazione o luogo. Che si può aggravare se la tropofobia diventa agyrofobia, che è la paura delle strade o di attraversare una strada. [...] Una paura molto diffusa è la decidofobia, che è la paura di prendere decisioni. E una paura che inizia da poco a diffondersi è l'antropofobia, che è la paura della gente. [...] Però le peggiori fobie, a mio avviso, sono la pantofobia, cue è aver paura di tutto, e la fobofobia, che è la paura delle proprie paure. Se lei dovesse soffrire di una delle due, quale sceglierebbe? La fobofobia, disse Juan de Dios Martínez. Ha i suoi inconvenienti, ci pensi bene, disse la direttrice. Tra aver paura di tutto e aver paura della mia stessa paura, scelgo quest’ultima, non si dimentichi che io sono un poliziotto e se avessi paura di tutto non potrei lavorare. Però se ha paura delle sue paure la sua vita si può convertire in una osservazione costante della paura, e se queste si attivano, ciò che si produce è un sistema che alimenta se stesso, un cerchio della morte dal quale risulterebbe difficile scappare, disse la direttrice.»


da Roberto Bolaño, 2666, Madrid, Anagrama 2004, pp. 477-9.

(“traduzione” mia, mi scuso, Eugenio)

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18 dicembre 2007

Appunti sparsi da un weekend sloveno (alla Buonipresagi)

  • Il viaggio prevedeva una sempre gradevole tappa veneziana. Nonostante il mio senso dell'orientamento rasenti la perfezione, nella città lagunare è bene avere con se una cartina. Me ne sono portata una vecchia, acquistata anni fa in una bancarella di fronte a S. Lucia. Non avevo però mai letto il retro, contenente l'elenco delle vie oltre che una breve storia quadrilingue della Serenissima. Visto che nell'ultimo numero il buon Cova ci ha parlato di scontro di civiltà, vi riporto uno stralcio dal retro della mia mappa veneziana:

  • "In nome di S. Marco, suo venerato patrono, questa Signora del mare ardente di fede partecipò attivamente alle Crociate, aprendo nuove colonie in Palestina e in Siria; affrontò e vinse il Turco infedele a Lépanto portando ovunque il soffio benefico della civiltà latina e cristiana".

  • Al confine la polizia slovena, pur desolata, ha dovuto far scendere dal treno uno studente mongolo senza visto, con una frase che a me, non certo a lui, è risultata esilarante: "Mi dispiace, ma entriamo in Schengen solo tra una settimana".
  • La Slovenia è molto molto vicina e molto molto bella, ma la cucina tipica non differisce proprio in nulla da quella di Gavirate. È un paese ricco, il che spiega perché sia stato il primo ad abbandonare la Yugoslavia: prima delle guerre novecentesche europee, che lo hanno interessato tutte nessuna esclusa, era sicuramente più ricco di noi, basti pensare che comprendeva solo l'8% della popolazione yugoslava ma che produceva ben il 25% del pil. Ho visto gente lavorare alle dieci di sera di domenica. Neanche a Berlino est.
  • A Ljubljana ho dormito nella prigione che ospitò l'attuale primo ministro durante la crisi yugoslava. Ora si chiama Celica, che vuol dire cella, ed è secondo me, e anche secondo la Lonely Planet, l'ostello più figo del mondo.
  • Ljubljana è pulitissima, composta da un pout pourri di stili architettonici differenti - dalle villette alpine, al secessionista, fino al liberty e alle soluzioni pù moderne - c'è filodiffusione musicale per le strade del centro, tutti parlano inglese, molti anche italiano o tedesco, ci sono più gallerie d'arte e musei che negozi d'abbigliamento e il traffico è praticamente inesistente.
  • Quando in Slovenia dici che sei italiano vieni spesso accolto da quello stesso sorrisetto che hanno pure i greci e che vuol dire pressapoco: "Avete provato a conquistarci ma vi abbiamo cacciato a calci in culo. Dai, ci state simpatici comunque" poi ricevi un ideale buffetto in testa come un bimbo capriccioso.
  • Infine, ho trovato il miglior modo di trattare i terribili pupazzi di babbo natale che da qualche anno infestano i nostri balconi:














Paolo

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Rassegna Stanca #1

Con imbarazzante ritardo rispetto alle premesse faccio debuttare finalmente questa rubrica con la forma che avevo in mente: una serie di segnalazioni internettiane, e non solo, pescate e accuratamente selezionate per voi dal mare magnum della rete, soprattutto italiana. Vado in ordine di uscita, partendo dalla più "vecchia", ché tanto qui non abbiamo fretta e possiamo saltellare agilmente tra gli ingranaggi della macchina web, che pare sì fagocitare tutto a velocità impressionate ma che ha pure uno stomaco bello grande e una lunghissima memoria.

  • È nata Booksweb. La prima tv interamente online e interamente dedicata ai libri. Cliccate in alto a sinistra su Istruzioni per l'uso per vedere il video inaugurale ed esplicativo dei sei canali della televisione. Le premesse sono ottime, per forma e contenuto, vediamo come procede. In bocca al lupo.

  • È nato anche Hippolyte Bayard. Un eccezionale blog interamente dedicato alla fotografia. Ha solo tre mesi ma è già pieno zeppo di contenuti e segnalazioni. Una rarità nello stantio mondo fotografico italiano, dove trovare visibilità è praticamente impossibile. Non fatevi ingannare dalla semplice grafica blogspottiana: è un sito accuratissimo.

  • Leonardo comincio a odiarlo, è il classico tipo che quando dice una cosa ha quasi sempre ragione e la dice pure bene. Maledetto. Qui e qui due dei suoi ultimi interventi, illuminante soprattutto il secondo.

  • Visto che si è tanto parlato di satira e di Luttazzi ultimamente, rimbalzo qui la segnalazione che Nazione Indiana fa al fumetto di Alessio Spataro, che, come l'autore di Santarcangelo, ha riletto in modo grottesco la storia di Moro. Sì, lo so, a prima vista sembra Pazienza, ma poi si riprende e trova una sua linea molto pulita e regolare, facendo un'ottima sintesi di molti debiti.
Per ora mi fermo. Spero nelle prossime puntate di essere più puntuale e fornito di più numerose segnalazioni.

Paolo

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17 dicembre 2007

Tabard al Macondo - serious version

Domani sera, Tabard al Macondo in versione seria (?!). Inauguriamo un nuovo tipo di appuntamento (che vorremmo anche questo mensile) al nostro locale preferito, dove affrontare temi altrettanto seri rispetto ai famigerati martedì tabardiani, ma in maniera meno faceta e sciuocchina. Finora abbiamo pensato di dedicare ogni serata ad un genere letterario, ma non escludiamo di ampliare il ventaglio delle proposte. Per questo prima volta abbiamo organizzato una lettura di poesie di Martino Baldi, Matteo Marchesini e del nostro Lorenzo Mari. Seguirà ovviamente un incontro con gli autori. Quindi, ricapitolando: martedì 18 dicembre, alle ore 22, al circolo Arci "Macondo", come sempre in Via del Pratello 22/c: Tabard prova a sedersi composto. Siateci.





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12 dicembre 2007

Presentazione ad Arti Visive


Domani, giovedì 13 dicembre, alle ore 16, presenteremo l'ultimo numero della rivista al Dipartimento di Arti Visive (aula 2), in Piazzetta Giorgio Morandi a Bologna. Il nostro esimio dottor Cova, nella doppia veste di ospite e ospitante, tirerà le fila del discorso coadiuvato dall'umile famiglio Vittorio Martone. Siete ovviamente tutti invitati a partecipare.




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10 dicembre 2007

Il mattino ha l'oro in bocca


«Come faccio a sopportare la chiusura di Decameron? Penso a Giuliano Ferrara in una vasca da bagno, con Berlusconi e Dell'Utri che gli pisciano addosso, Previti che gli caga in bocca e la Santanchè in completo sadomaso che li frusta.»

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09 dicembre 2007

narrazioni


Avevo un programma implicito, un anno fa. Quello di sprogrammare. Di riempirmi di frammentucoli mai riordinati. Di appuntare frasi e pezzetti di vite, esperienze rivoltanti, che ti rivoltano, lasciate lì nel flusso di un tempo iperaccelerato. Senza tornarci mai. Ancora una volta, senza dare «ordine» al «discorso», senza un discorso. Se scrivevo, se inviavo mail, raccontavo aneddoti (e pure così subito li fossilizzavo) ma totalmente svuotati di un senso che non volevo braccare. Per riconfigurare un senso di un’esperienza, abbiamo bisogno di una narrazione. Il tempo che stride nel suo fiotto vitale va riconfigurato nel tempo stretto e formalizzante del sé narrativizzato. Se esistono delle identità, queste sono identità narrative. Volevo sfuggire la mia (solita) Narrazione. I miei taccuini sono pieni di promemoria deliberatamente abbandonati. A un anno di distanza, ho riconfigurato sensi, ma sono pienamente soddisfatto della loro irresolutezza e superficialità.
Scrivo questo, spinto da un “appunto” di Tiziano Scarpa pubblicato poco fa su Il primo amore. Qui sotto ve lo riporto. A volte, per periodi di tempo circoscritti, la vita può essere programmaticamente un’annotazione smozzicata, in modo che crei delle forme nuove, per così dire parallele alle tue Forme solite:

Promemoria.

Tiziano Scarpa

Vado verso il deposito bagagli, un taxi inchioda per non uccidermi, mi viene in mente quella volta che sono capitato per caso a sant'Ignazio, a Roma, mi aveva suscitato un pensiero, non so più quale, l'avevo trascritto su un taccuino ripromettendomi di ritornarci per approfondire. Saranno passati cinque anni, nel frattempo ho continuato a prendere una quantità di altri appunti in giro per il mondo riproponendomi immancabilmente di tornare su ciascuno di essi per documentarmi meglio, fare mente locale più attentamente, stendere qualcosa di più accurato. Ma quando dedicarsi fino in fondo a un pensiero, se non nel momento in cui nasce? Morirò ripromettendomi di reincarnarmi, o almeno trovare una collocazione nell'aldilà: non per altro: per sviluppare tutti gli abbozzi che ho vissuto. La vita come promemoria – puntualmente trascurato (siamo scarabocchi presi di passaggio, annotazioni smozzicate, non ci si torna sopra mai più ecc.) (ricordarsi di articolare meglio questo appunto).


Eugenio

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Appendici alla Storia di Tabard.
I soggiorni lombardi del maestro Merumeni


Quando Benjamino Merumeni si affacciava al parapetto del suo giardino nella casa di Casciago, si vedeva di fronte la pianura lombarda che va a morire nel Ticino e di lì quella piemontese che s’inerpica sulle vette del Rosa. A destra aveva Luino dell’amico Sereni e i laghi e i colli della Patria Svizzera; a sinistra le strade operose che vanno verso Milano e Como e verso la villa del Dosso di quel Carlo Dossi da cui era incominciata la propria avventura letteraria. Lì era concentrata una cara parte della sua geografia e della sua storia.

Altrettanto sulle rive del Sesia il collega Carlo Dionisotti, che della geografia letteraria d’Italia fu il cartografo pioniere (oltre che intrepido sciatore), e del Piemonte a sua volta un esploratore altrettanto coscienzioso e lucido (un po’ meno durante i soggiorni in Monferrato). Le due regioni, Lombardia e Piemonte, egli collegava come finalmente liberate tra Sette e Ottocento dal loro torpore di “colonie settentrionali”. Allora esse si affrancano e, già restie e disinteressate al rinnovamento letterario italiano, si pongono alla sua testa con Parini e Alfieri, e Oltremincio Goldoni e Cesarotti, Pindemonte e Monti, con l’aggiunta del Foscolo a Milano capitale di una Repubblica Italiana e poi di un Regno Italico. In attesa di quel fenomeno «tipicamente piemontese e lombardo» (sintesi contenuta nella fondamentale opera merumeniana Categorie estetiche di Geografia immanente, Nimis Sero Press, Bellinzona, 1998, p. 51) che fu l’infrarealismo.

Se per Umanesimo e Rinascimento «del Piemonte come della Liguria è quasi inutile parlare» (ancora lì, p. 37, con stile inconfondibile), dall’inizio del Settecento anche il Piemonte conosce finalmente un impulso culturale, di lettere ed arti, col regno di Vittorio Amedeo II. Irrompe anche a Torino la stessa ventata di nobili Lombardi adunati dai Verri, poi degli amici stanziali e di passaggio in via Pietramellara 27 attorno al grande romanziere. L’agonismo sciistico caratterizza entrambi i siti, di là e di qua del Sesia dionisottiano, e così pure l’idea di un rinnovamento che la letteratura deve imprimere alla vita morale di una nazione.

E qui arriviamo a un punto fondamentale in queste riflessioni, scaturite nel momento in cui del latitante e inafferrabile Benjamino Merumeni non rimangono più che il ricordo e un’immensa bibliografia. In coerenza con i suoi autori, anch’egli cercava nella letteratura come nello sport il nesso tra la «realtà effettuale e sovrastrutturale linguistico-culturale», quella tensione e intenzione etica che deve essere in ogni atto umano. Lo stesso suo sconfinamento a sud per l’edizione del Savonarola nella Pléiade della Nimis Sero Press (1997) fu ispirato dal valore storico e civile dell’opera non meno che dall’irresistibile attrazione filologica.

Quale sia la sua coscienza filologica è un dato addirittura leggendario, attestato da edizioni critiche esemplari che dànno i testi in forme definitive o addirittura li ricompongono. Ma per la sua coscienza umana la tradizione lombarda non si ferma ai grandi fin qui nominati; comprende altresì i più umili accademici dei Facchini della Val di Blenio con i loro Rabisch radunati dal Lomazzo; mentre in un capitolo vivacissimo delle Categorie estetiche di Geografia immanente dal titolo «Arti e mestieri per le vie» appaiono i cadregatt e cadreghee e altri ambulanti che animavano con la loro presenza e con i loro linguaggi le vie di Milano. A tutti costoro la linguistica e la storia letteraria, ma la storia tout court deve espandersi e giungere: gente senza retorica, di una «Lombardia stravagante» o Lombardi in rivolta arricchiti dal seguito di Manzoni e fino a Dossi, e Lucini e Linati con accanto gli scapigliati piemontesi, gli infrarealisti ticinesi, e fino a Tessa e a Gadda e con pittori come Morazzone, Ceruti, Cerano, Panosetti.

È un abbrivio che non sorge solo o tanto da una dinamica interna e da una felice congiunzione degli astri, bensì pure dai soggiorni londinesi di Giuseppe Baretti e Carlo di Lieto, dalle letture di Montesquieu e dai viaggi dell’amante della contessa d’Albany, e da quelli a Parigi del marito di Enrichetta Blondel e del suo parentado.

Con umiltà,

A. Scardanelli


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È un grande paese (tra Harvard e altri Stati Uniti)

Notizia vecchia di un mese, ma ancora commestibile. Cristianesimi per tutti i gusti. Chiesa statunitense condannata ad un rimborso di 11 milioni per avere organizzato una protesta ai funerali di un militare dichiaratamente gay caduto in Iraq.

Qui maggiori dettagli sulla notizia. Per chi fosse interessato a conoscere di piu' sulla Westboro Baptist Church, il sito è Godhatesfags («e perciò io li aborro»).

Lorenzo

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06 dicembre 2007

Storia di Tabard. Parte prima: le origini umbro-elvetiche

La storia della nascita della nostra rivista è intrecciata con la storia della città di Perugia.

Anche se in realtà comincia molto lontano dall’Umbria. Alcuni anni fa io e altri amici ci trovavamo in una situazione piuttosto difficile, avevamo disertato dalla visita dei tre giorni per il servizio militare, e ci eravamo rifugiati in un caseificio di un paesino lombardo al confine con la Svizzera, Porto Val Travaglia.

Qui ci trovammo casualmente coinvolti in una manifestazione piuttosto violenta, organizzata da dissidenti elvetici e fuoriusciti italiani, per impedire il rientro dei Savoia nel nostro paese (era l’epoca dell’inciucio monarchico ordito da Berlusconi). La manifestazione era stata organizzata da un poeta ticinese (italiano per parte di nonna materna), che poi sarebbe diventato il nostro padre spirituale e il leader delle nuove brigate infrarealiste italiane, di cui Tabard fu in seguito la rivista ufficiale.

Questo poeta, filosofo, e romanziere (che, per inciso, è stato anche nazionale svizzero di sci) si chiamava Benjamino Merumeni. A quell’epoca Benjamino rimproverava ai Savoia di aver contribuito alla perdita dell’innocenza elvetica (tra l’altro, Perdita dell’innocenza elvetica è il titolo del suo primo poema dedicato alle sventure dei discendenti di James Joyce).

Gli scontri durarono un giorno e una notte, Benjamino era all’epoca un sostenitore della massa corporea come arma spirituale, e così le forze di polizia di confine non riuscirono a disperderci e furono costrette a porre un lungo e difficile assedio al caseificio dove in pochi irriducibili ci eravamo asserragliati. Alla fine negoziammo il rientro nei nostri paesi nativi e l’immunità processuale, e ci separammo con la promessa di rivederci a breve per organizzare nuove forme di resistenza.

Dopo mesi ci arrivarono notizie riguardo la presenza di Benjamino sul suolo italiano; si diceva si fosse fatto arrestare in una manifestazione dei K.U.H. (Kommandos Ultrafemministi Helvetici) in un bordello di Mendrisio, e fosse poi fortunosamente evaso. Venimmo a sapere che il Merumeni stava organizzando un nucleo infrarealista nella città di Perugia, dove aveva ottennuto un sussidio di ricerca presso la cattedra di teologia (Benjamino si era laureato summa cum laude con una tesi sull’assimiliazione della teodicea negli stili di vita transumanti degli allevatori del Canton dei Grigioni).

Così ci recammo nel capologuo umbro dopo un viaggio a piedi attraverso l’appennino (a quell’epoca ci eravamo nuovamente dati alla macchia, in quanto disertori dal servizio militare di leva - perché, a causa degli scontri con la polizia in occasione del rientro dei Savoia, non avevamo potuto accedere all’obiezione di coscienza). Dopo una ricerca di vari giorni, scovammo finalmente Benjamino ed entrammo nel nuovo gruppo infrarealista che aveva da poco fondato.

Fu allora che decidemmo di dare vita ad una rivista che fosse organo ufficiale del movimento. Ma il nostro padre spirituale impose che il nuovo periodico non fosse mai scritto su carta (che secondo lui era una delle principali cause di corruzione della letteratura moderna), ma solo incisa a mano sulle sfoglie della torta al testo (tipico piatto perugino), in modo da recuperare quella manualità che era stata uno dei fondamenti della perduta innocenza elvetica. La rivista si chiamò Tabard, che nel dialetto romancio del Canton dei Grigioni vuol dire appunto “torta al testo”.

Ma la verità è che tutto iniziò ad andare a rotoli. La città di Perugia si rivelò una fonte di corruzione inaudita, e Benjamino rimase scandalizzato dalla degenerazione cui i giovani universitari si abbandonavano, e da cui, a dire il vero, ci eravamo lasciati involvere anche noi infrarealisti. Quando decidemmo di abbandonare le sfoglie di torta al testo e passare alla stampa su carta, la misura fu colma. Benjamino dichiarò estinto il movimento, e iniziato l’esilio babilonese, fino a che non fossimo riusciti a ricomprendere (superare e comprendere, nel doppio senso hegeliano dell’Aufhebung) la “corruzione” in una nuova forma di trascendeza elvetica.

La massima che ci lasciò in eredità il maestro, prima di sparire, fu: «Penetreremo il guscio sdegnoso del vostro timore».

Con umiltà,

A. Scardanelli

(continua)

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03 dicembre 2007

Fuori luogo

Vi rigiro una mail, e un blog. Dal Nepal, senza fissa dimora.

Eugenio

« Ciao a tutti,
Come alcuni di voi sanno e altri no da circa una settimana sto vivendo in Nepal. Poco a poco mi sto innamorando di questo paese (non è molto difficile a dire il vero…) e ho deciso di raccogliere alcuni pensieri e foto su di un blog.
Questa idea però non nasce qui, ma in Italia e forse ancora prima a Londra. Il tema che si vorrebbe affrontare infatti è il 'viaggio' inteso come momento di passaggio, come rito 'moderno' di ingresso a qualcosa, oppure, come attitudine alla vita, come ricerca di sé e dell'altro.
Mi piacerebbe che il blog fosse aperto a tutti quelli che hanno voglia di raccontare di viaggi: dal treno Bollate-Cadorna, all'arrivo a Kathmandu, dal LSD a 10 giorni di meditazione vipassana, dal semplice passeggiare per una via di Vaglio Basilicata, a Brick lane in cerca del café 1001 (che poi se non lo trovi, troverai altro).
Nel frattempo però vi beccherete i miei racconti. Così almeno saprete se sto bene o no. Qualche commento è però dovuto per il vostro povero amico tutto solo sull'Himalaya (che in realtà vivrà in pianura…)

Un abbraccio a tutti

Rucchi

PS: se volete scrivere mandatemi una mail che vi do' le password. Oppure vi posto io. Devo ancora capire.
PPS: oops! ecco l'indirizzo del blog http://fuoriluogo-diaridiviaggio.blogspot.com/
PPPS: ;-)) »

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What the hell was I looking for, anyway?!

Il prossimo numero di Tabard scrive, o meglio riscrive, del secondo grado. C'è un libro che dovrebbe figurare in primo piano nella bibliografia preparatoria, mi sembra che possa rappresentarne la vera icona. Questo libro infatti non è solo una riscrittura, un secondo grado; è la doppia traduzione del testo che è l'exemplum della riscrittura, riscrittura di se stessa. Parlo di Esercizi di stile - 99 modi di raccontare una storia dell'americano Matt Madden. Un triplice spostamento, una vertigine formale oserei dire, una sorta di caleidoscopio citazionale. Il titolo è già riscrittura. Lo spettacolare esperimento di Raymond Queneau (1946 signore e signori, 1946!) è stato tradotto in mille lingue, ora anche in un nuovo linguaggio. Un linguaggio, quello del fumetto, che sposta ancora più in là, se possibile, la barra potenziale di quell'idea rivoluzionaria. Una storia semplice, un evento ancor più breve, scarno e banale di quello scelto da Queneau, riscritto, risceneggiato e ridisegnato in 99 maniere differenti (c'è da scommettere che nella prima vignetta il personaggio stia scrivendo proprio questo libro, per una mise en abyme che allarghi ancora di più lo zoom narrativo e aumenti la vertigine). Un macchinario ancor più efficace, che onora la definizione di arte sequenziale e che avrebbe fatto impazzire il buon vecchio Ray. Perché scatena, déclanche, tutto il potenziale (Po) dello strumento fumettistico: il doppio binario grafico-letterario amplifica, ben oltre il semplice raddoppiamento, le onde di risonanza dell'evento narrato, garantendo uno scarto ancor più godibile e comprensibile per ogni modifica (modifica che non è mai unica ma molteplice). Citazioni, omaggi, parodie, giochi sui generi e sui linguaggi (fumetto, pubblicità, cinema, tv...), rimescolamento continuo degli elementi a disposizione: tutto secondo la rigida costrizione di fedeltà ai nodi della trama, che non soffoca, anzi esalta, come da lezione oulipiana perfettamente recepita, la libertà creativa. Un inno al potenziale narrativo, un esplosione di livelli, una boccata d'aria fresca per chi sta sul novantanovesimo gradino, guarda il temibile 100, se ne ride e scarta di lato...
Non esagera Emilio Varrà quando scrive, sul numero 88 de Lo Straniero, che opere come queste contribuiscono all'affrancamento del fumetto dalla pregiudiziale posizione di "arte minore" e che lo scarto sia cominciato proprio da quando questa forma artistica ha abbandonato i supereroi, pur degnissimi, su cui si era calcificata e, ripercorrendo quasi la stessa strada che ha portato dall'epos al romanzo, ha cominciato a parlare di gente normale (vedi Gente invisibile di Will Eisner, il padre della graphic novel, o L'uomo che cammina del giapponese Jiro Taniguchi).

L'omaggio di Madden a Queneau non si ferma a quest'opera: egli è infatti anche referente americano dell' OuBaPo, versione fumettistica del letterario OuLiPo di Queneau, Perec e Calvino, e nuova branca dell' Ou-X-Po, metacontenitore che non aspetta altro che nuovi apporti (potremmo fondare un OuTaPo, laboratorio per un Tabard potenziale).

Alcune delle tavole:



- Salve sono Matt Madden e questo è Esercizi di stile. Ho preso un breve episodio quotidiano e sto cercando di inventare il maggio numero di variazioni... attingo alle molte possibilità formali, stilistiche e narrative del fumetto...
- Che ora è?
- è l'1:15.
- Grazie!
- ... In modo da suggerire il potenziale quasi illimitato del mezzo. Spero che vi ispirerà a guardare sempre oltre la facciata apparentemente semplice del fumetto e... uhm... Ma che diavolo stavo cercando?!


Paolo

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